7 Febbraio 2019 – Giovedì, IV del Tempo Ordinario – (Eb 12,18-19.21-24; Sal 47[48]; Mc 6,7-13) – I Lettura: Lo stile di questo brano è esortativo. Dopo aver rincuorato i fedeli ricordando loro il punto di riferimento, il perno, il motivo della loro fede, Gesù Cristo e dopo aver dato un’interpretazione alle loro sofferenze presenti, l’autore della lettera ricorda ai suoi interlocutori, forse tentati di tornare alle rassicuranti usanze ebraiche, che infinitamente maggiore è l’esperienza di Dio che hanno fatto grazie alla loro adesione alla fede cristiana. Vangelo: “Quelli che Gesù aveva scelti e plasmati in comunità di vita, ora li rende apostoli, cioè inviati: “Gesù chiamò i Dodici, incominciò a inviarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi”; un invio che non è destinato solo “alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt 10,6) ma è anche anticipazione di ciò che attende gli apostoli dopo la Pasqua, quando essi saranno inviati a tutte le genti (cfr. Mc 16,15)” (E. Bianchi).
Prese a mandarli – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Riflessione: «Ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone». Chi pensa di mettersi a servizio di Dio, deve seguirlo nelle vie che egli stesso ha percorso. Gesù non è venuto a noi rivestito di potenza ma nella povertà dei mezzi umani. Non nobile di famiglia, non ricco economicamente, non agiato socialmente, non notabile politicamente… pur essendo Dio, spogliò se stesso (cfr. Fil 2,5-11). E questa essenzialità, anzitutto vissuta da Gesù stesso, egli la insegna e la raccomanda ai suoi seguaci: se vuoi essere mio discepolo, rinnega anzitutto te stesso e prendi la tua croce, quindi seguimi (cfr. Mc 8,34 e pass.). Alla base di un tale atteggiamento non vi è il disprezzo per le ricchezze, ma la richiesta di fiducia in Dio: chi possiede molte cose rischia di essere soffocato da esse (cfr. Mt 13,22); chi si mette dinanzi tante cose da fare, rischia di affannarsi, agitarsi e rovinare tutto, come Marta (cfr. Lc 10,40-41). Chi pensa di voler servire Dio, chi decide di mettersi alla sequela del Maestro (e questo vale per tutti!) deve seguirlo nell’essenzialità, deve imparare ad avere il giusto necessario (il solo bastone) e poi a fidarsi di Dio. Così insegna un santo Padre della Chiesa: «Tanto grande deve essere nel discepolo la fiducia in Dio che, sebbene non si preoccupi delle necessità della vita presente, tuttavia deve sapere con certezza che non gli mancherà niente. E questo per evitare che, se la sua mente è presa da preoccupazioni terrene, egli non rallenti nell’impegno di comunicare agli altri le parole eterne» (San Beda, il Venerabile).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: L’unzione degli infermi – Papa Francesco (Udienza Generale, 26 Febbraio 2014): Oggi vorrei parlarvi del Sacramento dell’Unzione degli infermi, che ci permette di toccare con mano la compassione di Dio per l’uomo. In passato veniva chiamato “Estrema unzione”, perché era inteso come conforto spirituale nell’imminenza della morte. Parlare invece di “Unzione degli infermi” ci aiuta ad allargare lo sguardo all’esperienza della malattia e della sofferenza, nell’orizzonte della misericordia di Dio. C’è un’icona biblica che esprime in tutta la sua profondità il mistero che traspare nell’Unzione degli infermi: è la parabola del «buon samaritano», nel Vangelo di Luca (10,30-35). Ogni volta che celebriamo tale Sacramento, il Signore Gesù, nella persona del sacerdote, si fa vicino a chi soffre ed è gravemente malato, o anziano. Dice la parabola che il buon samaritano si prende cura dell’uomo sofferente versando sulle sue ferite olio e vino. L’olio ci fa pensare a quello che viene benedetto dal Vescovo ogni anno, nella Messa crismale del Giovedì Santo, proprio in vista dell’Unzione degli infermi. Il vino, invece, è segno dell’amore e della grazia di Cristo che scaturiscono dal dono della sua vita per noi e che si esprimono in tutta la loro ricchezza nella vita sacramentale della Chiesa. Infine, la persona sofferente viene affidata a un albergatore, affinché possa continuare a prendersi cura di lei, senza badare a spese. Ora, chi è questo albergatore? È la Chiesa, la comunità cristiana, siamo noi, ai quali ogni giorno il Signore Gesù affida coloro che sono afflitti, nel corpo e nello spirito, perché possiamo continuare a riversare su di loro, senza misura, tutta la sua misericordia e la sua salvezza.
Chi vuol l’amore, cerchi il patire – Catechismo degli Adulti 1022: La sofferenza costituisce una sfida a crescere nella fede e nell’amore; ne è la verifica più sicura: «L’amore vero e puro si dimostra fra mille pene… Chi vuol l’amore, cerchi il patire». Una volta scoperta questa grande possibilità, si può essere perfino «afflitti, ma sempre lieti» (2Cor 6,10). Così il male è vinto dall’interno, sperimentandolo. Nell’apparente fallimento ci realizziamo più che mai. Occorre però assumere consapevolmente la propria situazione. Per questo in linea di principio è bene che un malato conosca la dura verità della sua malattia. Magari la prudenza consiglierà di manifestarla gradualmente e allusivamente, cercando di prevenire il più possibile il pericolo di scoraggiamento e di depressione.
Guarire gli ammalati è la missione della Chiesa – Benedetto XVI (Omelia, 21 Aprile 2011): C’è poi l’olio per l’Unzione degli infermi. Abbiamo davanti a noi la schiera delle persone sofferenti: gli affamati e gli assetati, le vittime della violenza in tutti i Continenti, i malati con tutti i loro dolori, le loro speranze e disperazioni, i perseguitati e i calpestati, le persone col cuore affranto. Circa il primo invio dei discepoli da parte di Gesù, san Luca ci narra: “Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi” (9,2). Il guarire è un incarico primordiale affidato da Gesù alla Chiesa, secondo l’esempio dato da Lui stesso che risanando ha percorso le vie del Paese. Certo, il compito principale della Chiesa è l’annuncio del regno di Dio. Ma proprio questo stesso annuncio deve essere un processo di guarigione: “… fasciare le piaghe dei cuori spezzati”, viene detto oggi nella prima lettura dal profeta Isaia (61,1). L’annuncio del regno di Dio, della bontà illimitata di Dio, deve suscitare innanzitutto questo: guarire il cuore ferito degli uomini. L’uomo per la sua stessa essenza è un essere in relazione. Se, però, è perturbata la relazione fondamentale, la relazione con Dio, allora anche tutto il resto è perturbato. Se il nostro rapporto con Dio è perturbato, se l’orientamento fondamentale del nostro essere è sbagliato, non possiamo neppure veramente guarire nel corpo e nell’anima. Per questo, la prima e fondamentale guarigione avviene nell’incontro con Cristo che ci riconcilia con Dio e risana il nostro cuore affranto. Ma oltre questo compito centrale fa parte della missione essenziale della Chiesa anche la guarigione concreta della malattia e della sofferenza.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: L’unzione dell’olio – «Cose simili a queste sono anche in Luca. Guarire i malati ungendoli di olio è un particolare del solo Marco (Mc 6,13), ma c’è qualcosa di simile nella lettera Cattolica di Giacomo ove dice: “Sta male qualcuno in mezzo a voi, ecc” (Gc 5,14-15). L’olio è un rimedio per la stanchezza ed è fonte di luce e di gioia. L’unzione dell’olio, quindi, significa la misericordia di Dio, il rimedio delle malattie e l’illuminazione del cuore. Che la preghiera faccia tutto questo lo sanno tutti; l’olio, come credo, è simbolo di queste cose» (Cirillo di Alessandria).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone – Se il missionario deve essere povero, anche la missione deve essere povera, soprattutto di mezzi umani: «E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone» (Mc 6,8). Il missionario che pensa di procurarsi tutti i mezzi umani necessari per una buona riuscita della missione la vota al più sicuro fallimento: «La missione si prepara, sì, ma non più di quanto è necessario. L’attenzione non è rivolta principalmente alla povertà dei missionari, ma più ancora alla povertà della missione. La missione è solo questo: un ‘invio’, un essere inviato da colui che è l’unico responsabile del suo successo» (José Maria Gonzáles-Ruiz). A questo punto si comprende a cosa miri l’ordine di Gesù: il Vangelo vuole testimoni di vita e non un annuncio che si basi su dottrina e scienza umane (cfr. 1Cor 1,17). Gesù vuole una Chiesa povera, che non abbia fiducia sui mezzi umani, ma che si abbandoni fidente a Dio. Quindi le parole di Gesù vanno al di là del puro significato letterale: quello che conta «per l’apostolo è “la passione” per la sua missione, per cui non trova tempo neppure per progettare ciò che è strettamente necessario per il viaggio; e soprattutto è la immensa fiducia in Dio che non gli farà mancare l’indispensabile per vivere» (Settimio Cipriani). Quando la Chiesa apostolica incominciò a praticare la carità verso i più poveri, ad interessarsi delle vedove (cfr. At 6,1ss), a condividere beni ed eucaristia (cfr. At 2,42-47), quando mostrò i segni inequivocabili della povertà (cfr. At 3,6), della carità e della solidarietà, la risposta del popolo fu immediata ed entusiasta (cfr. At 4,33). Come il fallimento deve essere preventivato, così deve essere registrato; cioè deve essere messo in evidenza con un gesto molto forte al di là del puro significato simbolico: «Se in qualche luogo non vi accogliessero… andatevene e scuotete la polvere sotto ai vostri piedi» (Mc 6,11). Per chi si ostina a non ascoltare o a non accogliere la parola di salvezza l’appuntamento con la giustizia divina è soltanto rimandato: la polvere dei sandali dei missionari sarà un capo d’accusa indelebile dinanzi agli occhi del Cristo redentore e giusto giudice.
Santo del giorno: 7 Febbraio – San Riccardo, Re degli Inglesi: Visse nell’VIII secolo e fu il padre di tre importanti santi: Villibaldo, Vunibaldo e Valburga. La sua vita fu caratterizzata da una intensa preghiera e venerazione verso la Sacra Famiglia e gli altri santi: infatti insieme ai figli si recò a Roma con la speranza di trovarvi le reliquie dei SS. Pietro e Paolo. Morì a Lucca e venne seppellito nella basilica di S. Frediano.
Preghiamo: Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te…