30 Gennaio 2019 – Mercoledì, III del Tempo Ordinario – (Eb 10,11-18; Sal 109[110]; Mc 4,1-20) – I Lettura: “Il sacerdozio di Cristo, e soprattutto il suo ingresso nel santuario celeste, rappresenta non soltanto una puri-ficazione piena del peccato umano, ma anche una vittoria efficace e definitiva su tutti i nemici della Verità. L’autore però presenta questa vittoria come un fatto atteso nella speranza: “aspettando ormai solo che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi”. La sua vittoria è già compiuta in se stessa. I suoi nemici, però, in qualche modo, sono ancora liberi di nuocere, senza che questa loro temporanea vitalità abbia alcun peso nelle sorti della lotta: la loro sconfitta è infatti già segnata” (E. Cuffaro). Vangelo: “La parabola illustra la generosa offerta del regno che Dio fa nella predicazione di Gesù e la diversa risposta che tale offerta incontra. Comunque il risultato sarà meravigliosamente ricco (4,8). Gesù (o la chiesa primitiva) possono aver usato la parabola come una spiegazione della diversità di ricezione che la predicazione di Gesù incontrò e come una fonte di incoraggiamento di fronte all’opposizione: il regno di Dio verrà con straordinaria abbondanza. I semi piantati nel buon terreno anticipano il regno futuro” (Nuovo Grande Commentario Biblico, EDB).
Il seminatore uscì a seminare – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, Gesù cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato». E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno».
Riflessione: La parabola del seminatore – Card. Angelo Sodano (Omelia, 10 Luglio 2005): È un invito ad accogliere la parola che il Signore sparge a larghe mani in mezzo a noi, attraverso il ministero della sua Santa Chiesa. È soprattutto un invito a far fruttificare ciò che si è ricevuto. La parabola ci dà poi la chiave per comprendere il mistero del bene e del male esistente nel mondo, e cioè il mistero della libertà umana, che può aprirsi o chiudersi all’opera della grazia di Dio. La stessa pagina del Vangelo ci dà pure un senso di grande speranza, facendoci notare l’intimo dinamismo della semente che viene sparsa nel mondo. Essa sempre cresce, lo avverta o meno l’agricoltore che l’ha gettata nel solco. È questa la sua innata vitalità. Lo ricordava Gesù ai suoi discepoli anche con l’analoga parabola del granello di senapa “che un uomo prese e seminò nel suo campo. Certo, è il più piccolo di tutti i semi, ma cresciuto che sia, … diventa un albero in modo che gli uccelli del cielo vanno a posarsi fra i suoi rami” (Mt 13,31-32). Questa è la Chiesa: un albero che ha messo le sue radici nella profondità della storia umana, offrendo poi i suoi rami come rifugio sicuro a tutti gli uomini di buona volontà.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: La parabola del seminatore – Papa Francesco (An-gelus, 13 Luglio 2014): Questa parabola parla oggi a ciascuno di noi, come parlava agli ascoltatori di Gesù duemila anni fa. Ci ricorda che noi siamo il terreno dove il Signore getta instancabilmente il seme della sua Parola e del suo amore. Con quali disposizioni lo accogliamo? E possiamo porci la domanda: com’è il nostro cuore? A quale terreno assomiglia: a una strada, a una pietraia, a un roveto? Dipende da noi diventare terreno bu-ono senza spine né sassi, ma dissodato e coltivato con cura, affinché possa portare buoni frutti per noi e per i nostri fratelli. E ci farà bene non dimenticare che anche noi siamo seminatori. Dio semina semi buoni, e anche qui possiamo porci la domanda: che tipo di seme esce dal nostro cuore e dalla nostra bocca? Le nostre parole possono fare tanto bene e anche tanto male; possono guarire e possono ferire; possono incoraggiare e possono deprimere. Ricordatevi: quello che conta non è ciò che entra, ma quello che esce dalla bocca e dal cuore. La Ma-donna ci insegni, con il suo esempio, ad accogliere la Parola, custodirla e farla fruttificare in noi e negli altri.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Il seminatore mentre seminava una parte cadde lungo la strada… – “La semente cadde sul bordo della strada, ecco una cosa che è l’immagine stessa dell’anima ingrata, di colui che non ha fatto fruttificare il proprio talento ed ha disprezzato il proprio benefattore [cfr. Mt 25,24-30]. La terra che aveva tardato ad accogliere il suo seme, è divenuta luogo di passaggio per tutti i malintenzionati; così non vi fu più posto in essa per il padrone, perché vi potesse entrare da lavoratore, ne potesse rompere la durezza e spargervi il suo seme. Nostro Signore ha descritto il maligno sotto i tratti degli uccelli, poiché il maligno ha portato via il seme [cfr. Mt 13,19]. Egli ha voluto indicare così che il maligno non prende per forza la dottrina che è stata distribuita nel cuore. Nell’immagine che egli ha proposto, ecco che in effetti la voce del Vangelo si pone alla porta dell’orecchio, come il grano alla superficie di una terra che non ha nascosto nel suo seno ciò che è caduto su di essa; infatti non è stato permesso agli uccelli di penetrare nella terra alla ricerca di quel seme che la terra aveva nascosto sotto le sue ali” (Sant’Efrem).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Il seme è la parola di Dio, il seminatore è Cristo: chiunque trova lui, ha la vita eterna – «Il seme ha in sé la forza della vita, ma per poterla esercitare e produrre il frutto, deve cadere in un terreno adatto, ed il terreno deve essere coltivato. Il seme non deriva la sua forza vitale dal terreno, ma questo è la condizione necessaria perché il seme si sviluppi. La parola di Gesù “è viva, efficace… essa penetra” fin nelle profondità della nostra persona. Ma se la nostra persona non è ben disposta, non è docile, la parola di Gesù è impedita: non produce alcun frutto. La pagina evangelica, come avete sentito, ci presenta tre figure di indocilità: chi non presta alcuna attenzione; chi non medita la parola ascoltata ed è incostante; chi si lascia soffocare dalla preoccupazione del mondo e dall’inganno delle ricchezze. Vi dico dunque con la S. Scrittura: “Guardate perciò, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente” [Eb 3,12]. Carissimi fedeli, il Vangelo non è solo la narrazione di fatti passati. Quanto è narrato in esso, si realizza in sostanza anche fra di voi, oggi. In che modo? L’apostolo Paolo scrivendo ai suoi fedeli di Tessalonica, dice: “noi ringraziamo Dio continuamente, perché avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete” [1Ts 2,13]. La parola di Dio continua anche oggi ad esservi detta. Il Signore, quando ha lasciato visibilmente la nostra terra, non è diventato muto con l’uomo: continua a parlarci. Come? Nella e colla predicazione dei pastori della Chiesa. L’Apostolo ci dice che la parola della predicazione è “la parola divina”. E come tale deve essere accolta. Quindi, miei cari, siate fedeli alla partecipazione dell’Eucaristia durante la quale il vostro pastore vi dona “la parola divina della predicazione”. Accoglietela “non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete”. Curate la vostra istruzione nella fede, mediante la catechesi. Abbiamo proclamato prima della lettura del Vangelo: “Il seme è la parola di Dio e il seminatore è Cristo: chiunque trova lui, ha la vita eterna”» (Card. Carlo Caffarra, Omelia, 13 Luglio 2008).
Santo del giorno: 30 Gennaio – Santa Giacinta Marescotti, Religiosa: Nasce nel 1585, nel castello di Vignanello (Viterbo), Clarice, la figlia del principe Marcantonio Marescotti. È nobile, bella, sogna un matrimonio degno del suo casato. Si presenta anche il partito giusto nella persona di un giovane marchese. I genitori, però, preferiscono sistemare per prima la sorella minore Ortensia. Grande è la delusione di Clarice che reagisce rendendo la vita impossibile a genitori e parenti. Da parte sua il principe Marcantonio costringe la figlia a entrare nel convento delle clarisse. Non si arrende facilmente la giovane. Si fa terziaria francescana di modo da non essere costretta alla clausura, vive a lungo in un appartamentino ben arredato, fa di tutto per distinguersi dalle altre religiose. Poi si ammala seriamente e il confessore la scuote. Giacinta, che ha ormai 30 anni, comprende che non conviene vivere di rancore e repentinamente decide di cambiare. Chiede perdono alle consorelle, si priva del superfluo, si sottopone a severe penitenze. Nella sua stanza, ormai, l’unico ornamento è una grande croce che in continuazione le ricorda che «Gesù, il mio amore, è stato Crocefisso». Medita di continuo sui dolori della passione, è devota dello Spirito Santo, lo invoca di continuo perché accresca il suo amore. L’amore di Dio trascina con sé anche l’attenzione per il prossimo. Ai più poveri dona il suo cibo, le vesti, le coperte. Poi inizia a chiedere aiuto agli amici di un tempo per sostenere due importanti opere di carità: I Sacconi, infermieri, per l’assistenza agli ammalati, gli Oblati di Maria per la cura delle persone anziane. Morì a Viterbo nel 1640.
Preghiamo: Dio onnipotente ed eterno, guida i nostri atti secondo la tua volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di opere buone. Per il nostro Signore Gesù Cristo…