27 Febbraio 2019 – Mercoledì, VII del Tempo Ordinario – (Sir 4,11-19; Sal 118[119]; Mc 9,38-40) – I Lettura: Il testo odierno appare chiaramente diviso in due parti: una prima parte riguarda il punto di vista dell’uomo che cerca la sapienza, ossia la considerazione di ciò che cambia nella vita di una persona grazie alla sapienza, nel momento in cui uno si sottomette a Dio, e si lascia determinare la vita dalla sua volontà. La seconda parte, invece, guarda le cose dal punto di vista della sapienza personificata, cioè dal punto di vista di Dio, il quale applica all’uomo una sua misteriosa pedagogia, per condurlo verso traguardi superiori e comunicargli una santità tanto maggiore quanto più si rafforzano le sue virtù e cresce la sua statura nel superamento delle prove (E. Cuffaro). Vangelo: “Perché non ci seguiva” è il motivo per cui i discepoli non vedevano di buon occhio colui che scacciava i demòni in nome di Gesù. Per Gesù, invece, il fatto che questi facesse qualcosa in suo nome era l’inizio di un buon percorso. L’uomo costruisce sempre steccati, Dio cerca sempre il pretesto per portare tutti sulla retta via.
La lampada viene per essere messa sul candelabro. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».
Riflessione: Pane e Cammino (27 Febbraio 2019): Il brano evangelico odierno riporta un brevissimo episodio nel quale troviamo Giovanni che riferisce a Gesù di aver impedito a un tale di scacciare i demòni nel suo nome perché “non ci seguiva”. Il brano in questione sembra costruito avendo come canovaccio Nm 11,26-30, dove Giosuè voleva impedire ai due uomini, che pur non essendo presenti alla convocazione di Mosè, ricevettero lo stesso lo Spirito e profetavano. Anche Mosè, come poi farà Gesù, biasima l’agire geloso di Giosuè. “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Qui è l’unica volta che Giovanni, figlio di Zebedèo, agisce completamente di propria iniziativa e da solo. Dobbiamo soffermarci su due termini. Anzitutto il verbo usato da Giovanni è “kōlúō – impedire, prevenire, trattenere una cosa di qualcuno, negare o rifiutare una cosa a qualcuno”, usato all’imperfetto che denota un’azione continua e quindi una sorta di caparbietà nel volere fermare questo esorcista anonimo. Gli studiosi non sono concordi se quest’azione sia da considerare solo verbale o anche accompagnata dalla forza fisica, proprio a causa del verbo all’imperfetto. Un altro elemento da notare è come Giovanni abbia formulato la parte finale della frase: “Perché non ci seguiva”. Qui viene usato il verbo “akolouthéō – seguire uno che precede, appartenere al gruppo di qualcuno”, nuovamente all’imperfetto, per denotare che quest’avventore non era neppure un discepolo. Ma, come dicevamo, c’è da soffermarsi sulla costruzione della frase: “Non ci seguiva”. È curioso che Giovanni lo rimproveri di non seguire “ēmĩn – noi” anziché Gesù. Questo è un modo sottile per evidenziare l’incapacità di Giovanni di capire che la vera fonte del potere dei discepoli è Gesù. Dietro questa opposizione di Giovanni possono esserci varie motivazioni, probabilmente legate alla gelosia. Nel brano precedente (cfr. Mc 9,33-37) i discepoli si dividevano tra di loro in nome del proprio “io”; in questo episodio, invece, li vediamo coalizzati contro l’esorcista, quasi a rivendicare una specie di esclusiva nei riguardi di Gesù. A questo, forse, va aggiunta una motivazione più remota: il loro fallimento, ai piedi del monte della trasfigurazione (cfr. Mc 9,14-29); mentre loro non riuscirono a cacciare il demonio, questo sconosciuto ci riesce nel nome di Gesù.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Chi non è contro di noi è per noi – CCC 2008: Il merito dell’uomo presso Dio nella vita cristiana deriva dal fatto che Dio ha liberamente disposto di associare l’uomo all’opera della sua grazia. L’azione paterna di Dio precede con la sua ispirazione, mentre il libero agire dell’uomo viene dopo nella sua collaborazione, così che i meriti delle opere buone devono essere attribuiti innanzitutto alla grazia di Dio, poi al fedele. Il merito dell’uomo torna, peraltro, anch’esso a Dio, dal momento che le sue buone azioni hanno la loro origine, in Cristo, dalle ispirazioni e dagli aiuti dello Spirito Santo.
Tutto è dono – CCC 1821: Noi possiamo, dunque, sperare la gloria del cielo promessa da Dio a coloro che lo amano [Rm 8,28-30] e fanno la sua volontà [Mt 7,21]. In ogni circostanza ognuno deve sperare, con la grazia di Dio, di perseverare “sino alla fine” [Mt 10,22; Concilio di Trento: DS 1541] e ottenere la gioia del cielo, quale eterna ricompensa di Dio per le buone opere compiute con la grazia di Cristo. Nella speranza la Chiesa prega che “tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4). Essa anela ad essere unita a Cristo, suo Sposo, nella gloria del cielo.
Lo scandalo – CCC 2284-2285: Lo scandalo è l’atteggiamento o il comportamento che induce altri a compiere il male. Chi scandalizza si fa tentatore del suo prossimo. Attenta alla virtù e alla rettitudine; può trascinare il proprio fratello nella morte spirituale. Lo scandalo costituisce una colpa grave se chi lo provoca con azione o omissione induce deliberatamente altri in una grave mancanza. Lo scandalo assume una gravità particolare a motivo dell’autorità di coloro che lo causano o della debolezza di coloro che lo subiscono. Ha ispirato a nostro Signore questa maledizione: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli…, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare” (Mt 18,6). Lo scandalo è grave quando a provocarlo sono coloro che, per natura o per funzione, sono tenuti ad insegnare e ad educare gli altri. Gesù lo rimprovera agli scribi e ai farisei: li paragona a lupi rapaci in veste di pecore.
La tolleranza di Dio – Paolo Curtaz (Meditazione, 26 Febbraio 2014): I guaritori dell’epoca si avvicinavano all’ammalato e cominciavano a praticare strani gesti taumaturgici, invocando l’aiuto di grandi uomini del passato, Salomone, fra tutti, e del presente. Il fatto che qualche guaritore avesse iniziato a citare Gesù ci rivela quanto la sua fama si stesse diffondendo! E Giovanni l’apostolo resta scosso da tale invocazione: il guaritore in oggetto non è uno del gruppo dei discepoli, è un perfetto sconosciuto. Ingenuamente comunica a Gesù di avere tentato in tutti i modi di fermarlo, senza riuscirvi. Non ha il patentino di discepolo, come si permette di invocare il nome di Gesù. Il Maestro, invece, sorride. Va bene così, lascia fare, nessuno invoca il mio nome e mi è nemico. La sua è una risposta inclusiva, rasserenante, che riconcilia con la vita. Non c’è bisogno di superare un esame per cercare Dio, non c’è bisogno di un patentino per invocare il nome di Cristo. Dio ha molta più tolleranza di quanta ne abbiamo noi, tristemente abituati a bollare le persone e a guardarle con sospetto se non fanno parte del gruppo dei ‘nostri’. Per Dio ogni uomo è dei ‘nostri’. Riconosciamolo!
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Cristo, Signore e Re – «Dal momento che noi uomini non abbiamo voluto riconoscere Dio attraverso il suo Verbo e ci siamo rifiutati di servire il Verbo di Dio, nostro naturale signore, è piaciuto a Dio di manifestare in un uomo la sua autorità e di attrarre tutti a sé. Non era conveniente, peraltro, che ciò avvenisse in virtù di un uomo come tutti gli altri, onde evitare che, avendo un uomo come signore, onorassimo la dimensione umana in quanto tale. È questo il motivo per cui il Verbo stesso si fece carne, assumendo il nome di Gesù, e il Padre lo rese Signore e Cristo, destinandolo, cioè, a dominare e a regnare. Nel nome di Gesù, pertanto, mentre ogni ginocchio si piega, noi riconosciamo altresì lo stesso Figlio come Signore e Re e, per il suo tramite, perveniamo alla conoscenza del Padre» (Atanasio).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: «Gesù disse: “Non glielo impedite”». Non c’è cosa peggiore che andare avanti per categorie. È proprio quello che invece fanno i discepoli. Ragionare per categorie significa molto semplicemente una cosa: incastrare necessariamente tutto e tutti dentro gli spazi angusti dei nostri giudizi, e questi giudizi, oltre che essere spesso sbagliati, hanno un effetto immediato: quello di innalzare steccati, muri divisori. Chi ragiona per categorie non fa altro che dividere, separando alcuni da altri: buoni e cattivi, chi merita e chi non merita, chi deve e chi no… Dalle categorie nascono i pregiudizi, perché se una persona rientra in una categoria, automaticamente gli affibbiamo tutti i pregi e (soprattutto) i difetti di quella categoria, anche se egli ne fosse completamente estraneo. Basti pensare a cosa in fondo sia il razzismo: si parta dal dividere, in base alla razza o al colore della pelle o alla provenienza geografica o alla religione… per “vestire” quella persona con gli abiti di quella categoria (solitamente i peggiori!). Ma non ci accontentiamo solo di questo: facciamo di peggio! Quelle categorie, infatti, diventano per noi quasi un dogma intoccabile e ci sentiamo in dovere, quindi, di giudicare chiunque non le rispetti. E arriviamo, senza timore, a rimproverare perfino Dio! Roba da non crederci, vero? Eppure quante volte ci scandalizziamo di Dio perché non fa morire i malvagi, o perché non manda in rovina i ladri, o perché non ferma con un infarto i terroristi? Ragionando come il mondo, ci dimentichiamo come ragiona Dio: per lui ci sono solo figli, magari più buoni o più malvagi, ma rimangono figli. Anzi proprio per i più malvagi e peccatori (siamo sicuri che sono gli altri?) riserva maggiori cure e attenzioni.
** O Signore, amante della vita e dell’unità, che tutti ami e accogli: tu sei fedele ad ogni tuo figlio, tu ti doni tutto a ciascuno, tu sei l’eterno presente in ciascuno di noi. Tu sei dietro la porta di ogni cuore, anche il più indurito, e bussi, e attendi… e quando uno ti apre tu non tardi ad entrare, a fermarti, a far festa con lui.
Santo del giorno: 27 Febbraio – San Gabriele dell’Addolorata, Religioso: “Francesco Possenti nacque ad Assisi nel 1838. Perse la madre a quattro anni. Seguì il padre, governatore dello Stato pontificio, e i fratelli nei frequenti spostamenti. Si stabilirono, poi, a Spoleto, dove Francesco frequentò i Fratelli delle scuole cristiane e i Gesuiti. A 18 anni entrò nel noviziato dei Passionisti a Morrovalle (Macerata), prendendo il nome di Gabriele dell’Addolorata. Morì nel 1862, 24enne, a Isola del Gran Sasso, avendo ricevuto solo gli ordini minori. È lì venerato, nel santuario che porta il suo nome, meta di pellegrinaggi, soprattutto giovanili” (Avvenire).
Preghiamo: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù…