7 Marzo 2019 – Giovedì dopo le Ceneri – (Dt 30,15-20; Sal 1; Lc 9,22-25) – I Lettura: Il brano di Deuteronòmio 30,15-20 presenta l’episodio cosiddetto “delle due vie”. Il Signore pone Israele al centro di un bivio decisivo: da una parte la via del bene, della benedizione e della vita e dall’altra la via del male, della maledizione e della morte. Mosè, che aveva guidato il popolo di Dio nel difficile tempo del deserto dopo l’esodo, ora si fa porta-voce di un’istanza divina decisiva: bisogna entrare pienamente nell’alleanza stabilita presso il monte Sinai. Vangelo: “La croce era l’umiliazione più ignominiosa che si potesse anche solo immaginare, sia per i cittadini romani, sia per gli ebrei. Rinnegare se stessi e portare la croce significa: amami fino al punto che non ti importa di perdere la faccia per me, seguimi fino a scoprire che valgo più di ogni altra cosa. Così Gesù ci invita in Quaresima a riscoprire che egli è tutto, la pienezza, l’amore, ogni desiderio e ogni anelito colmato” (P. Curtaz).
Chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?».
Riflessione: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male». Ogni giorno la vita ci mette dinanzi ad una serie di scelte che necessitano una presa di coscienza e di posizione netta, come netta è la separazione e la distinzione tra il bene e il male. Accogliere o rinnegare, perdonare o alimentare odi e divisioni, pensare al mio tornaconto o agire per il bene di tutti, riempirsi di parole umane e lasciarsi convincere dalla mentalità di questo mondo o ritirarsi in preghiera, fare silenzio dentro di noi e mettersi in ascolto della Parola e lasciarsi plasmare dallo spirito, acconsentire agli impulsi della natura e del carattere o agire secondo carità, scegliere la via dell’orgoglio o dell’umiltà, la via della prepotenza o del servizio… quante occasioni di bene o di male dipendono costantemente dalle nostre scelte, dalla nostra libertà! Certo, dinanzi alla domanda: “vuoi il bene o il male” chiunque risponderebbe per il bene. Ma Gesù chiarisce subito ai suoi discepoli cosa significhi scegliere il bene: significa anzitutto, concretamente, rinunciare a se stessi, cioè al proprio punto di vista, alle proprie aspirazioni, ai propri progetti e mettersi a servizio del bene comune, ad immagine di Colui che ha rinunciato perfino al suo essere Onnipotente ed Eterno per farsi servo e morire su una croce. Ed infatti non basta il solo rinunciare a se stessi, ma bisogna prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Cristo. È qui il vero segreto della santità: non una semplice (per quanto rigida e impegnata) rinuncia, non un accogliere la croce con rassegnazione, ma piuttosto desiderare percorrere le stesse vie del Cristo, seguendone le orme, fino al Calvario.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: … rinneghi se stesso – Salvifici Soloris 25: Cristo non nascondeva ai propri ascoltatori la necessità della sofferenza. Molto chiaramente diceva: “Se qualcuno vuol venire dietro a me… prenda la sua croce ogni giorno”, e ai suoi discepoli poneva esigenze di natura morale, la cui realizzazione è possibile solo a condizione di “rinnegare se stessi” (Lc 9,23). La via che porta al regno dei cieli è “stretta e angusta”, e Cristo la contrappone alla via “larga e spaziosa”, che peraltro “conduce alla perdizione”. Diverse volte Cristo diceva anche che i suoi discepoli e confessori avrebbero incontrato molteplici persecuzioni, ciò che – come si sa – è avvenuto non solo nei primi secoli della vita della Chiesa sotto l’impero romano, ma si è avverato e si avvera in diversi periodi della storia e in differenti luoghi della terra, anche ai nostri tempi.
Portare, ogni giorno, la nostra croce – Paolo VI (Omelia, 15 Settembre 1971): Noi tutti ricordiamo certamente che se davvero siamo cristiani dobbiamo partecipare alla Passione del Signore (cfr. Col 1,24), e dobbiamo portare dietro i passi di Gesù, ogni giorno, la nostra croce (cfr. Lc 9,23). Cristo Crocifisso è l’esempio (cfr. Gal 6,14). Ma dappertutto, anche in ambienti cristiani, oggi vediamo come si tenta di abbattere la Croce proprio là dove essa è necessaria, nella coscienza del peccato a cui essa sola può portare rimedio. Il rimedio oggi è un altro; è l’indifferenza morale, la spregiudicatezza. Il peccato, si dice, non esiste, è «tabù», è fantasia di gente psichicamente debole; esso si annulla togliendo ogni sensibilità morale, abolendo ogni scrupolo, soffocando ogni rimorso; e che cosa resta dell’uomo che così inganna e degrada se stesso? E tutto il nostro sforzo per riconciliare l’uomo col mondo anche quando è tutto penetrato dal male? (cfr. Gv 5,19) Non è anch’esso un’ipocrita attentato di togliere la Croce di mezzo e di saldare malamente la frattura che essa ha posto a confine dei due regni, di Dio e del diavolo? Si ritorna mondani col pretesto di ritornare uomini, e si scivola sui sentieri equivoci della secolarizzazione con la comoda illusione di salvare il mondo confondendosi con i suoi gusti, i suoi abiti, i suoi costumi. Non v’è pericolo che con questo artificio «sia vanificata la Croce di Cristo?» (1Cor 1,17). Riflettiamo, se vogliamo essere, come oggi si dice, autentici. E non temiamo che la Croce renda imbelle e triste la nostra vita, se questa ne porta con amore le stigmate dolorose e gloriose: Cristo crocifisso «è virtù di Dio, e sapienza di Dio»!
Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino – CCC 981: Cristo dopo la sua Risurrezione ha inviato i suoi Apostoli a predicare «nel suo nome… a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24,47). Tale «ministero della riconciliazione» (2Cor 5,18) non viene compiuto dagli Apostoli e dai loro successori solamente annunziando agli uomini il perdono di Dio meritato per noi da Cristo e chiamandoli alla conversione e alla fede, ma anche comunicando loro la remissione dei peccati per mezzo del Battesimo e riconciliandoli con Dio e con la Chiesa grazie al potere delle chiavi ricevuto da Cristo: La Chiesa ha ricevuto le chiavi del Regno dei cieli, affinché in essa si compia la remissione dei peccati per mezzo del sangue di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo. In questa Chiesa l’anima, che era morta a causa dei peccati, rinasce per vivere con Cristo.
Il perdono dei peccati – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 8 Settembre 1999): L’Antico Testamento ci parla, in diverse maniere, del perdono dei peccati. Troviamo a tal proposito una terminologia variegata: il peccato è “perdonato”, “cancellato” (Es 32,32), “espiato” (Is 6,7), “gettato dietro le spalle” (Is 38,17). Dice ad esempio il Salmo 103: “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie” (Sal 103,3), “Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe… Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono” (Sal 103,10-13). Questa disponibilità di Dio al perdono non attenua la responsabilità dell’uo-mo e la necessità di un suo impegno di conversione.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi: queste parole van riferite a Nostro Signor Gesù Cristo, cioè all’Uomo del Signore. Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi, come l’uomo terrestre il quale acconsentì alla donna ingannata dal serpente, trasgredendo in tal modo ai precetti divini. E nella via dei peccatori non si ferma: poiché se Cristo è realmente passato per la via dei peccatori, nascendo come i peccatori, non vi si è fermato dato che non lo hanno trattenuto le lusinghe del mondo. E sulla cattedra di pestilenza non si siede: ossia non ha ambito per superbia un regno terreno. Giustamente la superbia è definita cattedra di pestilenza, in quanto non vi è quasi nessuno alieno dalla passione del potere e che non aspiri a una gloria umana: e la pestilenza non è dal canto suo che una malattia largamente diffusa e che coinvolge tutti, o quasi tutti. Tuttavia, in senso più pertinente, si può intendere con cattedra della pestilenza anche una dottrina perniciosa, il cui insegnamento si diffonde come un tumore maligno (2Tm 2,17). È poi degna di considerazione la successione delle parole: va, si ferma, si siede. L’uomo se ne è andato quando si è allontanato da Dio; si è fermato quando si è compiaciuto nel peccato; si è seduto quando, appesantito dalla sua superbia, non ha più saputo tornare indietro, se non fosse stato liberato da colui che non è andato secondo il consiglio degli empi, non si è fermato sulla via dei peccatori, non si è seduto sulla cattedra della pestilenza” (Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». Se egli va per la via della sofferenza che termina alla Croce, è necessario che anche quelli che lo seguono battano la stessa strada. Come il condannato porta la croce al luogo del supplizio, così il cristiano deve sentirsi come un condannato dal mondo. La sua vita è un cammino verso il luogo del martirio. Egli porta il peso della condanna degli uomini; è essenzialmente un isolato, un incompreso, uno ufficialmente condannato; è uno destinato alla morte. La sua vita è l’offerta di un sacrificio; e questo sacrificio viene accettato. Il suo vivere è un morire. Ciò evidentemente contraddice alla sua sensibilità e al suo istinto naturale, per cui egli deve ripetere continuamente a se stesso il sì della propria abnegazione. Però, come Cristo, attraverso la Passione e la morte, tende alla risurrezione, così anche questa vita del cristiano sembra una perdita, ma in pratica è un guadagno; sembra un morire, ma in pratica è un vivere.
Santo del giorno: 7 Marzo – Sante Perpetua e Felicita, Martiri: Chiusa in carcere aspettando la morte, una giovane tiene una sorta di diario dei suoi ultimi giorni, descrivendo la prigione affollata, il tormento della calura; annota nomi di visitatori, racconta sogni e visioni degli ultimi giorni. Siamo a Cartagine, Africa del Nord, anno 203: chi scrive è la colta gentildonna Livia Perpetua, 22 anni, sposata e madre di un bambino. Nella folla carcerata sono accanto a lei anche la più giovane Felicita, figlia di suoi servi, e in gravidanza avanzata; e tre uomini di nome Saturnino, Revocato e Secondulo. Tutti condannati a morte perché vogliono farsi cristiani e stanno terminando il periodo di formazione; la loro «professione di fede» sarà il martirio nel nome di Cristo. Le annotazioni di Perpetua verranno poi raccolte nella «Passione di Perpetua e Felicita», opera forse di Tertulliano, testimone a Cartagine.
Preghiamo: Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostra attività abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento. Per il nostro Signore Gesù Cristo…