18 Gennaio 2019 – Venerdì, I del Tempo Ordinario – (Eb 4,1-5.11; Sal 77[78]; Mc 2,1-12) – I Lettura: Nel cammino della fede non v’è nulla di scontato o di magico, ascoltare la parola e non metterla in pratica non serve a nulla. Solo chi crede e rimane unito alla Vite divina può entrare nel riposo di Dio. Unione con Dio che si fa comunione con la Chiesa. Vangelo: Si apre, con il racconto della guarigione del paralitico, la sezione dei contrasti con gli scribi e i farisei che si conclude con una aperta dichiarazione di ostilità da parte di quest’ultimi: «E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire» (Mc 3,6). Dalla stessa bocca malevola degli scribi si coglie la netta affermazione della divinità del Cristo.
Il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra – Dal Vangelo secondo Marco: Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico -: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».
Riflessione: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 982: «Non c’è nessuna colpa, per grave che sia, che non possa essere perdonata dalla santa Chiesa. “Non si può ammettere che ci sia un uomo, per quanto infame e scellerato, che non possa avere con il pentimento la certezza del perdono” (Cat. Romano 1,11,5). Cristo, che è morto per tutti gli uomini, vuole che, nella sua Chiesa, le porte del perdono siano sempre aperte a chiunque si allontana dal peccato (cfr. Mt 18,21-22)». E ancora al n. 1469: «Il peccato incrina o infrange la comunione fraterna. Il sacramento della Penitenza la ripara o la restaura. In questo senso, non guarisce soltanto colui che viene ristabilito nella comunione ecclesiale, ma ha pure un effetto vivificante sulla vita della Chiesa che ha sofferto a causa del peccato di uno dei suoi membri (cfr. 1Cor 12,26). Ristabilito o rinsaldato nella comunione dei santi, il peccatore viene fortificato dallo scambio dei beni spirituali tra tutte le membra vive del Corpo di Cristo, siano esse ancora nella condizione di pellegrini o siano già nella patria celeste (cfr. LG 48-50). “Bisogna aggiungere che tale riconciliazione con Dio ha come conseguenza, per così dire, altre riconciliazioni, che rimediano ad altrettante rotture, causate dal peccato: il penitente perdonato si riconcilia con se stesso nel fondo più intimo del proprio essere, in cui ricupera la propria verità interiore; si riconcilia con i fratelli, da lui in qualche modo offesi e lesi; si riconcilia con la Chiesa, si riconcilia con tutto il creato”» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia 31).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Come bisogna considerare la malattia? – Mons Vincenzo Pisanello, Vescovo (Omelia, 20 Febbraio 2012): Insegna il Catechismo della Chiesa cattolica: “L’uomo dell’Antico Testamento vive la malattia di fronte a Dio. È davanti a Dio che egli versa le sue lacrime sulla propria malattia; è da lui, il Signore della vita e della morte, che egli implora la guarigione. La malattia diventa cammino di conversione e il perdono di Dio dà inizio alla guarigione. Israele sperimenta che la malattia è legata, in un modo misterioso, al peccato e al male, e che la fedeltà a Dio, secondo la sua Legge, ridona la vita: «Perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!» (Es 15,26). Il profeta intuisce che la sofferenza può anche avere un valore redentivo per i peccati altrui. Infine Isaia annuncia che Dio farà sorgere per Sion un tempo in cui “perdonerà ogni colpa e guarirà ogni malattia”. Questo tempo è il tempo di Gesù: Egli si commuove dinanzi a tante sofferenze, si lascia toccare dagli ammalati, e fa sue le loro miserie: «Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Mt 8,17). Ma Gesù non ha guarito tutti i malati. Le sue guarigioni erano segni della venuta del regno di Dio. Annunciavano una guarigione più radicale: la vittoria sul peccato e sulla morte attraverso la sua pasqua. Sulla croce, Cristo ha preso su di sé tutto il peso del male e ha tolto il «peccato del mondo» (Gv 1,29), di cui la malattia non è che una conseguenza. Con la sua passione e la sua morte sulla croce, Gesù ha dato un senso nuovo alla sofferenza: essa può ormai configurarci a lui e unirci alla sua passione redentrice (cfr. CCC 1505, 1502, 1505, 1521), e con l’istituzione del Sacramento dell’Unzione degli Infermi, Gesù ha dato la grazia all’ammalato di ricevere la forza e il dono di unirsi più intimamente alla passione di Cristo: l’ammalato viene in certo qual modo consacrato per portare frutto mediante la configurazione alla passione redentrice del Salvatore. «La sofferenza, conseguenza del peccato originale, riceve un senso nuovo: diviene partecipazione all’opera salvifica di Gesù…» (CCC 1505, 1502, 1505, 1521).
La sofferenza svela chi siamo – Mons. Alceste Catella, Vescovo (Omelia, 10 Febbraio 2013): Quando la malattia prende nell’intimo del cuore e tocca il corpo, sorgono domande fondamentali: sul perché del dolore e della sofferenza, sul come superarli, su quali speranze fondare la guarigione. La debolezza, la fragilità e l’indi-genza di chi si sente, a volte gradualmente, a volte quasi all’improvviso, bisognoso di tutto e di tutti, alla mercé di una situazione che sembrava lontana e comunque rifiutata, suscita alla fine l’interrogativo più radicale sul senso della vita e della morte. La sofferenza svela chi siamo e quale è, in fondo, il fine di tutta la nostra vita, come il dolore e la morte di Cristo in croce svelano chi egli veramente è e quale è stato il fine per cui ha vissuto, amato e donato se stesso con amore. Alla luce di Cristo dunque anche la sofferenza e la stessa morte acquistano un significato nuovo e ricco di speranza. Queste realtà tragicamente negative si illuminano di un calore umano e spirituale profondo e possono essere vissute con la più grande serenità e abbandono fiducioso in Dio. L’esperienza della malattia può diventare allora occasione di un avvicinamento più autentico a Dio e al prossimo, come anche di apertura alla preghiera.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Dio è accusato di chinarsi sull’uomo, di accostarsi al peccatore, d’aver fame della sua conversione e sete del suo ritorno; di prendere l’alimento della misericordia e il calice della benevolenza. Cristo, fratelli, è venuto a questa cena, la Vita è scesa tra questi convitati perché, condannati a morire, vivano con la Vita. La Risurrezione si è chinata perché coloro che giacciono si levino dalle loro tombe; la Bontà si è abbassata per elevare i peccatori fino al perdono; Dio è venuto all’uomo perché l’uomo giunga a Dio; il Giudice si è assiso alla mensa dei colpevoli per sottrarre l’umanità alla sentenza di condanna; il Medico è venuto dai malati per ristabilirli mangiando con loro; il Buon Pastore ha chinato le spalle per riportare la pecorella smarrita all’ovile di salvezza” (Pietro Crisologo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Gesù dinanzi la malattia – Giblet e P. Grelot: Durante il suo ministero, Gesù trova ammalati sulla sua strada. Senza interpretare la malattia in una prospettiva di retribuzione troppo stretta (cfr. Gv 9,2s), egli vede in essa un male di cui soffrono gli uomini, una conseguenza del peccato, un segno del potere di Satana sugli uomini (Lc 13,16). Ne prova pietà (Mt 20,34), e questa pietà guida la sua azione. Senza soffermarsi a distinguere ciò che è malattia naturale da ciò che è possessione diabolica, «egli scaccia gli spiriti e guarisce coloro che sono ammalati» (Mt 8,16par.). Le due cose vanno di pari passo. Manifestano entrambe la sua potenza (cfr. Lc 6,19) ed hanno infine lo stesso senso: significano il trionfo di Gesù su Satana e la instaurazione del regno di Dio in terra, conformemente alle Scritture (cfr. Mt 11,5 par.). Non già che la malattia debba ormai sparire dal mondo, ma la forza divina che infine la vincerà è fin d’ora in azione quaggiù. Perciò, dinanzi a tutti gli ammalati che gli esprimono la loro fiducia (Mc 1,40; Mt 8,2-6 par.), Gesù non manifesta che una esigenza: Credere, perché tutto è possibile alla fede (Mt 9,28; Mc 5,36 par.; 9,23). La loro fede in lui implica la fede nel regno di Dio, ed è questa fede a salvarli (Mt 9,22 par.; 15,28; Mc 10,52 par.). I miracoli di guarigione sono quindi in qualche misura un’anticipazione dello stato di perfezione che l’umanità ritroverà infine nel regno di Dio, conformemente alle profezie. Ma hanno pure un significato simbolico relativo al tempo attuale. La malattia è un simbolo della stato in cui si trova l’uomo peccatore: spiritualmente, egli è cieco, sordo, paralitico… Quindi la guarigione del malato è anche un simbolo: rappresenta la guarigione spirituale che Gesù viene ad operare negli uomini. Egli rimette i peccati del paralitico e, per dimostrare che ne ha il potere, lo guarisce (Mc 2,1-12 par.).
Santo del giorno: 18 Gennaio – Santa Margherita d’Ungheria, Principessa e religiosa: “Nacque nel 1242 da Bela IV re d’Ungheria e dalla regina Maria di origine bizantina, probabilmente nel castello di Turòc. Nel 1252 fu condotta al monastero delle Domenicane di Santa Maria nell’Isola delle Lepri sul Danubio presso Buda, fondato da suo padre. Qui fa la sua professione religiosa nel 1254 e prende il velo nel 1261. Margherita si faceva leggere le Sacre Scritture e si affidava alla guida spirituale del suo confessore, il domenicano Marcello, già Provinciale d’Ungheria. È stata una delle più grandi mistiche medievali d’Ungheria. Grazie alla sua ascesi ebbe il dono delle visioni. Morì il 18 gennaio 1270 nel suo convento dell’Isola delle Lepri, presso Budapest. La sua tomba divenne presto meta di pellegrinaggi. Il processo canonico per dichiararla santa è incominciato nel 1271, sotto Gregorio X. La canonizzazione è avvenuta nel 1943, con Pio XII” (Avvenire).
Preghiamo: Ispira nella tua paterna bontà, o Signore, i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera, perché veda ciò che deve fare e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto. Per il nostro Signore Gesù Cristo…