4 Marzo 2019 – Lunedì, VIII del Tempo Ordinario – (Sir 17,20-28 (NV); Sal 31[32]; Mc 10,17-27) – I Lettura: Dal punto di vista religioso il peccato è rottura dell’Alleanza con Dio, separazione, tradimento, infedeltà (cfr. Is 1,2-4). Purtroppo è questo l’atteggiamento costante del popolo d’Israele lungo tutta la sua storia. Dalla constatazione del fallimento del popolo parte la predicazione profetica per spingerlo al ritorno: Dio ha scelto Israele e nonostante il suo peccato lo invita alla conversione con l’aiuto dei profeti. Vangelo: «L’uomo da sé non può dare senso, non può trovare ciò che fa salva la vita. Resta sempre con “qualcosa che gli manca”, come il giovane ricco; resta sempre inadeguato a raggiungere la pienezza e la beatitudine; resta un mendicante che ha bisogno di essere guardato e amato, ma guardato nel cuore, non come vedono gli uomini, e amato per sempre, senza meritare l’amore» (E. Bianchi).
Vendi quello che hai e vieni! Seguimi! – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Riflessione: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». Contempliamo oggi questo velo di tristezza che aleggia nelle parole del Maestro. Leggiamo queste parole come un pressante invito alla sobrietà di vita, ma cerchiamo anzitutto di capire davvero cosa è una vita sobria. Non si tratta di conti in banca o di possessi leciti. Soffermiamoci su altre ricchezze che ci assediano, ci soffocano e ci impediscono di entrare nel regno di Dio. Possiamo anzitutto riferirci alle tante occupazioni che riempiono la vita di molti di noi, occupazioni che ci distraggono dal nostro rapporto con Dio, occupazioni che ci legano e ci impediscono una vita di orazione, la meditazione della Parola, la frequenza dei Sacramenti: sono le tante “ricchezze” di questo mondo. Se diamo ad esse troppo spazio, esse ci soffocheranno e impediranno il nostro cammino spirituale: per esempio, potrebbero essere tutti quegli inviti di amici, familiari, colleghi (ora un compleanno… ora un anniversario… ora una ricorrenza…) e le giornate si riempiono in giro a comprare regali e poi in cene senza fine, con discorsi vuoti di Dio (se non peggio!). Dire di no? Forse capiamo che dovremmo… ma spesso, forse intristiti, alla fine andiamo ugualmente. Come potremmo poi, stanchi di fumo e di chiacchiere, appesantiti dal cibo e dal mondo, pensare di voler seguire Dio? La preghiera si fa distratta, noiosa, infruttuosa e il cuore torna indietro, triste. È solo uno dei tanti esempi possibili: pensiamo ai tanti pensieri inutili a cui diamo spazio, quanto è ricco il nostro cervello di giudizi umani, ma quanto è difficile rinunciare a giudicare, a fare silenzio, a vendere tutto…
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Maestro buono – Benedetto XVI (Omelia, 12 Settembre 2009): Buono in senso pieno è solo Dio. Egli è il Bene, il Buono per eccellenza, la Bontà in persona. In una creatura – nell’uomo – l’essere buono si basa pertanto necessariamente su un profondo orientamento interiore verso Dio. La bontà cresce con l’unirsi interiormente al Dio vivente. La bontà presuppone soprattutto una viva comunione con Dio il Buono, una crescente unione interiore con Lui. E di fatto: da chi altri si potrebbe imparare la vera bontà se non da Colui, che ci ha amato sino alla fine, sino all’estremo (cfr. Gv 13,1)? Diventiamo servi buoni mediante il nostro rapporto vivo con Gesù Cristo. Solo se la nostra vita si svolge nel dialogo con Lui, solo se il suo essere, le sue caratteristiche penetrano in noi e ci plasmano, possiamo diventare servi veramente buoni.
Uno solo è buono – Veritatis Splendor 9: Gesù dice: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Mt 19,17). Nella versione degli evangelisti Marco e Luca la domanda viene così formulata: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo» (Mc 10,18; cfr. Lc 18,19). Prima di rispondere alla domanda, Gesù vuole che il giovane chiarisca a se stesso il motivo per cui lo interroga. Il «Maestro buono» indica al suo interlocutore – e a tutti noi – che la risposta all’interrogativo: «Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?», può essere trovata soltanto rivolgendo la mente e il cuore a Colui che «solo è buono»: «Nessuno è buono, se non Dio solo» (Mc 10,18; cfr. Lc 18,19). Solo Dio può rispondere alla domanda sul bene, perché Egli è il Bene. Interrogarsi sul bene, in effetti, significa rivolgersi in ultima analisi verso Dio, pienezza della bontà. Gesù mostra che la domanda del giovane è in realtà una domanda religiosa e che la bontà, che attrae e al tempo stesso vincola l’uomo, ha la sua fonte in Dio, anzi è Dio stesso, Colui che solo è degno di essere amato «con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente» (Mt 22,37), Colui che è la sorgente della felicità dell’uomo. Gesù riporta la questione dell’azione moralmente buona alle sue radici religiose, al riconoscimento di Dio, unica bontà, pienezza della vita, termine ultimo dell’agire umano, felicità perfetta.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «La legge aveva insegnato agli uomini la necessità di seguire Cristo. Lo mostrò chiaramente Cristo stesso al giovane che gli chiese cosa avrebbe dovuto fare per ereditare la vita eterna. Gli rispose infatti: “Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti”. Quegli chiese: “Quali?”, e il Signore soggiunse: “Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza; onora il padre e la madre, e ama il prossimo tuo come te stesso” [Mt 19,17ss]. Proponeva così a tutti coloro che volevano seguirlo i comandamenti della legge come gradini di entrata alla vita: quello che diceva a uno, lo diceva a tutti. Il giovane rispose: “Ho fatto tutto ciò” – e forse non lo aveva fatto, che altrimenti non gli sarebbe stato detto: osserva i comandamenti -; allora il Signore, rinfacciandogli la sua cupidigia, gli disse: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto ciò che hai, dividilo tra i poveri, poi vieni e seguimi” (ib.). Con queste parole prometteva l’eredità degli apostoli a chi avesse fatto così, non annunciava certo a coloro che lo avessero seguito un altro padre, diverso da quello che era stato annunciato fin dall’inizio della legge, e neppure un altro figlio; ma insegnava a osservare i comandamenti imposti da Dio all’inizio, a liberarsi dall’antica cupidigia con le buone opere e a seguire Cristo. Che poi la distribuzione dei propri beni ai poveri liberi davvero dalla cupidigia, lo ha mostrato Zaccheo dicendo: “Ecco, do la metà dei miei beni ai poveri; se poi ho frodato qualcuno, gli rendo il quadruplo” [Lc 19,8]» (Ireneo di Lione).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi! Gesù non impone l’indigenza, ma l’abbandono fiducioso all’agire di Dio. La proposta addolora il “tale” che sconcertato lascia il campo triste perché spudoratamente attaccato ai suoi beni. Ma rimangono sconcertati anche i discepoli. Per il loro modo di pensare la ricchezza era una benedizione di Dio. Più si era buoni, più si era giusti e più Dio moltiplicava la ricchezza in figli, campi, servi, bestiame, denaro… e sono ancora più sbigottiti quando le loro orecchie sentono che «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». In ebraico il termine ricchezza ha la stessa radice del termine fede che significa appoggiarsi, dare fiducia. Quindi, Gesù ha spostato il problema su un piano diverso: il dilemma della scelta del giovane non è fra ricchezza e povertà, ma fra ricchezza e Cristo stesso. La sacra Scrittura non condanna la ricchezza in se stessa, ma i ricchi disonesti (cfr. Lc 6,24), né tanto meno considera la povertà di mezzi economici un bene in sé. Il vero problema sta nel fatto che la ricchezza, quando diventa un fine, quando diventa “un appoggio”, si sostituisce a Dio facendo precipitare nell’idolatria. La contrapposizione fra Dio e il denaro è quindi sul piano religioso e non sociale! È sul piano religioso in quanto si giunge a credere che la felicità derivi dal possesso delle cose e quindi dalle cose stesse. Il regno di Dio non si conquista assommando la Legge al conto corrente, ma seguendo risolutamente Gesù povero, casto, umiliato e obbediente alla volontà del Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr. Fil 2,8).
Santo del giorno: 4 Marzo – Beato Giovanni Fausti, Sacerdote gesuita, martire: Giovanni Fausti, nativo della Val Trompia, frequentò il Seminario di Brescia e, dopo la chiamata alle armi, il Pontificio Seminario Lombardo di Roma. Ordinato sacerdote il 9 luglio 1922, entrò due anni più tardi nella Compagnia di Gesù. Inviato in Albania, intraprese un attento cammino di dialogo con l’Islam. Fu poi richiamato in Italia, ma tornò in Albania nel 1942; tre anni dopo, fu nominato viceprovinciale. Arrestato il 31 dicembre 1945 insieme al confratello Daniel Dajani, suo successore come rettore del Seminario di Scutari, venne processato con l’accusa di essere una spia per conto del Vaticano. Il 4 marzo 1946 venne fucilato presso il cimitero cattolico di Scutari insieme a padre Dajani, al francescano Gjon Shllaku, al seminarista Mark Çuni e ai laici Gjelosh Lulashi e Qerim Sadiku. Con i suoi compagni di martirio, padre Giovanni Fausti è stato incluso nell’elenco dei 38 martiri albanesi beatificati il 5 novembre 2016 a Scutari.
Preghiamo: Concedi, Signore, che il corso degli eventi nel mondo si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace, e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…