febbraio, Liturgia

V Domenica del Tempo Ordinario (C) 10 Febbraio 2019

Dal libro del profeta Isaìa (6,1-2.3-8) – Eccomi, manda me!: La santità di Dio «è un tema centrale della predicazione di Isaìa, che chiama spesso Jahve “il Santo di Israele” [Is 1,4; 5,19.24; 10,17.20; 41,14.16.20; ecc.]. Questa santità di Dio esige dall’uomo che sia anche lui santificato, cioè separato dal profano [Lv 17,1], purificato dal peccato, partecipando alla “giustizia” di Dio [cfr. Is 1,26 e Is 5,16]» (Bibbia di Gerusalemme). La prontezza del profeta Isaìa richiama la fede di Abramo (Gen 12,1-4) ed è in contrasto con le incertezze di Mosè (Es 4,10-12) e soprattutto di Geremìa (Ger 1,6). San Giovanni, riferendosi a questo passo, afferma in 12,41 che Isaìa vide la gloria di Gesù, facendo in questo modo una chiarissima attestazione della sua divinità.

Dal Salmo 137 (138) – Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria: «Abbiamo in comune con gli angeli il compito di lodare Dio. Diciamo loro: Salmeggiate al nostro Dio, salmeggiate! E sentiamo che ci rispondono: Salmeggiate al nostro re, salmeggiate [Sal 46,6]. I vostri angeli vedono sempre il volto del Padre. Inviati in missione per noi, che siamo gli eredi della salvezza, essi portano in cielo le nostre preghiere e ci riportano la grazia» (San Bernardo).

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (15,1-11 [forma breve 15,3-8.11]) – Così predichiamo e così avete creduto: Alcuni cristiani di Corinto respingevano la risurrezione dei morti. Forse erano di cultura greca in quanto i greci consideravano la risurrezione una concezione grossolana (At 17,32). Per fugare ogni dubbio sulla risurrezione di Cristo, Paolo si appella alla testimonianza di molti testimoni oculari, alcuni, al tempo di Paolo, ancora in vita. Negare la risurrezione di Cristo poi è svuotare di ogni valore la predicazione cristiana. I cristiani di Corinto avrebbero creduto invano e il Vangelo non servirebbe alla loro salvezza. Col ricordare poi le apparizioni del Risorto che segnarono la sua vocazione apostolica, Paolo vuole sottolineare che il suo mandato a predicare non viene dagli uomini, ma da Dio. Per cui la sua predicazione va accolta «non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio» (1Ts 2,13).

Dal Vangelo secondo Luca (5,1-11) – Lasciarono tutto e lo seguirono: Luca ha riunito in questo racconto la storia di una pesca miracolosa e la chiamata di Simone. La barca di Pietro, sulla quale Gesù sale per ammaestrare la folla, in seguito starà ad indicare metaforicamente la Chiesa. La reazione di Pietro mette in evidenza una peculiarità del carattere di Pietro: l’umiltà che spesso si associa al suo carattere irruento e a volte irriflessivo.

 

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Approfondimento

      Gli angeli – I serafini, che fanno da corona alla manifestazione di Dio (Is 6,1ss), sono figure umane, ma munite di sei ali, che richiamano gli esseri misteriosi che portano il carro di Jahve in Ezechiele (1,4ss), e che Ez 10 chiama «cherubini», come le figure analoghe attorno all’arca (Es 25,18).

La tradizione posteriore ha dato il nome di serafini e di cherubini a due classi di angeli.

Secondo le perfezioni spirituali, Dionigi l’Areopagita distingue la gerarchia celeste degli angeli in tre ordini: I Gerarchia: Serafini, Cherubini, Troni; II Gerarchia: Dominazioni, Virtù, Potestà; III Gerarchia: Principati, Arcangeli, Angeli.

Gli angeli sono creature puramente spirituali, personali e immortali, muniti di intelligenza e volontà. Creati da Dio, la loro esistenza «è una verità di fede» e sant’Agostino a loro riguardo dice che la parola angelo «designa l’ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura si risponde che è spirito; se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo» (CCC 328-330).

In tutto il loro essere, «gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che “vedono sempre la faccia del Padre… che è nei cieli” [Mt 18,10], essi sono “potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola” [Sal 103,20]» (CCC 329).

Mirabile è la presenza degli angeli nella Chiesa: «Tutta la vita della Chiesa beneficia dell’aiuto misterioso e potente degli angeli. Nella Liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio tre volte santo; invoca la loro assistenza [così nell’“In Paradiso ti accompagnino gli angeli – nella Liturgia dei defunti, o ancora nell’“Inno dei Cherubini” della Liturgia bizantina], e celebra la memoria di alcuni angeli in particolare [san Michele, san Gabriele, san Raffaele, gli angeli custodi]» (CCC 334-335).

Dalla sacra Scrittura, inoltre, apprendiamo dell’esistenza degli angeli custodi di ogni uomo, ma anche di città o di nazioni (Dn 10,13.20-21).

Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita: «Tuo rifugio è il Signore e hai fatto dell’Al-tissimo la tua dimora, non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda. Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede» (Sal 90,9-13).

È fede comune credere che ogni uomo fin dal momento della nascita ha un angelo deputato alla sua custodia: «Finché è nel seno materno, il bambino non è del tutto separato dalla madre, ma, per il legame che a lei l’unisce, è ancora qualche cosa della madre […]. Si può quindi ritenere come opinione probabile che l’angelo che custodisce la madre custodisca pure il bambino chiuso nel suo seno. Alla nascita, invece, quando esso si separa dalla madre, gli viene assegnato un angelo custode particolare» (Tommaso d’Aquino, S. Th. q. 113,5).

Lo afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Dal suo inizio fino all’ora della morte la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione. “Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita”. Fin da quaggiù, la vita cristiana partecipa, nella fede, alla beata comunità degli angeli e degli uomini, uniti in Dio» (336).

A volte Dio, per motivi agli uomini misteriosi, può permettere che l’angelo custode abbandoni temporaneamente l’uomo. Qualche volta Dio, «secondo il piano della sua provvidenza, permette la caduta dell’uomo in una colpa, o in una pena. Lo stesso va detto dell’angelo custode, il quale non abbandona mai del tutto l’uomo, ma talora l’abbandona, in quanto non impedisce, secondo il piano divino, una sua tribolazione o un suo peccato. […]. Benché l’angelo qualche volta abbandoni l’uomo localmente, mai però l’abbandona del tutto quanto all’affetto della sua custodia: perché, anche stando in cielo, egli è a conoscenza di quanto accade all’uomo; e non ha bisogno d’alcun lasso di tempo per muoversi, e può essergli vicino all’istante» (Tomma-so d’Aquino, S. Th. 113, 6).

Prezioso quindi il monito che la sacra Scrittura rivolge ad ogni uomo: «Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui» (Es 23,20-21).

Commento al Vangelo

  D’ora in poi sarai pescatore di uomini – Gesù è sempre più assediato dalla folla desiderosa di ascoltare la sua Parola. Gli evangelisti amano sottolineare che le folle restavano stupite dell’insegnamento di Gesù perché «insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mt 7,28-29). La Parola di Dio «diventa il punto d’incontro tra Gesù e le folle: Gesù per servirla, le folle per ascoltarla [servitore e uditori della Parola]» (Carlo Ghidelli, Luca). Da qui l’accalcarsi della folla e il cercare Gesù in ogni luogo.

Per meglio farsi ascoltare Gesù sale sulla barca di Simone. Sedutosi, che è la postura dei maestri, si mette ad ammaestrare le folle. Finito di parlare chiede a Simone di prendere il largo e di calare le reti per la pesca. L’invito fatto in condizioni sfavorevoli – «abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla» – mette in evidenza la presci-enza di Gesù: «egli infatti sapeva bene quello che stava per fare» (Gv 6,6).

La risposta che Simone dà a Gesù marca il carattere di quest’uo-mo abituato alla fatica: forse rude nei tratti, a volte impulsivo, ma è sostanzialmente buono e umile per cui si fida di Gesù e della sua parola. Infatti, da buon pescatore, Simone sa che è assurdo l’invito di Gesù, ma accetta ben volentieri e la sua fede verrà premiata da una pesca abbondante: tanto enorme era la quantità di pesci che «le reti si rompevano». Questo particolare avvicina il racconto lucano a quello giovanneo di 21,1ss.

Pietro percepisce la santità di Gesù e il gettarsi alle sue ginocchia è la conseguenza logica di questa sua comprensione: è la reazione dell’uomo affascinato e terrorizzato all’irrompere del soprannaturale nella sua vita. L’uomo davanti al divino, percepisce la sua miseria, il suo peccato. Simone capisce che tra lui e Gesù c’è una distanza infinita: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore».

A un uomo di tale tempra e di tanta umiltà, Gesù può affidare una meravigliosa impresa, quella di essere pescatore di uomini. Il mare per gli antichi era la sede dei demòni, l’immagine è quindi molto forte: a Simon Pietro toccherà in sorte il nobile impegno di strappare gli uomini dal dominio di satana e liberarli dal giogo del peccato e della morte. In questo senso va il termine greco – zogron -usato per pescatore a cui appunto talvolta viene dato il senso di salvare dalla morte (nel nostro testo letteralmente gli uomini sarai prendente vivi). Un mandato che Pietro vivrà con intensità.

Luca, infine, sottolinea la prontezza nel seguire Gesù: «Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono». Il termine tutto è proprio di Luca essendo assente negli altri sinottici. Tale «“totalità” nella sequela del Cristo costituisce un elemento caratterizzante di Luca, che accentua molto il radicalismo evangelico […]. Infatti, secondo l’inse-gnamento di Luca, per essere autentici discepoli del Cristo, bisogna rinunciare a tutti i propri beni [Lc 14,33]» (S. Panimolle). Una sequela senza sconti: bisogna rinunciare a tutto, anche alla vita.

 

Riflessione

  Io vidi il Signore – Isaìa dinanzi alla manifestazione della gloria e della santità di Dio sente il peso della sua povertà e del suo peccato. Viene purificato col fuoco, un’immagine che nel Nuovo Testamento è usata per raffigurare lo Spirito Santo.

Lo Spirito Santo scese in forma di lingue di fuoco sugli Apostoli (At 2,3) rendendoli coraggiosi annunciatori del Vangelo. La forma delle fiamme (cfr. Is 5,24; 6,6-7) nel racconto pentecostale deve esser messa in relazione con il dono delle lingue, quindi con l’annuncio del Vangelo. Gesù lo aveva promesso: dopo la sua partenza, lo Spirito Santo lo avrebbe sostituito presso i fedeli (cfr. Gv 14,26) e scendendo su di essi con potenza, fortificandoli nell’amore e nella fede, li avrebbe resi testimoni della Verità fino agli estremi confini della terra (cfr. At 1,8). L’azione dello Spirito Santo nella vocazione cristiana è insostituibile: solo il Consolatore (cfr. Gv 14,26; 16,7), ardendo nel cuore dei battezzati, e distruggendo con le sue fiamme purificatrici l’uomo vecchio, può rendere capaci di compiere la missione profetica cristiana come uomini nuovi (cfr. Gal 6,8; Ef 6,24).

Solo lo Spirito Santo e soltanto lui, può cucire addosso al cristiano l’abito del profeta: un abito fatto con la stoffa della libertà e dell’a-more. Tutti i battezzati sono profeti, ma vi sono delle regole.

Innanzi tutto, il vocato è un uomo libero. Il profeta non è vincolato da interessi di nessun genere, è libero dinanzi ai potenti e ai semplici, dinanzi ai re e ai poveri, non è un mercenario: «Così dice il Signore contro i profeti che fanno traviare il mio popolo, che annunziano la pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere, ma a chi non mette loro niente in bocca dichiarano la guerra. Quindi per voi sarà notte invece di visioni, tenebre per voi invece di responsi» (Mi 3,5-6). A motivo di tangenti e di regali, molti cristiani sono impediti nel loro ministero profetico, cioè non possiedono il coraggio di denunciare e di gridare, perché trovano sempre qualcuno che mette loro in bocca qualcosa da «mordere con i denti».

Il profeta è soprattutto un uomo che «cammina nella giustizia e parla con lealtà e scuote le mani per non accettare regali» (Is 33,15) e così, sovranamente libero, può, pieno di forza e di coraggio, «annunziare a Giacobbe le sue colpe, a Israele il suo peccato» (Mi 3,8).

Poi è chiesta la fedeltà che per il cristiano-profeta significa almeno due cose.

Primo, poiché la missione è esclusivamente una missione di salvezza – «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10) -, perché la pesca sia abbondante occorre che i «pescatori» condividano il destino di Colui che li ha chiamati: devono, come Lui, abbandonare tutto (cfr. Mc 10,21.28; Lc 5,11); devono, come Colui che li ha amati sino alla fine (cfr. Gv 13,1), essere pronti alla sofferenza e alla croce (cfr. Mt 10,38; 16,24; Gv 12,24-26). La vita cristiana inequivocabilmente si esprime in termini di comunione e di imitazione (2Ts 3,7).

Secondo, il profeta, poiché parla nel nome di Gesù, deve essere fedele al mandato ricevuto e così chi riceve il Vangelo di Cristo. Tutta «la Chiesa nascente agisce e parla nel nome di Gesù Cristo… Forse anche noi abbiamo lo zelo che avevano questi primi evangelisti. Siamo più irrequieti di loro, più fecondi di iniziative. Ma il nostro messaggio ha conservato la purezza del loro? La nostra testimonianza è sempre, in egual misura, “conforme al Vangelo”»? (Henri de Lubac).

Per evitare ogni tentazione di trasgressione il cristiano-profeta ha una sola strada: come Cristo, deve essere un «servo della Parola» (cfr. At 6,4) ed avere la coscienza di essere un povero, piccolo e inutile servo: «Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10). Proviamo a fare un esame di coscienza!

La pagina dei Padri

  La barca di Pietro – Sant’Ambrogio: Benché il Signore comandi agli altri di gettare le reti, solo a Pietro dice: “vai al largo” (Lc 5,4), cioè avventurati nel mare profondo delle dispute. Che cosa c’è infatti di così alto come vedere l’altezza dei misteri, riconoscere il Figlio di Dio, proclamare la sua divina generazione? Sebbene lo spirito umano non possa comprenderla pienamente con la penetrazione della ragione, tuttavia la pienezza della fede può abbracciarla. Infatti, anche se non mi è concesso di sapere come egli è nato, tuttavia non mi è permesso ignorare il fatto che egli è nato; ignoro il modo della sua generazione, ma ne riconosco la verità. Non eravamo là, quando il Figlio di Dio era generato dal Padre; ma eravamo là quando dal Padre fu dichiarato Figlio di Dio.

Se non crediamo a Dio, a chi crediamo? Tutto ciò che crediamo, lo crediamo per avere visto o per avere udito. Ebbene, la vista sovente si inganna, ma l’udito fa fede. Vogliamo discutere della veridicità del testimone? Se attestassero persone dabbene, giudicheremmo sconveniente non creder loro: qui Dio afferma, il Figlio prova, il sole che si eclissa lo riconosce, la terra tremando lo testimonia (cfr. Mt 27,45-51; Lc 23,44).

La Chiesa è condotta da Pietro nel mare alto delle dispute, per vedere, da un lato, il Figlio di Dio che risorge, e dall’altro lo Spirito Santo che si effonde.

Che cosa sono le reti dell’apostolo, che il Signore gli ordina di gettare, se non il significato delle parole, il senso del discorso, le profondità delle dispute, che non lasciano più sfuggire coloro che ne sono presi? Ed è giusto che gli strumenti della pesca apostolica siano le reti, perché le reti non fanno morire chi vi è preso, ma lo conservano, lo traggono dalle profondità alla luce e dal fondo conducono in alto chi fluttuava sott’acqua.

 

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