8 Marzo 2019 – Venerdì dopo le Ceneri – (Is 58,1-9a; Sal 50[51]; Mt 9,14-15) – I Lettura: Questo testo di Isaìa è un classico per la verifica del-l’autentico culto gradito a Dio. Ma è anche una pagina molto pungente per una autentica solidarietà con i deboli e per un nuovo patto di fraternità, che permetta di ricostruire davvero la convivenza su basi di giustizia e di attenzione reciproca. Salmo: “Parzialmente mi conosco, non come mi conosci tu, non come sono da te conosciuto: il mio cuore resta incomprensibile anche a me stesso, ma tu scruti gli abissi” (Anselmo). Vangelo: Gesù è lo sposo che, nella sua venuta tra noi, ha celebrato le nozze solenni con la nostra umanità incarnandosi e divenendo uno di noi. Egli è l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Non ci può essere motivo di gioia più grande, perché in quelle nozze è già racchiusa la nostra redenzione, l’abbraccio affettuoso del Padre celeste al figlio ritrovato.
Quando lo sposo sarà loro tolto, allora digiuneranno – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».
Riflessione: «Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi…». Oggi, primo venerdì di Quaresima, la liturgia si sofferma ancora una volta sul senso del digiuno. Perché digiunare e come digiunare? Gesù nel Vangelo suggerisce che se fossimo con lo Sposo non avremmo necessità di digiunare. Ecco il primo elemento: il digiuno è necessario perché ancora non siamo con lui, il peccato ci divide, il nostro orgoglio, le nostre passioni, non gli lasciano posto. Il peccato è come un muro che ci separa dal Signore. Il digiuno è necessario fin quando ci sarà in me e nel mondo il peccato che ci intralcia e che non ci permettere di vivere la piena comunione con il Signore. Ed ecco perché, tramite la voce del profeta, il Signore ci dice anche come digiunare: non avrebbe senso, infatti, il digiuno, se questo non fosse finalizzato alla nostra conversione, se non avesse come fine ultimo la piena comunione con Dio e con i fratelli. Che senso ha digiunare se poi non si è desiderosi di perdonare, di servire, di giustificare il prossimo? Che senso ha digiunare o fare elemosine se poi non si attua una vera conversione, se non si fa una vita sacramentale piena, se non si cercano le vie d’uscita dal peccato, se non si pone rimedio ai nostri difetti?
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: I tuoi discepoli non digiunano? – CCC 1430: Come già nei profeti, l’appello di Gesù alla conversione e alla penitenza non riguarda soprattutto opere esteriori, “il sacco e la cenere”, i digiuni e le mortificazioni, ma la conversione del cuore, la penitenza interiore. Senza di essa, le opere di penitenza rimangono sterili e menzognere; la conversione interiore spinge invece all’espressione di questo atteggiamento in segni visibili, gesti e opere di penitenza (Gl 2,12-13; Is 1,16-17; Mt 6,1-6.16-18).
Perché il digiuno? – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 21 Marzo 1979): A questa domanda bisogna dare una risposta più ampia e profonda, perché diventi chiaro il rapporto tra il digiuno e la “metànoia”, cioè quella trasformazione spirituale, che avvicina l’uomo a Dio. Cercheremo quindi di concentrarci non soltanto sulla pratica dell’astensione dal cibo o dalle bevande – ciò infatti significa “il digiuno” nel senso comune – ma sul significato più profondo di questa pratica che, del resto, può e deve alle volte essere “sostituita” da qualche altra. Il cibo e le bevande sono indispensabili all’uomo per vivere, egli se ne serve e deve servirsene, tuttavia non gli è lecito abusarne sotto qualsiasi forma. La tradizionale astensione dal cibo e dalle bevande ha come fine di introdurre nell’esistenza dell’uomo non soltanto l’equilibrio necessario, ma anche il distacco da quello che si potrebbe definire “atteggiamento consumistico”. Tale atteggiamento è divenuto nei nostri tempi una delle caratteristiche della civiltà e in particolare della civiltà occidentale. L’atteggiamento consumistico! L’uomo orientato verso i beni materiali, molteplici beni materiali, molto spesso ne abusa. Non si tratta qui unicamente del cibo e delle bevande. Quando l’uomo è orientato esclusivamente verso il possesso e l’uso di beni materiali, cioè delle cose, allora anche tutta la civiltà viene misurata secondo la quantità e la qualità delle cose che è in grado di fornire all’uomo, e non si misura con il metro adeguato all’uomo. Questa civilizzazione infatti fornisce i beni materiali non soltanto perché servano all’uomo a svolgere le attività creative e utili, ma sempre di più… per soddisfare i sensi, l’eccitazione che ne deriva, il piacere momentaneo, una sempre maggiore molteplicità di sensazioni. Alle volte si sente dire che l’incremento eccessivo dei mezzi audio-visivi nei paesi ricchi non sempre giova allo sviluppo dell’intelligenza, particolarmente nei bambini; al contrario, talvolta contribuisce a frenarne lo sviluppo. Il bambino vive solo di sensazioni, cerca delle sensazioni sempre nuove… E diventa così, senza rendersene conto, schiavo di questa passione odierna. Saziandosi di sensazioni, rimane spesso intellettualmente passivo; l’intelletto non si apre alla ricerca della verità; la volontà resta vincolata dall’abitudine, alla quale non sa opporsi. Da ciò risulta che l’uomo contemporaneo deve digiunare, cioè astenersi non soltanto dal cibo o dalle bevande, ma da molti altri mezzi di consumo, di stimolazione, di soddisfazione dei sensi. Digiunare significa astenersi, rinunciare a qualcosa.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Il digiuno ilare – “Dice il Signore: Non mostratevi tristi… ma lavati la faccia e ungiti la testa [Mt 6,16-17]. Disponiamoci come ci è stato insegnato alle feste che si avvicinano: non con il volto arcigno, ma con ilarità, come si addice ai santi. Chi è abbattuto, non viene incoronato; chi piange, non ottiene il trofeo. Non essere triste mentre vieni curato. Sarebbe sciocco non rallegrarsi per la salute della propria anima, ma dolersi per la sottrazione dei cibi, mostrando così di dar più importanza ai piaceri del ventre che alla guarigione dell’anima. La sazietà è un godimento del ventre; il digiuno è un guadagno per l’anima. Rallegrati che il medico ti dà una medicina atta a cancellare il peccato. Come i vermi che germinano nell’intestino dei bimbi si cacciano con medicamenti molto aspri, così il peccato che dimora nel profondo dell’anima viene ucciso dal digiuno – che sia veramente degno di questo nome -, appena sopraggiunge nell’anima. «Ungiti la testa e lavati la faccia». La parola divina ti chiama a un mistero: chi è unto, si unga, chi ha ricevuto il lavacro, si lavi. Applica il precetto anche alle membra interne: lava la tua anima dai peccati; ungiti la testa con il sacro crisma, perché tu sia partecipe delle membra di Cristo, accedendo così al digiuno. Non oscurarti in volto come i commedianti. Il volto si oscura quando il sentimento interno viene artificiosamente celato, quasi ricoperto da un velo di menzogna. Il commediante poi sul teatro rappresenta una persona altrui: a volte recita la parte di padrone, pur essendo schiavo; o di re, pur essendo cittadino privato. Così, in questa vita, i più recitano la loro parte come su di una scena: una cosa portano in cuore, e un’altra mostrano agli occhi della gente. Non oscurare dunque il tuo volto: tale sei, tale mostrati: non trasformarti in una maschera triste e tetra, per ottenere da queste parvenze la fama di temperante. Un’opera buona pubblicata a suon di tromba non è di utilità alcuna; un digiuno annunciato al popolo non è di guadagno alcuno. Ciò infatti che si fa per ostentazione non reca frutto per la vita futura, ma si esaurisce tutto nella lode degli uomini. Accorri lieto, perciò, al digiuno!” (Basilio il Grande).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Il digiuno è una pratica penitenziale onnipresente in tutte le religioni. Un rito celebrato sopra tutto per attenuare l’arroganza e l’orgoglio, ma che si imponeva in alcune circostanze particolari: per esempio, per scongiurare un castigo divino o per sfuggire a eventi nefandi. Per molti Farisei era una delle tante pratiche escogitate dalla loro affettata religiosità per accampare diritti dinanzi al Signore e carpirne in questo modo la benevolenza (Lc 18,9-14). Gesù condanna l’esibizionismo, l’ostentazione farisaica (Mt 6,16-18) non il digiuno che, come tutte le altre pratiche penitenziali, deve essere celato da un atteggiamento gaio, sereno, spontaneo: «Tu, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto» (Mt 6,17). No, quindi, a facce lugubri, tristi. No, sopra tutto, a comportamenti ostentati unicamente per accaparrarsi le lodi e gli applausi degli uomini (Mt 6,1; 23,5). La religiosità cristiana è fatta di una spiritualità lieta, festante, briosa: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). Il Vangelo è la buona notizia che va annunciata con una faccia ilare, sorridente. Il peccato delle guide spirituali del popolo d’Israele è quello di non essere state capaci di cogliere in Gesù lo sposo dell’umanità. Con Gesù «l’attesa di Dio è colmata: “sono giunte le nozze dell’Agnello, la sua sposa è pronta!” [Ap 19,7]. Gesù è lo sposo che porta a compimento l’alleanza tra Dio e il suo popolo annunciata dal profeta Osea. I tempi sono dunque compiuti. Non è più il tempo per il legalismo, non è più il tempo per leggere il presente con gli occhi del passato, ma con quelli del futuro inaugurato da Gesù. Non è più il momento di digiunare, come all’epoca in cui si preparava ancora l’incontro con Dio, ma è il momento della festa. Egli è ormai qui!» (Anselmo Morandi).
Santo del giorno: 8 Marzo – San Giovanni di Dio, Religioso: Nato a Montemoro-Novo, poco lontano da Lisbona, nel 1495, Giovanni di Dio – allora Giovanni Ciudad – trasferitosi in Spagna, vive una vita di avventure, passando dalla pericolosa carriera militare alla vendita di libri. Ricoverato nell’ospedale di Granada per presunti disturbi mentali legati alle manifestazioni “eccessive” di fede, incontra la drammatica realtà dei malati, abbandonati a se stessi ed emarginati e decide così di consacrare la sua vita al servizio degli infermi. Fonda il suo primo ospedale a Granada nel 1539. Muore l’8 marzo del 1550. Nel 1630 viene dichiarato Beato da Papa Urbano VII, nel 1690 è canonizzato da Papa Alessandro VIII. Tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 viene proclamato Patrono degli ammalati, degli ospedali, degli infermieri e delle loro associazioni e, infine, patrono di Granada.
Preghiamo: Accompagna con la tua benevolenza, Padre misericordioso, i primi passi del nostro cammino penitenziale, perché all’osservanza esteriore corrisponda un profondo rinnovamento dello spirito. Per il nostro…