12 Febbraio 2019 – Martedì, V del Tempo Ordinario – (Gen 1,20-2,4a; Sal 8; Mc 7,1-13) – I Lettura: Dio crea l’uomo a sua immagine e somiglianza, è l’unico fra tutte le creature ad avere questo privilegio, e nel crearlo a sua immagine, lo rende capace di dialogare con Lui, di conoscerlo e di amarlo. Oltre a crearlo a sua immagine e somiglianza, lo pone come custode di tutta la creazione facendo regnare un’armonia perfetta nell’uomo in se stesso, tra creatura e Creatore, tra uomo e donna, come pure tra la prima coppia umana e tutta la creazione. Vangelo: Il tema della discussione è quello del «lavarsi le mani» che non era un norma igienica, ma una prescrizione rituale della purificazione secondo la «tradizione degli antichi». I tutori della legge consideravano Gesù e i suoi discepoli, a motivo del loro atteggiamento insubordinato, sovvertitori della Legge e questo per la nazione intera poteva avere conseguenze inimmaginabili (cfr. Gv 11,48).
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».
Riflessione: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione». Gesù si riferisce, come spiega bene l’evangelista, a tutte quelle tradizioni umane, tramandate nei secoli, e via via adattate alle varie situazioni quotidiane, staccandole dalle motivazioni reali e profonde con cui erano nate, e diventando sempre più dei riti vuoti, sterili, semplici formalità, azioni utili soltanto ad evitare scrupoli. Diciamo che l’insieme di questi rituali aveva un impatto più “emotivo” che religioso, cioè alla fine serviva più a poter dire a se stessi di essere dei bravi e fedeli credenti in Dio, piuttosto che servire a Dio stesso, come segno esteriore di una interiore ricerca e richiesta di purezza. È il rischio di ogni religione, è il rischio di ogni ritualità, di ogni comandamento. Facciamo un solo esempio tra i tanti possibili: certe feste, certe “tradizioni”, appunto, certe processioni… nate per elevare lo spirito religioso del popolo, per innamorarsi dell’esempio dei santi, per invocare la loro protezione e intercessione, si trasformano a volte in “tradizioni” che nulla hanno a che vedere con lo spirito iniziale della festa stessa, tantomeno con un cammino spirituale o una crescita nella santità. Anzi il rischio è che diventino ostacoli alla fede stessa, per cui la festa diventa motivo di litigi in parrocchia, di malumori, di divisioni e a volte perfino di scandali! E la tradizione, sostituisce la fede!
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Origine dell’uomo – Catechismo degli Adulti 367: L’uomo è tratto dalla terra e partecipa del mondo materiale; ma riceve direttamente da Dio il soffio della vita spirituale. L’evoluzione da sola non basta a dare origine al genere umano; la causalità biologica dei genitori non spiega da sola la nascita di un bambino, persona cosciente e libera, del tutto singolare. Occorre in ambedue i casi uno speciale concorso di Dio creatore.
Dio creò l’uomo a sua immagine… – Gaudium et Spes 12: La Bibbia… insegna che l’uomo è stato creato «ad immagine di Dio» capace di conoscere e di amare il suo Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio. «Che cosa è l’uomo, che tu ti ricordi di lui? o il figlio dell’uomo che tu ti prenda cura di lui? L’hai fatto di poco inferiore agli angeli, l’hai coronato di gloria e di onore, e l’hai costituito sopra le opere delle tue mani. Tutto hai sottoposto ai suoi piedi» (Sal 8,5). Ma Dio non creò l’uomo lasciandolo solo: fin da principio «uomo e donna li creò» (Gen 1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone. L’uomo, infatti, per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti.
A immagine di Dio – CCC 356-357: Di tutte le creature visibili, soltanto l’uomo è «capace di conoscere e di amare il proprio Creatore»; «è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa»; soltanto l’uomo è chiamato a condividere, nella conoscenza e nell’amore, la vita di Dio. A questo fine è stato creato ed è questa la ragione fondamentale della sua dignità. […] Essendo ad immagine di Dio, l’individuo umano ha la dignità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone; è chiamato, per grazia, ad un’alleanza con il suo Creatore, a dargli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: L’amore verso i genitori – «Ma c’è un onore non solo di ossequio, ma anche di liberalità: “Onora le vedove, che sono veramente vedove” [1Tm 5,3]. Onorare, infatti, significa trattare secondo i meriti. Nutri dunque tuo padre, nutri tua madre. E se nutrirai tua madre, non la ricompenserai certo per il dolore, per i tormenti ch’ella ha sofferto per te, non le restituirai le cure che per te ha avuto, non le renderai il cibo che ella ti ha dato con tenera pietà versando il latte delle sue mammelle nelle tue labbra, non le restituirai la fame che ha sopportato per te, quando non mangiava ciò che poteva nuocerti, ciò che poteva sciupare il suo latte. Per te ella ha digiunato, per te ha mangiato, per te non ha preso il cibo che desiderava e ha preso quello che non le piaceva, per te ha vegliato, per te ha pianto: e tu puoi tollerare che le manchi qualcosa? Oh, figlio, quale condanna ti attiri sulla testa, se non nutri tua madre? A lei devi ciò che hai, a lei devi ciò che sei… Tu forse dai agli altri? E se questi ti obietteranno: va’ prima a nutrire tua madre? Infatti, anche se sono poveri, essi non vogliono fruire di un’empia elemosina. Non hai udito parlare poco fa di quel ricco, disteso sul letto di porpora e di bisso e dal cui tavolo Lazzaro raccoglieva le briciole, il quale ha subìto le torture dell’eterno supplizio per non aver dato cibi al povero? Se è grave colpa non dare agli estranei, quanto più grave è escludere i genitori! Tu potresti replicare che preferisci donare alla Chiesa ciò che potresti dare ai tuoi genitori: ebbene, Dio non ti chiede un dono fondato sulla fame dei tuoi genitori. Non a caso il Signore, ai giudei che si lamentavano perché i discepoli di Cristo non si lavavano le mani, ha risposto: “Chiunque dirà: – È sacra offerta il sussidio che dovrei darti, – non onora il padre e la madre” [Mt 15,5-6]» (Ambrogio).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Gli Scribi avevano frantumato la Legge in una casistica sempre più complicata finendo, in tal modo, in una lettura e in un’interpretazione umana, allontanandola sempre più dall’au-tentica volontà di Dio. La Legge donata dal Signore per vivere nella libertà e rimanere popolo di Dio si era ridotta così in un peso insopportabile. Gesù spesso si scaglierà contro questa interpretazione della Legge fatta dagli Scribi e dai Farisei, soprattutto quella che riguardava la purificazione che spesso finiva col trascurare il comandamento dell’amore. Nel testo di Marco possiamo cogliere alcune affermazioni importanti di Gesù. Innanzi tutto, il comandamento di Dio e le tradizioni degli uomini devono essere tenuti distinti. Non sono sullo stesso piano, perenne il primo e provvisorie le seconde. E le tradizioni non devono essere tali da nascondere il comandamento stesso, tali dal velare e distrarci dall’essenziale. Poi, Gesù rifiuta la distinzione giudaica fra puro e impuro, fra una sfera religiosa, separata, in cui Dio è presente e una sfera ordinaria, quotidiana, in cui Dio è assente. Non ci si purifica dalla vita quotidiana per incontrare Dio altrove: il peccato lo portiamo dentro di noi. Ma in questa affermazione v’è un insegnamento ancora più importante. Infatti, per i Farisei andando al mercato c’era il pericolo di una impurità a motivo del probabile contatto con peccatori e pagani. L’afferma-zione di Gesù, alla luce di questo caso, ha un valore straordinario perché di fatto abolisce ogni divisione fra gli uomini, fra puri e impuri. Infine, l’assurda tradizione del korbàn, cioè l’uso tradizionale di sostituire con un offerta votiva al tempio quanto era da riservare per il sostentamento dei genitori anziani e incapaci. Questo, quindi, permetteva ai figli di disobbligarsi con coscienza tranquilla dal dovere di mantenere i genitori impediti. Gesù smaschera l’ipocrisia di questa tradizione che, sotto le apparenze legali e sacrali, risulta una vera e propria violazione del decalogo (Es 20,12) e della parola di Dio e delle sue genuine richieste (Es 21,17).
Santo del giorno: 12 Febbraio – San Benedetto d’Aniane: Il «primo grande padre del monachesimo di stripe germanica», antesignano della riforma cluniacense, era nato come Witiza (Vitizia) nel 750 in una nobile famiglia visigota del Sud francese. Venne mandato a studiare alla corte di Pipino il Breve. Entrò poi nell’esercito di Carlo Magno, combattendo in Italia contro i Longobardi. Qui salvò, a rischio della sua vita, un fratello caduto nel Ticino. Questo fatto lo segnò. Tornò in Francia ed entrò nel monastero di San Sequano, vicino Digione. Ne fu abate, ma i confratelli non sopportavano la sua austerità. Allora lui se ne andò e fondò un suo monastero ad Aniane, presso Montpellier. La comunità fiorì. Morto Carlo Magno, divenne consigliere di Ludovico il Pio. Trascorse gli ultimi anni nell’abbazia di Inden, vicino alla residenza imperiale di Aquisgrana, dove morì nell’821. Di lì, nell’817, dettò un esempio di quelle che oggi si chiamano Costituzioni” (Avvenire).
Preghiamo: Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia, Signore, e poiché unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, aiutaci sempre con la tua protezione. Per il nostro Signore Gesù…