4 Febbraio 2019 – Lunedì, IV del Tempo Ordinario – (Eb 11,32-40; Sal 30[31]; Mc 5,1-20) – I Lettura: I giusti del AT dopo la morte attesero che il Salvatore universale aprisse i cieli e ottenessero così la perfezione mediante l’adesione a Cristo da loro atteso. Cristo, infatti, discese agli inferi ad annunciare che la loro attesa era finita e che in lui avevano l’accesso al cielo (1Pt 3,19). I cieli si aprirono per tutti i giusti del passato, sia per i rigenerati dal sangue di Cristo mediante la fede e l’appartenenza alla Chiesa. La perfezione della salvezza, cioè il suo compimento completo, si avrà con la risurrezione, dove non ci sarà solo la glorificazione dell’anima, ma anche del corpo. Vangelo: Il Vangelo oggi afferma con grande energia, grande forza divina che non ci sono ceppi umani per incatenare l’uomo che è in balìa di Satana. L’unica forza è quella di Cristo Gesù. Solo Lui ci può liberare dalla potenza distruttrice delle sue tenebre infernali. Lui può ma noi non vogliamo. Lui può, ma noi ci allontaniamo da Lui. Anche questa è astuzia di Satana. Ci fa credere che lui è dove non è, perché noi non lo vediamo dove li è. Ci fa pensare che lui sia nel nostro corpo, mentre in realtà ha già divorato la nostra mente.
Esci, spirito impuro, da quest’uomo – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.
Riflessione: «Qual è il tuo nome?». La descrizione accurata che l’evangelista Marco fa di questo povero indemoniato ci fa capire quanto triste fosse la sua situazione: una sofferenza senza sosta che lo portava all’isolamento, alla furia incontrollabile, alla incapacità di un qualsiasi rapporto sociale. Inoltre non viveva bene nemmeno con se stesso, costretto dalla Legione ad abitare nei sepolcri e a percuotersi il corpo con pietre. Gesù non attende ulteriormente e, spinto dal suo amore per il malcapitato, inizia con ordini perentori ad esorcizzare l’ossesso, intimando allo spirito impuro di abbandonarlo. A questo punto abbiamo una scena particolare: il demonio da tormentatore diviene il tormentato, si mette a scongiurare (quasi a pregare!) Gesù e lo fa «in nome di Dio». È a questo punto che Gesù, nella sua pienezza di autorità, chiede il nome al demonio: sapere il nome significa dominare sull’altro (chi comanda non risponde e non rivela nulla di sé, chi soccombe invece è costretto a farlo) e il demonio si piega, rivelando di essere «Legione». Senza entrare nel discorso esorcistico, possiamo prendere spunto da questo episodio per sottolineare una verità della nostra vita spirituale: fin quando non impareremo a dare un nome a ciò che ci tormenta, al peccato che ci assedia, ai vizi che ci ammorbano, non saremo mai in grado di affrontarli, tantomeno di sconfiggerli. Se non chiamo la mia ira, la superbia, l’orgoglio, la pigrizia, l’impurità per nome, e non prendo la risoluzione decisa di contrastare e combattere il mio peccato, esso rimarrà ad assediarmi, a dominarmi: il peccato mi sprofonderà in circoli viziosi, distruggendomi.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Gesù vittorioso su Satana – Card. Angelo Amato (Il Vangelo codice della pedagogia di Gesù): Gesù vince non solo il peccato e le malattie, ma anche Satana. Egli libera gli uomini posseduti dal maligno: «Gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati» (Mt 8,16). Risanò i due indemoniati furiosi di Gadara (cfr. Mt 8,28-34; Mc 5,1-20; Lc 8,26-39), l’indemoniato di Cafarnao (Mc 1,21-28; Lc 4,31-37), un indemoniato muto (cfr. Mt 12,22-24), un altro cieco e muto (Mt 12,22-24). È vero che a quel tempo disturbi, alterazioni funzionali e malattie come l’epilessia erano considerate conseguenze di possessioni diaboliche. Nella lotta con gli indemoniati, però, Gesù si trova davanti non solo a delle persone malate, ma all’avversario del bene, al tentatore e seduttore dell’uomo. E lo vince. Il potere di Gesù è superiore a quello di Satana. Negli esorcismi Gesù non solo guarisce una malattia, ma espelle colui che è avversario del regno di Dio. Nella lotta tra il bene e il male Gesù è il vincitore di Satana.
Va’ nella tua casa – Card. Ennio Antonelli (Omelia, 1 Febbraio 2010): Dal Vangelo di Marco abbiamo ascoltato il racconto della guarigione dell’indemoniato di Gerasa. Gesù lo libera da una moltitudine di demòni. La gente del luogo rimane impressionata, inquieta e impaurita. Ma quell’uomo, guarito, è pieno di gratitudine e di entusiasmo; vorrebbe lasciare tutto e seguire immediatamente Gesù come discepolo itinerante, alla maniera degli apostoli e degli altri che lo accompagnavano nel suo continuo andare da una città all’altra per predicare il Vangelo. Gesù non esaudisce questo desiderio; non gli permette di lasciare la sua casa. Gli chiede però di diventare missionario nel suo ambiente: “Va nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato”. Quell’uomo obbedisce e prontamente si mette ad evangelizzare tra i suoi familiari e tra gli abitanti del suo territorio. “Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati”. Anch’egli è discepolo di Gesù, sebbene in un modo diverso dagli altri.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: L’origine del male risiede nella cattiva volontà – “Donde proviene il male? Donde ravvisare la causa di tanti mali? Tu domandi: Donde provengono le ma-lattie? Donde viene il delirio frenetico? Qual è l’origine del sonno pesante? Non forse l’apatia? Se le malattie naturali hanno inizio dalla volontà che le sceglie, molto di più quelle che provengono dal libero arbitrio. Don-de proviene l’ubriachezza? Non forse dall’intemperanza? La frenesia, non è forse una conseguenza della febbre troppo alta? La febbre, d’altronde, non deriva dalla sovrabbondanza di qualche elemento che si trova in noi? Quest’ultima, a sua volta, non è forse una conseguenza della nostra smoderatezza? Quando, infatti, per difetto o per eccesso, abbiamo prodotto la situazione disordinata dei nostri umori, allora accendiamo quel fuoco. Poi, se esitiamo a spegnere la fiamma accesa, produciamo in noi stessi un rogo, che alla fine non riusciamo più ad estinguere. Così accade anche nel vizio: quando non lo freniamo e non lo sradichiamo sul nascere, alla fine non riusciamo più a stroncarlo, poiché esso supera le nostre forze” (Giovanni Crisostomo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Perché soffriamo? – Giovanni Paolo II (Messaggio, 24 Gennaio 1999): L’uomo è chiamato alla gioia e a una vita felice, ma sperimenta quotidianamente molte forme di dolore e la malattia è l’espressione più frequente e più comune della sofferenza umana. Dinanzi a ciò viene spontaneo chiedersi: Perché soffriamo? Per che cosa soffriamo? Ha un significato che le persone soffrano? Può essere positiva l’esperienza del dolore fisico o morale? Senza dubbio, ognuno di noi si sarà posto, più di una volta, questi interrogativi, dal letto di dolore, durante la convalescenza, prima di sottoporsi a un intervento chirurgico o quando ha visto soffrire una persona cara. Per i cristiani non sono interrogativi senza risposta. Il dolore è un mistero, molte volte imperscrutabile alla ragione. Fa parte del mistero della persona umana, che si chiarisce solo in Gesù Cristo, che è Colui che svela all’uomo la propria identità. Solo a partire da Lui potremo scoprire il senso di tutto l’umano. La sofferenza – come ho scritto nella Lettera Apostolica Salvifici doloris – «non può essere trasformata e mutata con una grazia dall’esterno, ma dall’interno. […] Non sempre, però, un tale processo interiore si svolge in modo uguale. […] Cristo, infatti, non risponde direttamente e non risponde in astratto a questo interrogativo umano circa il senso della sofferenza. L’uomo ode la sua risposta salvifica man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo. La risposta che giunge mediante tale partecipazione… è… una chiamata…: “Seguimi” … Vieni! Prendi parte con la tua sofferenza a quest’opera di salvezza del mondo, che si compie per mezzo della mia sofferenza! Per mezzo della mia croce» (n. 26). Perciò, davanti all’enigma del dolore, noi cristiani possiamo dire con decisione «Signore, sia fatta la tua volontà» e ripetere con Gesù: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26,39).
Santo del giorno: 4 Febbraio – San Giovanni de Britto Sacerdote, gesuita e martire: Giovanni de Britto (in portoghese, João de Brito) nacque a Lisbona in Portogallo il 1° marzo 1647. Ancora ragazzo fu ammesso tra i paggi del re di Spagna, ma si ammalò gravemente: sua madre fece voto a san Francesco Saverio che, se il figlio fosse guarito, gli avrebbe fatto vestire per un anno l’abito della Compagnia di Gesù. Così avvenne, ma Giovanni domandò di diventare davvero gesuita. Ordinato sacerdote nel 1673, fu inviato in India. La sua inculturazione profonda, che lo portò ad assumere abiti e stili di vita simili a quelli degli asceti indiani, gli valse numerose conversioni. Quella del principe Teriavedem, che aveva tenuto una sola delle proprie mogli ripudiando le altre, costò a padre Giovanni la condanna a morte. Fu decapitato a Oriur l’11 febbraio 1693.
Preghiamo: Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te…