VI Domenica del Tempo Ordinario (C) – 17 Febbraio 2019
Dal libro del profeta Geremìa (17,5-8) – Maledetto chi confida nel–l’uomo; benedetto chi confida nel Signore: Mentre il re ed i suoi ministri si affannano a cercare alleanze ed appoggio con l’Egitto contro l’Assiria, il profeta Geremia predica la fiducia in Dio. Solo Dio, certo non l’esercito egiziano, avrebbe salvato Israele dagli Assiri; ma non viene ascoltato. A ragione pertanto può dire: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo… Sarà come un tamerisco nella steppa… dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere». Maledetto, non perché il Signore voglia per lui il male, o gli mandi delle disgrazie, ma perché da se stesso si è messo sulla strada della rovina. L’uomo che confida nell’uomo è sulla strada sbagliata. Mettere tutta la propria fiducia nelle cose materiali e fare di esse il fine ed il fondamento della propria vita, è andare incontro alla delusione e al fallimento.
Dal Salmo 1 – Beato l’uomo che confida nel Signore: «Anzitutto dobbiamo considerare a cosa tende il discorso, qual è il fine… Il fine della vita virtuosa è la beatitudine. E il vero beato è Dio, come dice 1Tm 6,15s: “Beato e unico sovrano, re dei re, signore dei signori, l’unico che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile e che nessuno degli uomini vide, né può vedere, al quale s’appartiene onore e potere sempiterno!”. A mio parere, questa è la definizione di beatitudine. Ma tra gli uomini è beato colui che assomiglia a Dio per la comunione con lui e la partecipazione alla sua vita. Questa dunque sarà la definizione della beatitudine umana: una somiglianza alla beatitudine divina» (Gregorio Nisseno).
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (15,12.16-20 ) – Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede: Negare la risurrezione di Cristo significa negare anche la risurrezione dell’uomo. Non solo: negare «la risurrezione dei morti pregiudica altresì il regno di Cristo e ultimamente il regno di Dio. Al dominio del Signore e alla signoria divina sarebbe sottratta la morte, ultimo nemico dell’uomo: e non sarebbe più vero ciò che dichiara il salmo 110 inteso da tutta la tradizione della chiesa primitiva in senso cristologico: “finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi”. E sarebbe irrealizzabile il “Dio tutto in ogni cosa” che costituisce appunto il traguardo della regalità divina» (G. B.). Verrebbero annullate anche le Beatitudini in quanto non avrebbe più senso il soffrire per il regno dei cieli.
Dal Vangelo secondo Luca (6,17.20-26) – Beati i poveri. Guai a voi, ricchi: Luca riporta quattro beatitudini e le fa seguire da quattro maledizioni antitetiche, contrapposte alle beatitudini. A differenza di Matteo, Luca rifugge dal dare alle beatitudini una connotazione spirituale. Essendo il premio fissato nella vita ultraterrena, l’uomo deve stare sempre saldo nella fede confidando nella promessa di Dio, come Abramo, il quale «credette, stando saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18).
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Approfondimento
Gesù e i poveri – R. T. (Povero in Schede Bibliche Pastorali, EDB): Spesso il Vangelo ci mostra i poveri attorno a Gesù. Si tratta di mendicanti, di infermi, di vedove… che si rivolgono a lui. A loro riguardo, Gesù in primo luogo ha ripreso l’insegnamento tradizionale sul dovere di assistenza ai poveri. Egli stesso pratica l’elemosina (Gv 13,29) e vede in essa un’opera tipica della «giustizia» (Mt 6,1-4); la loda nella povera vedova del tempio (Mc 12,41-44) e in Zaccheo (Lc 19,8-9); la raccomanda ai suoi discepoli (Mc 10,21; Lc 11,41; 12,33; 16,9; cfr. 14,13.21).
Al di là del dovere di assistenza, Gesù ha dato alla povertà effettiva un altro valore. Sapendo che ci saranno sempre dei poveri sulla terra (Mc 14,7; Mt 26,11; cfr. Dt 15,11), ha insegnato a vedere in essi un sacramento della propria presenza: attraverso i diversi volti della povertà, noi giungiamo misteriosamente a lui. Nell’evocazione del-l’ultimo giudizio, ha anticipato ciò che sarà detto a ognuno di noi, in base al comportamento che avremo tenuto nei riguardi dei poveri: ciò che avremo fatto a un piccolo, a un bisognoso, lo avremo fatto a lui (cfr. Mt 25,34-40).
Questo testo indica la grande dignità dei poveri, destinati ad essere un segno perenne della presenza del Signore, il quale nell’incarna-zione, nella vita pubblica, nella passione ha voluto assumere la povertà, la sofferenza e l’insuccesso per dare loro un senso nuovo.
Abbiamo due versioni di questa beatitudine, ambientata nel discorso del monte: quella lucana, caratterizzata dal discorso diretto e dalla menzione dei poveri senza alcuna aggiunta: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,20). In altre parole: mi congratulo con voi che versate in situazione obiettiva di disagio, miseria, oppressione, distretta, perché Dio sta per diventare re, difensore e protettore vostro. Si tratta di una proclamazione messianica di gioia, per l’imminente intervento regale e liberatore di Dio.
La versione di Matteo invece si caratterizza per il discorso in terza persona e soprattutto per la precisazione dei destinatari: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (5,3). La beatitudine viene così spiritualizzata: beneficiari sono quanti realizzano la virtù della povertà spirituale, cioè dell’umiltà: essere curvi davanti a Dio. A loro è promesso l’ingresso nel regno finale di Dio.
La dimensione messianica della beatitudine dei poveri, presente a livello di Gesù di Nazaret, emerge di nuovo nel detto testimoniato da Mt 11,6 e Lc 7,23, in cui rispondendo alla delegazione del Battista, Gesù rimanda ai segni da lui compiuti, segni messianici preannunciati da Isaia: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi vengono mondati, i sordi odono, i morti risuscitano; il tutto sintetizzato nel lieto annuncio proclamato ai poveri: «Ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5; Lc 1,11). Il Vangelo (euaggelizesthai) proclamato da Gesù ha quali destinatari e beneficiari i poveri, intesi come persone bisognose, che l’intervento di grazia di Dio, mediato da Gesù, toglie dal bisogno e dalla miseria, in concreto dalla cecità, dall’essere storpio, dalla lebbra, dalla sordità, dalla morte.
Analogo è il pronunciamento profetico di Gesù nella sinagoga di Nazaret, all’inizio della sua missione. Dopo aver letto il brano isaiano: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19), afferma: «Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21).
In breve, il messaggio di gioia proclamato ai poveri non consiste in una parola consolatoria, destinata a rafforzare la rassegnazione, ma in un’azione efficace di liberazione e di giustizia resa a coloro che giustizia non hanno.
Commento al Vangelo
Beati – La pericope lucana delle Beatitudini è presente anche nel vangelo di Matteo (cfr. 5,1-12), ma con nette divergenze.
Luca, a differenza di Matteo, fa scendere Gesù in un luogo pianeggiante, una possibile allusione alla discesa di Mosè dal monte Sinai per comunicare al popolo d’Israele la parola di Dio (cfr. Es 19; 32; 34).
Mentre in Matteo (cfr. 5,1) Gesù rivolge il discorso alla folla, in Luca lo indirizza ai discepoli, a quanti cioè hanno già fatto una scelta, ponendosi alla sua sequela. Si doveva «trattare di credenti che vivevano in situazioni di povertà materiale e di oppressione, come testimoniano le maledizioni rivolte agli oppressori. Ebbene Luca dice: proprio loro si devono considerare beati e felici» (G. BE).
Inoltre, il testo lucano contiene quattro beatitudini, a differenza delle otto riportate da Matteo, e quattro guai. Questa opposizione, beati-guai, che ricorda le due vie «Vita e bene, morte e male» (cfr. Dt 30,15-20), mette il discepolo di fronte a una radicale scelta a cui seguono precise conseguenze: o la benedizione o la maledizione (cfr. Mt 12,30).
La concisione della pericope può attestare che probabilmente Luca, a differenza di Matteo, descrive l’insegnamento di Gesù in una forma che verosimilmente è molto più vicina allo stile del Maestro.
Anche per quanto riguarda il messaggio i due evangelisti si diversificano. Mentre Matteo «compone le beatitudini in vista soprattutto di una catechesi che vuole descrivere le condizioni etiche per entrare nel regno dei cieli, Luca considera piuttosto la situazione del mondo nel quale la Chiesa si trova a vivere: il punto di vista sociale sta per Luca in primo piano [cfr. beati voi poveri]. Anche l’opposizione tra adesso dei vv. 21 e 25, che indica appunto un’epoca storica ben determinata, e in quel giorno del v. 23, oltre ai futuri, è degna di essere sottolineata: essa infatti mette in grande rilievo il carattere messianico ed escatologico delle beatitudini-maledizioni per Luca» (Carlo Ghidelli).
Le beatitudini lucane sono simmetriche alle condanne o guai: da una parte i poveri, dall’altra i ricchi; da una parte quelli che piangono, dall’altra i gaudenti, ecc. I poveri, a cui allude Luca, sono coloro ai quali è destinata la buona novella della liberazione, dell’anno di grazia, del perdono (cfr. Is 61,1; Lc 4,14ss). Essi, insieme agli storpi, agli zoppi, ai ciechi, ecc., sono i veri privilegiati di Dio.
Il povero «è caratterizzato non solo da uno stato d’indigenza o di afflizione ma soprattutto dall’umile consapevolezza di poter confidare in Dio, da una insoddisfazione nei confronti dei beni del mondo, dalla tristezza a causa delle miserie proprie e degli uomini, per cui orienta tutte le sue attese verso Dio. In questo senso i poveri si oppongono ai sazi, a coloro che si sentono contenti di se stessi, autosufficienti e paghi dei loro attuali godimenti» (P. R. Scognamiglio).
I guai rivolti ai ricchi non devono fare pensare a una condanna tout court della ricchezza. Per il mondo biblico, la ricchezza è semplicemente un dono di Dio (cfr. Gen 31,5-9; Dt 28,3-7) e nella letteratura sapienziale a volte è lodata. Infatti, grandi sono i vantaggi che la ricchezza porta con sé: amicizie (Pro 14,20; 19,4), onore (Sir 10,30), pace (Sir 44,6), una vita beata e piena di sicurezza (Pro 10,5; 18,11.16; Sir 31,8.11), possibilità di praticare l’elemosina (Tb 12,8). Le condanne sono rivolte ai ricchi avari, rapaci e senza scrupoli nei loro affari.
La condanna è per chi idolatra la ricchezza ponendola al posto di Dio. E in questo senso, va compreso l’insegnamento di Paolo: «… Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti» (1Tm 6,10).
Nelle parole di Gesù si viene ad evidenziare così un conflitto tra il discepolo, il credente, il quale pone la sua fiducia unicamente in Dio, e l’empio, il miscredente, colui che ha posto la speranza nei beni caduchi e transitori, come il denaro, il piacere. Nelle Beatitudini, ancora una volta, emerge il modo di agire di Dio che stride formalmente e sostanzialmente con l’agire del mondo: l’uomo è beato non a motivo di una felice sorte, ma a motivo di una cattiva sorte quale la povertà, la persecuzione, il dolore. Ma tutto sopportato per Cristo e il suo regno, altrimenti si scivolerebbe in un dolorismo inutile.
Riflessione
Lacrime: una porta aperta alla gioia – Se i dolenti, gli afflitti, i poveri sono beati, non dobbiamo pensare che bastino le lacrime per entrare nel regno dei cieli; occorrono nobili ragioni che diano spessore e valore alle sofferenze, perché la vita eterna non si conquista con i piagnistei.
Se l’afflizione dei credenti, a riguardo del mondo in cui vivono, è il segno della loro rottura interiore con il mondo attuale e della loro attesa del Regno di Dio, così coloro che piangono lo fanno perché hanno trovato nel mondo un motivo di dolore e di sofferenza, ma in futuro rideranno, perché troveranno nella casa del Padre la felicità della vita eterna.
Questa felicità Gesù l’esprime con l’immagine del banchetto e degli invitati a nozze, aggiungendo che a questo banchetto saranno invitati «i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi» (Lc 14,21) e la condizione vera per essere ammessi non è tanto la dolenza o l’indigenza, ma il fatto di essere suoi discepoli e di aver perseverato nella sequela: «Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mensa del mio regno» (Lc 22,28-30).
Così per la persecuzione. I perseguitati sono quelli che sopportano i cattivi trattamenti per un doppio motivo: a causa della giustizia perché vivono fedeli a Dio e a causa di Gesù Cristo, per il fatto che sono suoi discepoli. Sono perseguitati perché hanno un atteggiamento di contestazione, di disaccordo con la vita del mondo (cfr. 1Pt 4,3-4). Per i cristiani la persecuzione è pedagogia di Dio, e «la Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire dalla stessa opposizione di quanti la avversano e la perseguitano» (GS 44).
La persecuzione è una benedizione perché dà alla vittima l’opportunità di testimoniare la sua appartenenza al Cristo di fronte ai pagani che ignorano ogni speranza (cfr. Lc 12,11-12; Ef 2,12; 1Ts 4,13; 1Tm 6,12-15; 2Tm 4,17).
Chi è perseguitato gioisce nel Signore perché possiede la certezza che il «Dio… di ogni grazia che ci ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, dopo un po’ di patire, ci porterà a perfezione, ci fortificherà e renderà saldamente stabili» (LG 41).
Infine, è bene tenere a mente che le Beatitudini sono rivolte «a ciascuno personalmente, ma anche all’insieme della Chiesa, popolo nuovo di coloro che hanno ascoltato la promessa e di essa vivono nella fede» (CCC 1719). Praticamente a tutti e, in questo modo, a tutti i discepoli viene detto che occorre vincere la terribile illusione di operare bene limitandosi ad ascoltare la parola di Dio senza metterla in pratica (cfr. Gc 1,19-25).
La pagina dei Padri
I «guai a voi» di Luca – Beda il Venerabile: “Guai a voi che siete sazi, perché avrete fame” (Lc 6,25). Era sazio quel ricco… che faceva ogni giorno splendidi banchetti, ma stava certo poi in un gran guaio, quando, affamato, dovette chiedere che dal dito del disprezzato Lazzaro gli cadesse una goccia sulla bocca. D’altra parte, se son beati quelli che hanno sempre fame delle opere di giustizia bisogna pur che siano infelici coloro che, al contrario, seguendo i loro desideri, non sentono nessuna fame di veri e solidi beni e si reputano abbastanza felici, se per il momento non son privi del loro piacere.
“Guai a voi che ridete, perché sarete tristi e piangerete” (Lc 6,25). E Salomone dice: “Il riso sarà mescolato al dolore e la gioia finirà in lutto” (Pro 14,13). E ancora: “Il cuore dei sapienti è quello dov’è tristezza e il cuore degli stolti è quello dov’è letizia” (Qo 7,5); e questo vuole insegnare che la stoltezza dev’essere attribuita a quelli che ridono e la prudenza a quelli che piangono.
“Guai a voi, quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc 6,26). È ciò che il Salmista deplora, “poiché il peccatore è lodato per i suoi desideri e il malvagio è benedetto” (Sal 9,24). A costui non dà nessuna pena che i suoi delitti non siano ripresi… come se avesse fatto bene.
“I padri di questa gente hanno trattato allo stesso modo i profeti” (Lc 6,26). Ma qui intende gli pseudoprofeti, i quali nella Sacra Scrittura son chiamati anche profeti, perché, per accaparrarsi il favore del popolo, si sforzavano di predire cose future. Perciò dice Ezechiele: “Guai ai profeti stolti che vanno dietro alla loro fantasia e non vedono niente; i tuoi profeti, Israele, erano come volpi nel deserto” (Ez 13,3).
Perciò il Signore sulla montagna descrive soltanto le Beatitudini dei buoni, invece nella campagna annunzia anche le sventure dei malvagi; perché la gente più rude per essere spinta al bene ha bisogno di minacce e terrore, i perfetti invece basta invitarli con la prospettiva d’un premio.