17 Gennaio 2019 – Giovedì, I del Tempo Ordinario – Sant’Antonio (Memoria) – (Eb 3,7-14; Sal 94[95]; Mc 1,40-45) – I Lettura: L’indurimento e l’incredulità del popolo di Israele non ha fermato lo scorrere delle acque della grazia e della salvezza, acque salutari che oggi in Cristo lambiscono tutti i popoli. Occorre quindi accogliere in tempo l’oggi di Dio per entrare nel suo riposo. E la porta per entrare nella terra promessa è la fede in Cristo Gesù. Vangelo: La guarigione del lebbroso rivela il cuore misericordioso e compassionevole di Gesù, ma è anche un messaggio chiaro ai suoi discepoli e al popolo d’Israele: Gesù con i suoi miracoli mostra che le sue opere inaugurano veramente l’èra messianica, ma sotto forma di doni e di salvezza e non di condanna e di castigo (cfr. Lc 4,17-21).
La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Riflessione: «… si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città». Nel libro del Qoèlet si afferma che per ogni cosa c’è un tempo opportuno, e in particolare si sottolinea di come ci sia: «un tempo per tacere e un tempo per parlare» (Qo 3,7). Possiamo, quindi, oggi approfittare di quanto accaduto al lebbroso guarito per riflettere su come sia giusto a volte tacere e a volte parlare. Cerchiamo di capire i criteri per agire in maniera attiva ma discreta, perché la nostra parola sia sempre edificante e il nostro silenzio possa essere costruttivo. Alcuni pensano che basta che una cosa sia bella in sé perché possa essere divulgata a tutti, senza ulteriori filtri. Ma sappiamo che non sempre è così: a volte la prudenza deve guidarci a preferire un paziente silenzio ad una inopportuna testimonianza. Ce lo insegna il silenzio di Maria, dopo l’Annunciazione, nei riguardi della sua gravidanza, anche con lo stesso Giuseppe. Ce lo insegna Gesù, dinanzi ai suoi accusatori, pur potendo far valere la sua autorevole parola o accompagnare la sua testimonianza con fatti miracolosi e persuasivi. Ce lo insegnano tanti operatori di pace e testimoni di amore, che con il loro silenzio hanno permesso a Dio di operare con i tempi e i modi che gli sono propri, nella pazienza, nel rispetto del prossimo, nelle modalità scelte da Dio, nella preghiera, nella docilità allo Spirito… Il lebbroso del Vangelo è guarito, ma riceve un ordine ben preciso di tacere. Non lo fa, e purtroppo questa sua parola indomita “rovina” l’attività di Gesù, il quale si vede costretto a rimanere ai margini delle città, senza potervi entrare. Ha dato gloria a Dio, è vero, ma disobbedendo a lui!
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Oggi, se udite la sua voce – CCC 1165: Quando la Chiesa celebra il mistero di Cristo, una parola scandisce la sua preghiera: «Oggi!», come eco della preghiera che le ha insegnato il suo Signore e dell’invito dello Spirito Santo. Questo «oggi» del Dio vivente in cui l’uomo è chiamato ad entrare è l’«Ora» della pasqua di Gesù, che attraversa tutta la storia e ne è il cardine: «La vita si è posata su tutti gli esseri e tutti sono investiti da una grande luce; l’Oriente degli orienti ha invaso l’universo, e colui che era prima della stella del mattino e prima degli astri, immortale e immenso, il grande Cristo, brilla su tutti gli esseri più del sole. Perciò, per noi che crediamo in lui, sorge un giorno di luce, lungo, eterno, che non si spegnerà più: la Pasqua mistica».
La lebbra – Paolo VI (Angelus, 29 Gennaio 1978): La Chiesa non può rimanere insensibile allo sforzo di guarire l’umanità da questo morbo terribile, ancora diffuso nel mondo, e con qualche limitata ma dolorosa presenza anche nel nostro Paese. La lebbra è un flagello che la Bibbia cataloga (cfr. Lv 13,8-9) e che nel Vangelo ci ricorda la pietà miracolosa con cui Gesù Cristo stesso la risanò. E sebbene oggetto di tanti studi e di tante cure per cui la lebbra non è più quel malanno inguaribile, contagioso e maledetto, ch’era sempre considerato, essa rimane infermità tipica, che non solo esige assistenza sanitaria specializzata, ma rappresenta un fenomeno simbolico dell’umana infermità, che il Vangelo affronta con miracolosa energia e che, sempre alla luce del Vangelo, c’insegna, primo, non esservi malanno umano, per deforme e ripugnante che sia, al quale non si debba prodigare rispetto, cura e rimedio. La carità cristiana, felice d’avere seguaci che la sopravanzano, è stata all’avan-guardia in questa lotta, ritenuta per tanto tempo disperata, contro la lebbra, proprio per il carattere di questa malattia estremamente nemico e distruttore delle membra vive dell’uomo, tanto ch’è ormai acquisito alla civiltà il dovere generale di prodigare ogni cura dove il male e il dolore sono maggiori.
Lebbroso – Benedetto XVI (Angelus, 12 Febbraio 2012): Il Vangelo ci mostra Gesù a contatto con la forma di malattia considerata a quei tempi la più grave, tanto da rendere la persona “impura” e da escluderla dai rapporti sociali: parliamo della lebbra. Una speciale legislazione (cfr. Lv 13-14) riservava ai sacerdoti il compito di dichiarare la persona lebbrosa, cioè impura; e ugualmente spettava al sacerdote constatarne la guarigione e riammettere il malato risanato alla vita normale. Mentre Gesù andava predicando per i villaggi della Galilea, un lebbroso gli si fece incontro e gli disse: “Se vuoi, puoi purificarmi!”. Gesù non sfugge al contatto con quell’uomo, anzi, spinto da intima partecipazione alla sua condizione, stende la mano e lo tocca – superando il divieto legale – e gli dice: “Lo voglio, sii purificato!”. In quel gesto e in quelle parole di Cristo c’è tutta la storia della salvezza, c’è incarnata la volontà di Dio di guarirci, di purificarci dal male che ci sfigura e che rovina le nostre relazioni. In quel contatto tra la mano di Gesù e il lebbroso viene abbattuta ogni barriera tra Dio e l’impurità umana, tra il Sacro e il suo opposto, non certo per negare il male e la sua forza negativa, ma per dimostrare che l’amore di Dio è più forte di ogni male, anche di quello più contagioso e orribile.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Il fine ultimo della preghiera – «Ho cercato il Signore e mi ha esaudito [Sal 33,5]. Quelli dunque che non sono esauditi non cercano il Signore. Faccia attenzione la santità vostra. Il salmista non ha detto: Ho richiesto l’oro dal Signore e mi ha esaudito; ho richiesto dal Signore la longevità e mi ha esaudito; ho richiesto dal Signore questo e quello e mi ha esaudito. Altro è cercare qualcosa dal Signore, altro è cercare il Signore stesso. «Ho cercato il Signore e mi ha esaudito», dice… Non cercare qualcosa di estraneo al Signore, ma cerca il Signore stesso, ed egli ti esaudirà, e mentre ancora stai parlando ti dirà: Ecco, sono qui [Is 65,24]. Che vuol dire: Ecco, sono qui? Ecco, sono presente, che cosa vuoi, cosa attendi da me? Tutto quello che ti posso dare è nulla al mio confronto: prendi me stesso, goditi me, abbracciami: non ancora puoi farlo completamente, toccami con la fede, e a me ti unirai [così ti dice Dio], e io ti libererò da tutti i tuoi fardelli, affinché tu possa aderire a me tutto intero, quando avrò trasformato all’immortalità questo tuo corpo mortale, affinché tu sia uguale ai miei angeli, tu veda sempre il mio volto e sia felice, senza che nessuno possa più toglierti la tua gioia. Poiché tu hai cercato il Signore e ti ha esaudito» (Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Va’ a mostrarti al sacerdote – La Legge prescriveva che l’avvenuta purificazione doveva essere comprovata dai sacerdoti e suggellata da sacrifici. Sarebbe servito anche come testimonianza per loro: si credeva che nel tempo della salvezza non ci sarebbe stata più la lebbra. Le guarigioni dalla lebbra compiute da Gesù indicano perciò che il tempo della salvezza è giunto (cfr. Mt 8,2-4; 11,5). L’uomo, per Rinaldo Fabris, ormai «purificato deve essere riammesso nella comunità. Là dove arriva il regno di Dio cadono le barriere e le esclusioni; i tutori dell’antica legislazione devono riconoscere che questo è una prova del tempo nuovo. Il lebbroso guarito allora può diventare un “annunciatore della parola” […], colui che comunica il messaggio nuovo racchiuso nel gesto di Gesù». All’ordine tassativo di non dire nulla a nessuno, segue l’evidente violazione della consegna da parte dell’uomo, ormai guarito dalla lebbra. Gesù vuole evitare facili entusiasmi, non vuole che il popolo sia attratto unicamente dai suoi miracoli, ma è difficile nascondere un fatto così clamoroso. Come è già successo altre volte, Gesù, a motivo del miracolo svelato dall’improvvisato banditore, non può più entrare nei centri abitati, ma è obbligato a starsene riparato in luoghi solitari. Ma questo non scoraggia la gente che numerosa si affolla attorno alla sua persona. La gente forse non ha capito il mistero del Cristo e lo cerca per un tornaconto personale, ma certamente ha compreso in modo netto una cosa: incontrare quel giovane Maestro, essere toccati da lui, ascoltare la sua parola è come l’essere introdotti in un nuovo mondo dove si respira il profumo della libertà, della sanità corporale e spirituale, della salvezza.
Santo del giorno: 17 Gennaio – Sant’Antonio Abate: “Antonio abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Nato a Coma, nel cuore dell’Egitto, intorno al 250, a vent’anni abbandonò ogni cosa per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni: morì, infatti, ultracentenario nel 356. Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l’Oriente. Anche Costantino e i suoi figli ne cercarono il consiglio. La sua vicenda è raccontata da un discepolo, sant’Atanasio, che contribuì a farne conoscere l’esempio in tutta la Chiesa. Per due volte lasciò il suo romitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino Daia. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Conciliio di Nicea. Nell’iconografia è raffigurato circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore” (Avvenire).
Preghiamo: O Dio, che hai ispirato a sant’Antonio abate di ritirarsi nel deserto, per servirti in un nuovo modello di vita cristiana, concedi anche a noi per sua intercessione di superare i nostri egoismi per amare te sopra ogni cosa. Per il nostro Signore Gesù Cristo…