26 Gennaio 2019 – Sabato, II del Tempo Ordinario – Santi Timoteo e Tito (Memoria) – (2Tm 1,1-8 oppure Tt 1,1-5; Sal 95[96]; Lc 10,1-9) – I Lettura: La seconda lettera a Timoteo ritrae Paolo come se fosse alla fine della sua vita; i suoi eredi spirituali devono continuare la sua missione. La forza, che proviene dalla grazia infusa su Timòteo dall’imposizione delle mani da parte di Paolo, rende capaci di sopportare le sofferenze (1,8-12). Seguendo l’esempio di Paolo, che «non si vergogna» per le sofferenze, Timòteo, in quanto modello del capo di una chiesa, non deve «vergognarsi» bensì unirsi a Paolo nella sofferenza a causa del vangelo (cfr. Nuovo Grande Commentario Biblico, EDB). Oppure (Tt 1,1-5): “La missione di Paolo è considerata parte integrante del piano divino di salvezza. Tito è vero erede di Paolo perché accetta e divulgherà la fede proclamata da Paolo. Questo lo inserisce nella catena della tradizione che si viene formando” (Nuovo Grande Commentario Biblico, EDB). Tito si trova a Creta con l’incarico di formare un collegio di presbiteri, Paolo gli ricorda di seguire le direttive che egli stesso gli ha dato, infatti il ministero del discepolo dipende direttamente dall’autorità dell’A-postolo. Vangelo: Gesù è la luce del mondo, ma per un mistero d’amore ha voluto che i suoi discepoli fossero la luce del mondo (Mt 5,14), e ha intimato loro di non celare questa luce. Dobbiamo farci afferrare dalla Luce, dobbiamo farci trasformare dalla luce della Parola. “Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe”: non è soltanto un invito a pregare perché si incrementi il numero dei sacerdoti, ma l’esigenza di avere più luce affinché siano rischiarati anche gli angoli più bui e più remoti della terra. Solo nella luce del vangelo l’uomo trova la via maestra per essere più uomo e più di Dio.
La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».
Riflessione: «Andate: ecco, vi mando…». “La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria. La sperimentano i settantadue discepoli, che tornano dalla missione pieni di gioia (cfr. Lc 10,17) … La sentono pieni di ammirazione i primi che si convertono nell’ascoltare la predicazione degli Apostoli «ciascuno nella propria lingua» (At 2,6) a Pentecoste. Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre… Quando la semente è stata seminata in un luogo, non si trattiene più là per spiegare meglio o per fare segni ulteriori, bensì lo Spirito lo conduce a partire verso altri villaggi. La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere… Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno” (EG 21-23).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Santi Timoteo e Tito – Benedetto XVI (Udienza Generale, 13 Dicembre 2006): Se consideriamo unitariamente le due figure di Timoteo e di Tito, ci rendiamo conto di alcuni dati molto significativi. Il più importante è che Paolo si avvalse di collaboratori nello svolgimento delle sue missioni. Egli resta certamente l’Apostolo per antonomasia, fondatore e pastore di molte Chiese. Appare tuttavia chiaro che egli non faceva tutto da solo, ma si appoggiava a persone fidate che condividevano le sue fatiche e le sue responsabilità. Un’altra osservazione riguarda la disponibilità di questi collaboratori. Le fonti concernenti Timoteo e Tito mettono bene in luce la loro prontezza nell’assumere incombenze varie, consistenti spesso nel rappresentare Paolo anche in occasioni non facili. In una parola, essi ci insegnano a servire il Vangelo con generosità, sapendo che ciò comporta anche un servizio alla Chiesa stessa. Raccogliamo infine la raccomandazione che l’apostolo Paolo fa a Tito nella lettera a lui indirizzata: «Voglio che tu insista su queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini» (Tt 3,8). Mediante il nostro impegno concreto dobbiamo e possiamo scoprire la verità di queste parole…
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada – “Qualcuno troverà forse in queste parole durezza e orgoglio, poco conformi ai precetti del Signore dolce e umile; egli che pure aveva prescritto di cedere il posto a tavola [cfr. Lc 14,7ss], ecco che ora ordina ai discepoli: «per via non saluterete nessuno», quando invece questo è un uso di gentilezza. È in questo modo che le persone inferiori usano guadagnarsi il favore dei potenti; anche i Gentili usano con i cristiani questo scambio di cortesia. Perché il Signore vuole estirpare quest’usanza civile? Ma considera che egli non dice soltanto: «non saluterete nessuno». Non è senza ragione che aggiunge: «per via». Anche Eliseo, quando mandò il servitore a deporre il suo bastone sul corpo del piccolo morto, gli disse di non salutare nessuno per strada [cfr. 2Re 4,29]: gli ordinò di far presto, perché potesse compiere l’incarico relativo alla risurrezione da effettuare, perché nessuno scambio di parole con qualche passante ritardasse la missione che doveva eseguire. Dunque, anche qui non si tratta di abolire la reciproca cortesia del saluto, ma di togliere di mezzo l’ostacolo che potrebbe intralciare l’incarico; in presenza del divino, l’umano deve essere temporaneamente messo da parte. È bello il saluto: ma il compimento delle opere divine è tanto più bello quanto più è rapido, e il ritardarlo spesso genera scontento. Per questo si vieta anche lo scambio di cortesie, nel timore che le civili usanze ritardino e danneggino il compimento di un dovere che non può essere rimandato senza colpa» (Sant’Ambrogio).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Andate, sembra fin troppo facile, un gioco da ragazzi. In fondo, il Maestro chiede ben poco, un po’ di buon senso, non salutare nessuno per strada, non per cattiva educazione, ma perché non bisogna perder tempo in convenevoli inutili, inutili per la causa del regno, perché a volte scambiare una parola fa bene. Adattarsi al cibo di chi ospita il missionario, portare il necessario, che non è quindi povertà, e poi la grazia di un buon sorriso, la buona educazione, e sulle labbra l’augurio che la pace di Dio scenda copiosamente sul consorzio umano. Tutto qui? In verità, nel mandato c’è qualcosa che mette i brividi, una parola che fa accapponare la pelle: “Andate: ecco, io vi mando come agnelli in mezzo a lupi”. E Gesù non si riferisce al candore che bisogna tenere sempre netto costi quel che costi, e non è nemmeno l’innocenza, perché altrove dice di essere furbi come i serpenti (Mt 10,16). Se si vuole usare un linguaggio più crudo potremmo tradurre così la parola del Maestro: Andate: ecco, io vi mando nel mondo, vi mando in un mondo di lupi e voi siete per il mondo carne da macello. Né più né meno. In altre parole, Gesù invita il missionario a spartire lo stesso destino del mandante: Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca (At 8,32). Solo nella morte, violenta o quel morire quotidiano, dà fecondità all’apostolato. A molti missionari vien voglia di “divorare” il mondo, perché, così si dice, il mondo è perverso, è fradicio di peccato, l’aria che si respira è malsana, la disonestà e la perversione sono i cardini sui quali costruisce la sua ipocrita onestà, ama il lusso e il potere, la ricchezza e il godimento sfrenato… sarà vero, in fondo il ritratto non è tanto lontano dalla verità, ma Gesù capovolge il tutto: fatti agnello, probabilmente i lupi ti sbraneranno ma è in questa tua morte che il mondo troverà conversione e salvezza. Il mondo ha fatto così con il Figlio di Dio, lo ha inchiodato su una Croce, aveva esultato per la sua morte, ma è da questa morte che è sorto un nuovo giorno, pieno di luce, un giorno caldo di vita, un giorno che non conosce tramonto. Gesù quindi non vuole terrorizzare il missionario, il terrore tarpa le ali dello zelo, ma gli vuole suggerire la ferrea logica del Vangelo: la vita nasce dalla morte, così come nelle paludi spesso spuntano fiori profumati e assai colorati, nonostante le acque putride della palude.
Santo del giorno: 26 Gennaio – Santi Timoteo e Tito Vescovi: I due santi di oggi sono i collaboratori più strettii dell’apostolo Paolo. Timoteo era nato a Listra da madre giudea e padre pagano. Si era avvicinato alla comunità cristiana e, poiché aveva una buona conoscenza delle Scritture, godeva di grande stima presso i fratelli. Quando, verso l’anno 50, passò da Listra, Paolo lo fece circoncidere per rispetto verso i giudei e lo scelse come compagno di viaggio. Con Paolo, Timoteo attraversò l’Asia Minore e raggiunse la Macedonia. Accompagnò poi l’apostolo ad Atene e di lì venne inviato a Tessalonica. Quindi proseguì a sua volta per Corinto e collaborò all’evangelizzazione della città sull’istmo. Tito era di famiglia greca, ancora pagana, e venne convertito dall’a-postolo in uno dei suoi viaggi. Egli viene inviato in particolare alla comunità di Corinto con lo scopo di riconciliare i cristiani di quella città con l’apostolo. Quando si reca a Gerusalemme per l’incontro con gli apostoli, Paolo porta con sé Timoteo il circonciso insieme con Tito l’incirconciso. Nei suoi due collaboratori egli riunisce simbolicamente gli uomini della legge e gli uomini dalle genti. Secondo la tradizione Paolo scrisse due lettere a Timoteo e una a Tito quando erano rispettivamente vescovi di Efeso e di Creta. Sono le uniche due lettere del Nuovo Testamento indirizzate non a comunità, ma a persone. L’apostolo, ormai anziano, si lascia finalmente andare ad annotazioni ricche di affetto verso i suoi due discepoli nella fiducia di aver messo nelle giuste mani l’annuncio del Vangelo del Signore.
Preghiamo: O Dio, nostro Padre, che hai formato alla scuola degli Apostoli i santi vescovi Timoteo e Tito, concedi anche a noi per loro intercessione di vivere in questo mondo con giustizia e con amore di figli, per giungere alla gloria del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo…