VII Domenica del Tempo Ordinario (C) – 24 Febbraio 2019
Dal primo libro di Samuèle (26,2.7-9.12-13.22-23) – Il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano: Saul, posseduto da «un cattivo spirito sovrumano», (1Sam 18,10), aveva già tentato di ammazzare Davide. Ora, lo insegue nel deserto di Zif, una località distante circa 7 Km da Ebron. Davide, nonostante fosse tanto caparbiamente perseguitato, risparmia Saul e lo salva da una sicura morte. Davide perdona perché propenso all’amore e al perdono, ma anche perché il re Saul è un «consacrato del Signore» e stendere la mano sull’unto del Signore sarebbe stata una grave mancanza (Sal 105 [104],15). In questo modo, nel brano veterotestamentario, viene illustrato il precetto di amare i nemici che poi, nel NT, da Gesù verrà dettato come norma squisitamente cristiana.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (15,45-49) – Come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste: Come Adamo «divenne un essere vivente» (Gen 2,7) e fonte della vita biologica, così Cristo Gesù, nella sua risurrezione, diviene uno spirito vivificante («spirito datore di vita»), che invia lo Spirito Santo e rende gli uomini partecipi della sua vita risuscitata e gloriosa. I battezzati già ora sono partecipi della vita del Signore risorto, tuttavia è un processo di glorificazione continuamente in atto: «… noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18).
Dal Vangelo secondo Luca (6,27-38) – Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso: Il brano evangelico di oggi, dal punto di vista del contenuto, «si presenta collegato all’ultima beatitudine e all’ultima maledizione. Ecco la struttura del brano: – prima il superamento della legge del taglione [vv. 27-31], – poi segue l’invito alla carità sul modello di Dio [vv. 32-36], – il tutto si chiude con una sollecitudine a non giudicare [vv. 37-38]. Sarà utile notare che come la seconda parte termina con un’affermazione solenne di Gesù [v. 36] così anche la prima si chiude con la cosiddetta regola d’oro [v. 31]» (C. Ghidelli).
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».
Approfondimento
La misericordia – Carlo Tomasini (Misericordia in Schede Bibliche, EDB): Sul tema della misericordia di Dio, il Nuovo Testamento riprende l’insegnamento dell’Antico Testamento. Anzi, nel Nuovo Testamento l’attributo divino della misericordia acquista particolare rilievo, perché la buona novella, l’evento salvifico giunto al suo compimento in Cristo, è appunto una rivelazione di misericordia.
Maria, nel Magnificat, canta con le parole dei salmi la misericordia divina manifestatasi in lei (Lc 1,50); questa misericordia viene legata alla sua fedeltà, e quindi richiama l’idea del patto: «Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1,54).
Di questa misericordia si dice che Dio è “ricco” (Ef 2,4); questa misericordia viene detta “grande” (1Pt 1,3). La misericordia divina si manifesta con l’aiuto nelle necessità fisiche; così l’uomo che era stato indemoniato viene esortato ad annunciare come frutto della misericordia divina la sua guarigione (Mc 5,19).
Il ministero apostolico di Paolo viene più volte descritto come un frutto della divina misericordia, che liberamente lo ha chiamato e lo ha scelto per fare di lui una manifestazione di essa (1Cor 7,25; 2Cor 4,1); uno scorcio particolarmente suggestivo di questa riflessione di Paolo su se stesso come oggetto di misericordia e sul significato di questa misericordia lo troviamo nella 1Tim 1,l3-16: «… io che per l’innanzi ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo lontano dalla fede; e la grazia del nostro Signore ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che sono in Cristo Gesù. È sicura questa affermazione e degna di essere accettata: Cristo Gesù venne nel mondo per salvare i peccatori, e di questi il primo sono io! Ma fu usata misericordia con me, perché Gesù Cristo volle dimostrare in me, per primo, tutta la sua longanimità, ad esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna».
La misericordia divina è vista qui in quella che ne è la manifestazione più tipica, il perdono dei peccati. Ne viene vista l’espressione fondamentale, l’evento salvifico della redenzione di Cristo; e la chiamata dell’apostolo che era stato persecutore viene vista come un esempio di questo appello misericordioso ai peccatori.
Una più profonda riflessione teologica sulle caratteristiche della misericordia divina si trova in Rm 9,15-22. Si riprendono qui dei testi e delle tematiche dell’Antico Testamento per mostrare che la misericordia divina è assolutamente gratuita, si esercita secondo il divino beneplacito, e non le si può chieder conto dei criteri secondo i quali sceglie i suoi eletti.
Tutta la storia della salvezza è vista da Paolo sotto il segno della divina misericordia (Rm 11,30-32; 15,8; Tt 3,5). Il giudizio finale viene visto come momento di misericordia per i giusti (Mt 5,7). Cristo viene detto “misericordioso” in Eb 2,17. Tutto il suo atteggiamento si manifesta come una rivelazione della misericordia divina.
L’idea del Nuovo Testamento, che presenta Cristo come il rivelatore di Dio, si manifesta particolarmente per quanto riguarda questa caratteristica della misericordia. Tutto il Nuovo Testamento può essere considerato una rivelazione dell’amore misericordioso di Dio, manifestatosi in Gesù Cristo attraverso la morte redentrice che libera i peccatori dal loro stato di inimicizia con Dio. Ricordiamo solo un passo che ci manifesta in maniera tipica questo atteggiamento di Gesù verso gli uomini. Richiesto indirettamente dai farisei sulle motivazioni del suo stare a mensa coi pubblicani e coi peccatori, Gesù risponde: «Non sono i sani ad avere bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa significhi: Voglio la misericordia e non il sacrificio; non sono venuto infatti a chiamare i giusti ma i peccatori» (Mt 9,12-13).
Commento al Vangelo
Amate i vostri nemici – Non sempre l’amore ha animato le relazioni tra gli uomini. Raramente anche in Israele. Nell’Antico Testamento, incalzante è il monito rivolto agli Israeliti ad amare tutti, anche i forestieri: «Amerai [il forestiero] come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto» (Lv 19,34). Un tesoro sciupato perché, il più delle volte, rimase incastonato solamente nella dorata cornice liturgica: un memoriale perché ogni generazione ricordasse il peccato del popolo, la sua dura schiavitù in terra straniera e la liberazione potente operata da Dio misericordioso. A dilapidare questo tesoro ci pensò poi la tradizione umana che con il tempo aveva preso il sopravvento sulla legge di Dio (Mt 15,1-9).
Gesù, Parola del Padre, viene a purificare il fondo del cuore del-l’uomo liberandolo dall’odio, dalla grettezza della mente, dall’usura, dal giudizio temerario, dall’incapacità del perdono.
Opere della carne (Gal 5,19-21: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere) alle quali Gesù contrappone le opere dell’amore e che troviamo codificate nell’insegnamento paolino come opere dello Spirito: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).
Questa liberazione dall’egoismo e dalla grettezza della carne operata dal Verbo è piena risposta all’angosciante grido di Paolo: «Chi potrà liberarmi da questo corpo votato alla morte?» (Rm 7,24).
Tutto è grazia, ma anche fatica e sollecita risposta umana. È perentorio corrispondere al dono di Dio.
Nel brano evangelico, Gesù indica esplicitamente due strade per arrivare a questa liberazione. Innanzi tutto, guardare al Padre, – Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre -; guardare a Lui, fissare gli occhi sul suo cuore: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Poi, offrire il proprio corpo all’incisione del divino chirurgo perché il medico possa incidere la carne in putrefazione e fare scaturire il pus che avvelena il cuore e la mente dell’uomo.
Perché nulla resti nel campo della teoria, Gesù chiede praticamente che l’uomo, vincendo se stesso, ami i suoi nemici; domanda di fare del bene e prestare senza sperare nulla in contraccambio; di essere misericordioso, di non giudicare, di non condannare, di perdonare, di dare abbondantemente: proposte tutte terribilmente concrete, opere che attraversano il quotidiano dell’uomo (cfr. Rm 10,8). Cristo non chiede cose spirituali o straordinarie, come la penitenza o la mortificazione, ma atteggiamenti concreti: la capacità nobile di relazionarsi con il prossimo; una vittoria totale sull’io e, infine, aprire il cuore, la mente, l’anima alla potente, vivificante azione dello Spirito Santo.
In tal modo, Luca, con questa impareggiabile pagina, educa i missionari di tutti i tempi: coloro che portano la Parola non stiano a fantasticare, ma annuncino la vera, Buona Notizia che vuole sanare globalmente l’uomo: il Vangelo che promette il Paradiso e la beatitudine della pace già in questa terra, pace con se stessi, pace con il mondo circostante, pace con Dio (Lc 1,79; 2,14).
Il servo della Parola, colui che è mandato ad annunciare la Parola di Dio sino agli estremi confini della terra, se vuole assolvere fedelmente il suo mandato deve essere un uomo riconciliato con se stesso, con i fratelli e con Dio. E la riconciliazione ha unicamente il fragrante sapore dell’amore.
Riflessione
L’uomo tratto dalla terra è di terra – Oggi si tende a minimizzare la reale condizione dell’uomo: lo si vuole signore dell’universo, facitore e costruttore di un mondo efficiente e autosufficiente, indipendente da Dio. In questa comprensione c’è una mancanza di umiltà. Il bene che c’è nell’uomo se staccato dalla memoria del suo peccato originale diventa fittizio e inutile, diventa orgoglio, ostacolo alla sua reale e totale salvezza: «Per la tua misericordia, mio Signore e mio Dio, dimmi, dimmi che cosa sei per me. Dillo all’anima mia: “Io sono la tua salvezza”» (Sant’Agostino, Confessioni Libro I,5).
L’uomo esce dalla sua ombra solo se illuminato da Cristo, «il quale rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (GS 22).
L’uomo non è un essere autonomo e la «speranza della realizzazione di sé è legata al dialogo che egli accetta con Dio. In questo dialogo è posta la sua salvezza. Occorre però che l’uomo sia cosciente di ciò che egli è. Anzitutto della sua povertà. Di fronte a Dio egli è un povero colmato di favori. Non può non essere umile. L’umiltà del povero si traduce nel silenzio adorante. Creatura di Dio, sua immagine e interlocutore nell’alleanza, l’uomo deve tener conto di questa realtà nel suo agire» (G. Ghiberti).
Deve tenere conto che c’è un «difetto costituzionale» che inquina la sua volontà e il suo operare, che rende difficile, e a volte lo inceppa, il dialogo con Dio e con la comunità. Questo «difetto costituzionale» porta il nome di «peccato originale» e «peccato attuale».
Tutta l’umanità è coinvolta in uno stato di peccato. Il racconto del peccato di Eva e di Adamo descrive l’origine di una condizione che lo scrittore sacro avvertiva come universale, così come avverrà ancora nel Nuovo Testamento: «Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato […], per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori» (Rm 5,12.19).
Il peccato abita nell’uomo (Rm 7,14-25): esso è entrato nell’umanità per mezzo della colpa iniziale dei nostri progenitori. È la dottrina del peccato originale che «- connessa strettamente con quella della redenzione operata da Cristo – offre uno sguardo di lucido discernimento sulla situazione dell’uomo e del suo agire nel mondo. In conseguenza del peccato dei progenitori, il diavolo ha acquistato un certo dominio sull’uomo, benché questi rimanga libero. Il peccato originale comporta “schiavitù sotto il dominio di colui che della morte ha il potere cioè il diavolo”», per cui, conclude il Catechismo della Chiesa Cattolica, ignorare «che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi» (407).
Tale «drammatica condizione del mondo che “giace sotto il potere del maligno” (1Gv 5,19), fa della vita dell’uomo una lotta: “una lotta tremenda contro le tenebre; lotta incominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno”» (ibidem 407).
Per Luis Ladaria questa affermazione del Catechismo «è un richiamo al realismo. La dottrina del peccato originale ci aiuta a comprendere l’uomo ed il mondo. Pascal diceva che il peccato originale è certamente difficile da comprendere. Ma senza di esso parecchie cose diventano ancora molto più incomprensibili. Molti di noi sottoscriverebbero senza alcuna difficoltà questa acuta osservazione. Dimenticare la situazione in cui il peccato ha posto l’uomo, ed un certo dominio che il suo potere esercita su di noi, la nostra inclinazione al male, etc. non porta a nessun buon risultato».
È realismo anche l’affermazione di Paolo: «E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste» (1Cor 15,49). Queste parole sono vere è servono a controbilanciare l’endemica debolezza dell’uomo. Partendo dalla conoscenza della propria fragilità l’uomo sente il bisogno di aprirsi a Dio, lo sente come l’unico e vero amico, come l’unico Redentore. Così conoscere la propria miseria non lo abbatte (2Cor 12,9) perché Dio non umilia, ma anzi lo esalta perché sa che alla fine sarà trasfigurato in Cristo, «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18).
L’uomo deve avere la consapevolezza che è impastato di miseria (la sua carne) e di nobiltà (la vita di Dio a lui donata gratuitamente): solo così può essere aiutato a raggiungere la salvezza e solo così diventa possibile attuare il programma di carità verso Dio e verso il prossimo, insegnato dal Cristo e illuminato dal Vangelo.
La pagina dei Padri
Non giudicare – San Giovanni Crisostomo: Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati. «Non è vostro fratello che voi condannate, ma voi stessi; siete voi che vi preparate un temibile tribunale, davanti al quale dovrete rendere conto rigoroso del vostro comportamento. Come Dio ci perdonerà i nostri peccati nella misura in cui noi avremo perdonato agli altri, così anche ci giudicherà nella misura in cui avremo giudicato gli altri. Non dobbiamo, quindi, né ingiuriare, né insultare coloro che peccano, ma dobbiamo avvertirli. Non bisogna dirne male e diffamarli, ma consigliarli. Dobbiamo correggerli con amore e non insorgere contro di loro con arroganza. Se trattate il vostro prossimo senza rispetto e senza pietà quando dovrete decidere dei suoi errori e determinare le sue colpe, non sarà lui, ma voi a essere condannati all’estremo supplizio.
Vedete come sono lievi questi due comandi di Gesù, e come essi costituiscono in effetti una sorgente di grandi beni per coloro che li praticano e, per conseguenza, di mali per quanti li trascurano? Chi perdona suo fratello, libera se medesimo da ogni accusa, prima ancora che suo fratello, senza che gli costi alcun sacrificio. Chi giudica le colpe degli altri con moderazione e con indulgenza, accumula in tal modo per se stesso un grande tesoro di misericordia. Qualcuno potrebbe dirmi a questo punto: Ma se un uomo cade nella fornicazione, non gli si dovrà dunque dire che la fornicazione è un male e non si dovrà correggerlo con energia per il suo peccato? Correggilo, certo, però, non come se tu fossi un nemico che chiede giustizia, ma comportandoti come un medico che prepara il rimedio per guarire il malato. Cristo non ti disse di non impedire al prossimo di peccare, ma ti ordinò di non giudicare, cioè di non diventare un giudice aspro e severo».