marzo, meditazioni

13 Marzo 2019

13 Marzo 2019 – Mercoledì, I di Quaresima – (Gn 3,1-10; Sal 50[51]; Lc 11,29-32) – I Lettura: Nìnive, capitale dell’impero assiro fabbricata sulla riva sinistra del Tigri, pagana, era estremamente corrotta. L’espressione “la grande città” vuole esprimere letteralmente “grande davanti a Dio”. Il sottolineare “le tre giornate di cammino” è un modo metaforico per indicare le dimensioni favolose della città. I “quaranta giorni” preannunziati da Giona come il tempo stabilito da Dio prima della distruzione, richiamano i quaranta giorni del diluvio come anche i quarant’anni dell’esodo. Vangelo: Giona è stato un segno per Nìnive con l’annuncio del giudizio e l’appello alla conversione, tale, a maggior ragione, deve essere come segno la persona di Gesù, essendo lui più di Giona. Dio non vuole convertire gli uomini attraverso segni straordinari, ma la conversione di questa generazione deve avvenire attraverso l’adesione amorosa e fiducia gratuita nella persona di Gesù. Il segno è l’incarnazione del suo Figlio primogenito.

A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».

Riflessione: «Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona». L’autore della Lettera agli Ebrei ci ricorda che «la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1). Dire: “io credo solo se vedo”, come san Tommaso, fa di noi dei falsi credenti. Non crederemmo, infatti, alla potenza di Dio ma semplicemente ai nostri occhi, ai nostri sensi, in definitiva continueremmo a credere solamente in noi stessi e ci fideremmo solo di noi stessi. La fede implica fiducia nell’altro, implica la certezza intima che colui in cui credo è fedele (cfr. 1Cor 1,9). Ecco perché noi crediamo non per le azioni di Cristo, non per i miracoli da lui compiuti; non crediamo in base alla positiva risposta alle nostre richieste di grazie o fin quando godiamo di buona salute e solida finanza. Noi crediamo in Cristo: egli è il segno per eccellenza, l’unica nostra certezza! Noi crediamo nella sua persona perché egli ci ha già dimostrato il suo amore infinito e la sua misericordia gratuita quando, senza alcun nostro merito, si fece carne, si fece servo e pagò il riscatto della nostra anima peccatrice lasciandosi inchiodare sulla Croce! Alzando gli occhi al Crocifisso… vedo la realizzazione piena di ogni promessa fatta ai nostri Padri.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: La conversione è una risposta a Dio che deve essere confermata più volte nella vita – Benedetto XVI (Udienza Generale, 13 Febbraio 2013): Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri interessi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità, dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere sempre di nuovo. “Con-vertirsi”, un invito che ascolteremo molte volte in Quaresima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita; significa lasciare che Dio ci trasformi, smettere di pensare che siamo noi gli unici costruttori della nostra esistenza; significa riconoscere che siamo creature, che dipendiamo da Dio, dal suo amore, e soltanto «perdendo» la nostra vita in Lui possiamo guadagnarla. Questo esige di operare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio. Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cultura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei. Le prove a cui la società attuale sottopone il cristiano, infatti, sono tante, e toccano la vita personale e sociale. Non è facile essere fedeli al matrimonio cristiano, praticare la misericordia nella vita quotidiana, lasciare spazio alla preghiera e al silenzio interiore; non è facile opporsi pubblicamente a scelte che molti considerano ovvie, quali l’aborto in caso di gravidanza indesiderata, l’eutanasia in caso di malattie gravi, o la selezione degli embrioni per prevenire malattie ereditarie. La tentazione di metter da parte la propria fede è sempre presente e la conversione diventa una risposta a Dio che deve essere confermata più volte nella vita.

Rinnovatevi nello spirito della vostra mente – Paolo VI (Udienza Generale, 1 Marzo 1972): In questo periodo liturgico, nel quale l’esortazione a questa metánoia, a questa penitenza interiore, a questo riordinamento della nostra mentalità e della nostra moralità, si fa pressante, dobbiamo domandare a noi stessi con coraggiosa franchezza: che cosa dobbiamo correggere nel nostro segreto, intimo governo personale? Ancora una volta ritorna alle labbra la sentenza scultorea di Pascal: «Tutta la nostra dignità consiste nel pensiero… Procuriamo dunque di pensare bene: ecco il principio della morale» (Pascal, Pensées, 347). Pensare bene! Sarebbe questa la migliore metánoia, la migliore conversione, la migliore penitenza! Cioè la migliore disposizione per entrare nel piano della salvezza, per bene celebrare il mistero pasquale, per dare al nostro cristianesimo la sua verace e felice espressione, personalmente e socialmente! Pensare bene! Fratelli e Figli carissimi! Ricordate che da questo punto si deve cominciare. Ricordate che non è facile. Non solo per un certo sforzo mentale a ciò richiesto, che ai professionisti del pensiero, ai filosofi, ai cercatori della verità speculativa può essere faticosissimo e drammatico (ricordiamo i grandi convertiti), ma anche, e questo per tutti, per un certo sforzo morale, che il ben pensare richiede. Il cambiare la propria mentalità errata e difettosa domanda umiltà e coraggio. Il dire a se stesso: ho sbagliato, esige non poca forza di animo. La rinuncia a certe proprie idee fisse, che sembrano definire la personalità: «Io la penso così! io sono libero di pensare come voglio! io appartengo alla tale ideologia, e nessuno me la farà cambiare», ecc., domanda davvero un rivolgimento di spirito, solo possibile a chi sacrifica ciò che ha di più suo, la propria opinione o convinzione, alla verità. E per chi di solito è dominato da istinti passionali o da interessi illeciti, l’innestare un’altra marcia nella guida delle proprie azioni, la marcia dell’onestà, della virtù, della religiosità, è operazione sconvolgente e rinnovatrice assai costosa e meritoria. Perdonare un’offesa, ad esempio, superare un’antipatia capricciosa, un puntiglio d’onore, un’occasione di usare la violenza, ecc., può essere esercizio di penitenza, proprio sulla buona linea dell’amore cristiano. Del resto, cambiare, demolire, rinnovare… non è nell’indole del nostro tempo rivoluzionario? Tutto sta a vedere che cosa, e come, e perché si deve tutto mutare. Per noi cristiani valga l’esortazione, che la Chiesa fa propria, di S. Paolo: «Rinnovatevi nello spirito della vostra mente» (Ef 4,23; Rm 12,2).

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Grida con Davide: Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia! Ciò equivale a dire: Sto morendo per una terribile ferita, nessun medico può guarirmi tranne l’unico medico che è Onnipotente. Per il medico onnipotente, nessun male è inguaribile e ridona la salute con una sola parola. Dispererei per la mia ferita se non sperassi nell’Onnipotente» (Gregorio Magno).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: […] non le sarà dato alcun segno – Javer Pikaza (Commento della Bibbia Liturgica): Pare che questo rifiuto sia stato unito relativamente presto a un apprezzamento positivo di Gesù come segno di Dio; e per questo sono state utilizzate quelle parole che provengono da una delle tradizioni più antiche del vangelo e con le quali Gesù si paragona a Salomone e a Giona. Salomone è l’uomo della sapienza di Dio; perciò servì da segno alla regina del mezzogiorno, facendole vedere la grandezza del Dio d’Israele. Giona è citato come messaggero del giudizio riguardo alla popolazione della vecchia Ninive; la sua parola era un segno di Dio per quel popolo che decise di far penitenza. Orbene, la tradizione cristiana sa che Gesù compì una missione più alta e più valida che tutte le missioni dei re a dei profeti dell’Antico Testamento; egli è il segno di Dio per eccellenza, ma gli uomini del suo tempo non vollero accoglierlo e convertirsi. Per applicare il contenuto di questo testo, dobbiamo ampliare la visione degli uomini che sono stati «segno» di Dio nella storia. Insieme con Giona e Salomone, possiamo citare Budda e Maometto, Gandhi e Confucio. Essi hanno aperto strade che conducono verso Dio. Gesù però è molto superiore a tutti.

Santo del giorno: 13 Marzo – San Leandro di Siviglia, Vescovo: Di antica famiglia romana, Leandro nasce a Cartagena verso il 540. Il padre Saveriano muore ancora giovane e tocca a lui prendersi cura dei fratelli Florentina, Fulgenzio e Isidoro, che sceglieranno tutti lo stato religioso e diverranno santi. Isidoro, in particolare, con le sue ‘Etimologie’ diverrà uno degli scrittori più famosi del Medioevo. Anche Leandro si fa monaco e verso il 577-578 viene nominato vescovo di Siviglia. In Spagna sono al potere da più di un secolo i visigoti, in maggioranza ariani. Con la sua predicazione, Leandro ottiene numerose conversioni e tra i convertiti vi è anche Ermenegildo, il figlio del re Leovigildo. Il giovane si ribella al padre che lo sconfigge e lo condanna a morte. In seguito a questa tragedia, Leandro deve lasciare la Spagna e si reca in esilio a Costantinopoli. Qui probabilmente chiede invano aiuto all’imperatore d’Oriente. La permanenza nella capitale bizantina non è, tuttavia, vana. Leandro ha modo di conoscere il legato di Roma in Oriente, il futuro papa Gregorio Magno, con il quale stringe un’amicizia duratura. Verso il 586 Leandro può ritornare a Siviglia. A Leovigildo è succeduto Recaredo, che nel febbraio del 587 passa ufficialmente al cattolicesimo e il suo esempio, secondo il costume del tempo, viene seguito da tutti i visigoti. Il terzo concilio di Toledo, presieduto nel 589 proprio da Leandro, sancì questo cambiamento. Nell’omelia Leandro commentò: «Nuovi popoli sono nati d’un tratto per la Chiesa; quelli che prima ci facevano soffrire con la loro durezza, ora ci consolano con la loro fede». Morì nel 599-600.

Preghiamo: Guarda, o Padre, il popolo a te consacrato, e fa’ che mortificando il corpo con l’astinenza si rinnovi nello spirito con il frutto delle buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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