Dal libro di Neemìa (8,2-4.5-6.8-10) – Leggevano il libro della legge e ne spiegavano il senso: La lettura odierna, nel mettere in evidenza lo zelo di Esdra e dei levìti nello spiegare la Legge di Mosè e l’atten-zione del popolo nell’ascoltare, vuol mostrare come per gli Ebrei tornati dall’esilio non si trattava soltanto di ricostruire le mura della città santa e riorganizzare la vita socio-politica, ma era più importante riedificare il popolo di Dio fondandolo sull’ascolto della Legge.
Dal Salmo 18 (19) – Le tue parole, Signore, sono spirito e vita: «Chi ama la legge di Dio, onora anche ciò che in essa non comprende. Ciò che gli pare poco logico, giudica piuttosto di non averlo compreso e pensa che vi si trovi celato qualcosa di grande. […] Perciò, se alcuni di loro cadono, egli non se ne scandalizza e non rovina così se stesso. Al contrario, egli ama la legge del Signore per se stessa, e in lui vi è sempre grande pace e mai scandalo. L’ama senza preoccupazioni, perché sa che anche se molti peccano contro la legge, essi non peccano certo a causa della legge» (Sant’Agostino).
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (12,12-30 forma breve 12,12-14.27): Voi siete corpo di Cristo, ciascuno per la sua parte: La comunità cristiana di Corinto, divisa in tante fazioni, è afflitta, allo stesso tempo, da numerosi problemi. Tra le tante situazioni difficili anche l’eccessivo desiderio dei doni carismatici e il loro uso indiscriminato nell’assemblea liturgica avevano creato non poche difficoltà. Per l’apostolo Paolo, l’esercizio dei carismi deve tendere innanzi tutto a rafforzare la comunione e l’unità della comunità cristiana, per cui, i carismi che provocano lacerazioni e incomprensioni non possono venire da Dio. Quindi è importante un serio discernimento dei carismi e il loro esercizio improntato all’oculatezza e all’ordine.
Dal Vangelo secondo Luca (1,1-4; 4,14-21) – Oggi si è compiuta que–sta Scrittura: La lettura è composta di due parti nettamente distinte: il prologo in cui vengono dichiarati lo scopo e il metodo che hanno guidato Luca nella stesura del Vangelo e l’episodio di Gesù a Nazaret, il primo della sua vita pubblica. In questa seconda parte, Gesù è presentato come il compimento di tutte le attese messianiche.
Dal Vangelo secondo Luca
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Approfondimento
Il genere letterario del Vangelo di Luca – Giovanni Giavini (Vangelo in Schede Bibliche – EDB): Ci troviamo di fronte forse al più bello dei vangeli (almeno tra i tre sinottici).
Come modo di scrivere, Luca è l’evangelista che più si avvicina ai nostri gusti, perché (a parte i primi due capitoli) è il meno giudaico e ha uno stile più bello degli altri e più vario. Ciò dipende dal tipo umano dell’autore, che secondo l’antica tradizione, è Luca. Egli proviene (quasi certamente) dal paganesimo (oriundo forse dalla città di Antiochia), diventa compagno e fedele collaboratore di Paolo (lo si può dedurre anche dalle «sezioni noi» degli Atti degli apostoli: 16,10-17; 20,5-15; 21,1-28; 27,2-28,16; esse – tutte assieme ad altri passi sia degli Atti che dell’epistolario paolino – permettono di intuire che uno di quei «noi», compagni di Paolo, fosse Luca); con lui ha visto la Buona Novella espandersi nel mondo, ha partecipato alle controversie con i giudaizzanti, ha ascoltato i dibattiti di Paolo sul rapporto tra antico Testamento e nuovo, la sua predicazione così fortemente cristocentrica, le sue grandiose ed entusiastiche meditazioni sul misterioso piano di Dio che si va svolgendo e rivelando nella storia; ha ascoltato pure altri predicatori, che (a differenza di Paolo) narravano abbondantemente di ciò che Gesù aveva fatto e detto prima di pasqua; come pure ha condiviso con molti (con Paolo stesso) dapprima la vivissima attesa del ritorno di Cristo e poi la delusione del suo mancato evento e i problemi che ne scaturivano.
Pur immerso in una tradizione così viva e drammatica, Luca ha saputo conservare una invidiabile serenità d’animo, che trasfonde nel lettore, che quasi invita… a cantare con lui!
Paolo (Col 4,14) lo chiama anche «medico carissimo» (cfr. 4,38s.; 5,18-24; 8,44; 22,44: sono passi che, soprattutto se confrontati con i paralleli di Marco sembrano rivelare la competenza di un medico) e un’antica tradizione lo dice anche pittore. Certo è un vero pittore nel descrivere i suoi personaggi, attento com’è soprattutto ai loro stati d’animo. Luca ha scritto molto probabilmente dopo Marco e Matteo, forse vari anni dopo il 70. Non ha scritto creando un’opera del tutto originale. Dipende, come mentalità, in buona parte da Paolo (ha in comune con lui anche parecchi vocaboli, non però il suo linguaggio); inoltre dipende letterariamente da Marco (che spesso quasi sembra copiare) e probabilmente da una fonte (Q) che raccoglieva specialmente detti di Gesù (da cui era dipeso forse anche Matteo) e da altre fonti sue particolari (tra cui Maria SS.?).
Gli scopi che Luca ha avuto nello scrivere sembrano vari. Alcuni ci sono esposti da lui stesso nel suo importante prologo (Lc 1,1-4) e li possiamo così riassumere: ripercorrere la strada delle tradizioni su Gesù, per raccogliere ciò che era autentico e poteva servire, non per la curiosità o per la cronaca d’archivio, ma per approfondire e percepire meglio la «solidità» di ciò che era stato già insegnato al «nobile e ottimo Teofilo» (sconosciuto; nome simbolico?).
Oltre questi scopi, c’era anche quello apologetico? Cioè quello di difendere il cristianesimo dalle accuse che, da Nerone in poi, gli venivano rinfacciate da parte dell’impero: di essere cioè sovversivo, antisociale, antimperiale, anarchico? Può darsi, in questo caso il vangelo di Luca acquisterebbe anche un motivo di più per essere attuale.
Come Marco, anche Luca scrive non tanto per i giudei, ma per i pagani (direttamente per quelli diventati cristiani).
Commento al Vangelo
Questa Scrittura oggi si è adempiuta – Nazaret è il paese dove Gesù «era stato allevato». Gesù, come tutti gli Ebrei, amava frequentare la sinagoga che è l’edificio in cui gli Israeliti si radunavano per pregare, per leggere e per studiare la Legge.
Il decano degli anziani, il quale era incaricato della celebrazione, a volte invitava qualcuno dei presenti a predicare. Fu così che Gesù venne invitato a leggere il profeta Isaia.
Il racconto del Vangelo richiama la prima lettura, ma con sfumature differenti. Sulla piazza davanti alla porta delle Acque, il popolo piange mentre ascolta le parole della legge. Piange dalla gioia perché scopre che Dio nonostante tutto continua ad amare il suo popolo. Un Dio che non si arrende dinanzi al peccato del suo popolo, dinanzi alle sue reiterate ribellioni, per questo motivo all’ascolto deve seguire la gioia, la festa: «Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete».
Altro epilogo a Nazaret: dal finale del Vangelo (nella lettura odierna omesso) si viene a sapere che all’annuncio del compimento della profezia che determinava la fine della schiavitù, invece del pianto liberatore e della gioia, una cappa di tristezza, scendendo sugli uomini e sulle donne presenti nella sinagoga, fa improvvisamente precipitare tutto: lo stupore si trasforma in livore, la fraterna accoglienza in vendetta seguita da acidi propositi: cacciarono Gesù «fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio» (Lc 4,29).
La Parola di Gesù è un annunzio di riconciliazione e di consolazione, ma gli abitanti di Nazaret, conoscendo quanto è distante la lo-ro vita dalla Legge di Dio, capiscono che per accogliere la Buona Novella devono chiudere con il passato e a questo punto tutto si complica. Devono accogliere Gesù quale Vangelo del Padre.
Il peccato, e la stupida ostinazione di vivere nel peccato, a volte gioca dei brutti scherzi come quello di rendere ciechi, paurosi e diffidenti di Dio.
In Gesù di Nazaret il Padre compie il suo progetto di salvezza e il suo compimento non è resa di conti, ma è gioia, festa: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che non hanno nulla di preparato». Il Vangelo, che sostanzialmente è una buona notizia, quando è veramente compreso, rallegra il cuore di chi lo accoglie, e porta a condividere questa gioia: chi è contento desidera che anche gli altri lo siano.
Il brano che Gesù legge è tratto dal libro di Isaia (61,1ss) dove il profeta, da parte di Dio, annunzia un messaggio di consolazione al popolo d’ Israele.
In Gesù questa Scrittura si compie perfettamente, ma in una dimensione molto più ampia in quanto raggiunge l’uomo nella sua totalità. I destinatari di questa Buona Novella sono i poveri, cioè gli umili, i deboli, i piccoli e i contriti di cuore che da sempre, per la loro obbedienza alla volontà di Dio, hanno attirato sulla terra lo sguardo benevolo del Padre fino a costringerlo amorevolmente a mandare il Verbo, la cui «incarnazione costituisce l’attestato più eloquente della sua premura nei confronti degli uomini» (Teodereto di Ciro).
L’anno di grazia, «con cui termina questa profezia, non è altro che il tempo di perdono che Dio accorda a quanti gli si accostano con sentimenti di umiltà e di povertà, il tempo della pace, nel senso più vasto del termine: la pace di Dio, intesa come suo dono amoroso; la pace di Dio, intesa come bene atteso dall’alto; la pace con Dio, intesa come riconciliazione col suo amore» (Carlo Ghidelli).
Tutto questo si è compiuto in Gesù, un’affermazione che dovrebbe far sognare ad occhi aperti tutti gli uomini: un sogno che diventerà realtà quando finalmente l’umanità, varcata la soglia della vita terrena, per essa si spalancheranno per sempre le porte della casa del Padre.
Riflessione
Lo Spirito del Signore è sopra di me – La liturgia ci svela il volto di un Popolo in lieto ascolto della Parola di Dio. Un Popolo che ha per «Capo Gesù Cristo… per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come nel suo tempio… per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati… per missione di essere il sale della terra e la luce del mondo… e per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento» (CCC 782).
Oggi questa Scrittura si è compiuta, questa parola pronunziata solennemente da Gesù nella sinagoga di Nazaret ci permette di mettere in evidenza due aspetti peculiari e fondanti della nostra fede.
Innanzi tutto, la liberazione dell’uomo dalla «legge del peccato e della morte» (Rm 8,2), questo è il dato più importante; poi, la Buona Novella è per tutte le genti (cfr. Mt 28,19 – «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» [1Tm 2,4]) .
La proclamazione ai prigionieri della loro liberazione, è molto più di una parola di consolazione, è un annuncio sconvolgente che va a sanare la carne e lo spirito dell’uomo ferito dal peccato e indica in Gesù il Medico, il Messia e il Redentore.
Oggi, in Cristo e per Cristo, colui che è schiavo del peccato e della morte (cfr. Rm 7,14ss) acquista la libertà ed è adottato come figlio con il dono reale della vita divina: «E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio» (Gal 3,6; cfr. 2Cor 13,13).
Questa liberazione si realizza nel fonte battesimale: nelle sue acque salutari vengono infranti i ceppi del peccato e della morte e l’uomo diventa «“una nuova creatura” [2Cor 5,17], un figlio adottivo di Dio che è divenuto “partecipe della natura divina” [2Pt 1,4], membro di Cristo e coerede con lui, tempio dello Spirito Santo» (CCC 1265).
L’universalità del messaggio evangelico è un dato inconfutabile: tutti gli uomini sono convocati dalla Parola di Dio, una convocazione che supera gli angusti spazi dei nazionalismi: «Nella Nuova Alleanza, l’elezione di Dio si estende a tutti i popoli della terra. In Cristo Gesù, Dio ha scelto l’umanità intera. Ha rivelato l’universalità dell’e-lezione mediante la redenzione. In Cristo, non c’è più né Giudeo né Greco, né schiavo né libero, ma tutti sono uno [cfr. Gal 3,28]. Tutti sono stati chiamati a partecipare alla vita di Dio, grazie alla morte e alla risurrezione di Cristo» (Giovanni Paolo II).
In questa possente opera di evangelizzazione emerge la preponderante azione dello Spirito Santo: «“Lo Spirito Santo è il protagonista di tutta la missione ecclesiale”. È lui che conduce la Chiesa sulle vie della missione. Essa continua e sviluppa nel corso della storia la missione del Cristo stesso, inviato a portare la Buona Novella ai poveri» (CCC 852).
La Chiesa è resa feconda dallo Spirito Santo: è per la potenza dello Spirito Santo «che i figli di Dio possono portare frutto. Colui che ci ha innestati sulla vera Vite, farà sì che portiamo il frutto dello Spirito che è “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22-23). Lo Spirito è la nostra vita, quanto più rinunciamo a noi stessi, tanto più lo Spirito fa che anche noi operiamo» (CCC 736).
Lo Spirito Santo, inviato dal Cristo da parte di Dio (cfr. At 2,33) per la diffusione della Buona Novella, dà la forza di annunziare Gesù Cristo, nonostante le persecuzioni (cfr. At 4,8.31; 5,32; 6,10; Fil 1,19) e di rendergli testimonianza (Mt 10,20; Gv 15,26; At 1,8; 2Tm 1,7s). Accorda i carismi (cfr. 1Cor 12,4s), che autenticano la predicazione: il dono delle lingue, dei miracoli, di distinguere gli spiriti, di profezia, di sapienza e di scienza.
Inoltre, assiste il magistero della Chiesa e nella testimonianza dei Santi manifesta la sua santità e continua l’opera di salvezza.
Se la Chiesa si lascerà “guidare e animare dallo Spirito Santo a somiglianza di Cristo, allora non solo non esisteranno divisioni, rivalità, scismi e fratture, ma il corpo della Chiesa crescerà armoniosamente e il popolo di Dio svolgerà con efficacia la propria missione profetica” (S. A. Panimolle).
La pagina dei Padri
La Parola annunzio di liberazione – Origene: “Mi ha inviato a portare la buona novella ai poveri” (Lc 4,18). I poveri raffigurano i Gentili. Infatti essi erano poveri, dato che non possedevano assolutamente nie-nte, né Dio, né la legge, né i profeti, né la giustizia, né le altre virtù. Per quel motivo Dio lo ha inviato come messaggero presso i poveri? “Per annunziare agli schiavi la liberazione”. Noi fummo prigionieri, e per tanti anni Satana ci ha tenuti incatenati, schiavi e soggetti a sé; è venuto Gesù «ad annunziare la liberazione ai prigionieri “e a dare ai ciechi la vista”». È appunto per la sua parola, e per la predicazione della sua dottrina, che i ciechi vedono […]. “E a restituire la libertà agli oppressi” (Lc 4,18). C’è un essere più oppresso e più mortificato dell’uomo, che da Gesù è stato liberato e guarito?
“A proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4,19; Is 61,2). Secondo una pura e semplice interpretazione letterale, alcuni intendono che il Salvatore ha annunziato il vangelo in Giudea durante un anno, e che questo è il significato della frase: «proclamare l’anno di grazia del Signore “e il giorno della ricompensa”». Ma forse la Santa Scrittura nella frase «proclamare l’anno del Signore» ha voluto nascondere un mistero. Diversi saranno i giorni futuri, non paragonabili a quelli che vediamo oggi nel mondo; ed anche i mesi saranno diversi e diverso il calendario. Se dunque i tempi saranno tutti rinnovati, nuovo sarà nel futuro l’anno del Signore portatore di grazia. Queste cose ci sono state annunziate affinché, dopo essere passati dalla cecità alla chiara visione e dalla schiavitù alla libertà, guariti dalle nostre molteplici ferite, noi perveniamo «all’anno di grazia del Signore».