– Giovedì – San Giovanni Evangelista (Festa) – (1Gv 1,1-4; Sal 96[97]; Gv 20,2-8) – I Lettura: Oggi ricordiamo il discepolo che ama identificarsi come colui che è amato dal Maestro, l’evangelista Giovanni. Il brano di oggi, tratto dalla sua prima lettera ha come tema la gioia che nasce dall’esperienza della comunione con Dio. Giovanni è testimone dell’amore che Dio ha per ogni uomo e il suo annuncio risuona come un invito a fare esperienza di questo amore nella comunione con il Padre e il Figlio. Vangelo: Il Vangelo di oggi ci mette di fronte a due ordini di conoscenza di Dio “la conoscenza sensibile e la conoscenza derivante dalla fede. Il vedere, infatti, è proprio degli occhi, mentre il contemplare è proprio della fede. Il discepolato ha questa caratteristica, di vedere cioè le cose su un doppio livello, andando al di là di ciò che si vede, per cogliere in esso il segno di rimando alla Presenza invisibile di Dio. In fondo, tutto ciò che Pietro e Giovanni vedono si racchiude in questo: il sepolcro aperto, le bende per terra e il sudario. Il discepolo, però, ha uno sguardo penetrante che va al di là delle apparenze e oltre le apparenze vede la presenza del Risorto” (Enzo Cuffaro).
L’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro – Dal Vangelo secondo Giovanni: Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
Riflessione: La risurrezione di Gesù è il fondamento della nostra fede – Salvatore Alberto Panimolle: Il quarto evangelista rappresenta in modo drammatico lo sbocciare della fede nella risurrezione di Gesù, nel cuore dei primi discepoli. Nella descrizione delle apparizioni del Signore ai suoi amici dentro il cenacolo è sottolineata la dipendenza della fede dal vedere il Risorto; questa pericope tuttavia termina con la beatitudine di coloro che credono senza aver visto (Gv 20,29). Non solo qui, ma anche nel brano iniziale è narrato come il discepolo amato giunse alla fede nella risurrezione del Cristo (Gv 20,8s). Dunque la fede nel Signore risorto costituisce uno degli elementi dottrinali di maggior rilievo in Gv 20. In realtà questa fede forma la base della religione cristiana; esclama, Paolo: «Se Cristo non è risorto, è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» (1Cor 15,14). La risurrezione di Gesù è il fondamento della nostra fede e deve essere la forza che anima la nostra esistenza. La certezza che il Cristo ha vinto la morte e il peccato, deve infondere nel nostro cuore la speranza di partecipare a questa vittoria sul male. La fede nel Signore risorto che vive in seno alla chiesa, deve suscitare tanta serenità nel popolo di Dio, soprattutto nei momenti di crisi e di oscurità, allorché sembra prevalgano l’odio e le tenebre. Il Concilio Vaticano II ricorda che la Chiesa “dalla virtù del Signore risorto trova forza per vincere con pazienza e amore le sue interne ed esterne afflizioni e difficoltà” (Lumen Gentium 8).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: San Giovanni – Benedetto XVI (Udienza Generale, 5 luglio 2006): Secondo la tradizione, Giovanni è “il discepolo prediletto”, che nel Quarto Vangelo poggia il capo sul petto del Maestro durante l’Ultima Cena (cfr. Gv 13,21), si trova ai piedi della Croce insieme alla Madre di Gesù (cfr. Gv 19,25) ed è infine testimone sia della Tomba vuota che della stessa presenza del Risorto (cfr. Gv 20,2; 21,7). Sappiamo che questa identificazione è oggi discussa dagli studiosi, alcuni dei quali vedono in lui semplicemente il prototipo del discepolo di Gesù. Lasciando agli esegeti di dirimere la questione, ci contentiamo qui di raccogliere una lezione importante per la nostra vita: il Signore desidera fare di ciascuno di noi un discepolo che vive una personale amicizia con Lui. Per realizzare questo non basta seguirlo e ascoltarlo esteriormente; bisogna anche vivere con Lui e come Lui. Ciò è possibile soltanto nel contesto di un rapporto di grande familiarità, pervaso dal calore di una totale fiducia. È ciò che avviene tra amici; per questo Gesù ebbe a dire un giorno: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici… Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,13.15). Negli apocrifi Atti di Giovanni l’Apostolo viene presentato non come fondatore di Chiese e neppure alla guida di comunità già costituite, ma in continua itineranza come comunicatore della fede nell’incontro con “anime capaci di sperare e di essere salvate” (18,10; 23,8). Tutto è mosso dal paradossale intento di far vedere l’invisibile. E infatti dalla Chiesa orientale egli è chiamato semplicemente “il Teologo”, cioè colui che è capace di parlare in termini accessibili delle cose divine, svelando un arcano accesso a Dio mediante l’adesione a Gesù.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Correvano insieme tutti e due, ma Giovanni corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro; tuttavia non osò entrare per primo. Venne poi anche Pietro, ed entrò”. Qual è, fratelli, il significato di questa corsa? Si può credere che una descrizione dell’evangelista così dettagliata sia priva di significati mistici? Niente affatto! Giovanni non avrebbe detto che era arrivato primo e non era entrato, se non avesse creduto che in quella sua trepidazione era contenuto un mistero. Cos’altro rappresenta Giovanni se non la Sinagoga, e cosa Pietro se non la Chiesa? Non sembri strano che il più giovane raffiguri la Sinagoga, mentre il più vecchio raffigura la Chiesa, perché se è vero che al culto di Dio venne prima la Sinagoga che non la Chiesa dei pagani, è vero anche che nella realtà della storia umana viene prima la moltitudine dei pagani che non la Sinagoga, come afferma Paolo, che dice: Non è prima ciò che è spirituale, bensì ciò che è animale [1Cor 15,46]. Perciò il più vecchio, Pietro, rappresenta la Chiesa dei pagani, mentre il più giovane, Giovanni, rappresenta la Sinagoga dei Giudei. Corsero insieme tutti e due, perché dal loro inizio sino alla fine il paganesimo e la Sinagoga corsero con pari e comune via, se non con pari e comune sentimento. La Sinagoga giunse per prima al sepolcro, ma non entrò, perché pur avendo ricevuto i comandamenti della legge e udito le profezie sulla Incarnazione e Passione del Signore, non volle credere in un morto. Giovanni, dunque, vide le bende per terra, ma non entrò; perché la Sinagoga, pur conoscendo gli obblighi della Sacra Scrittura, tuttavia indugiò, nel credere, a giungere alla fede nella Passione del Signore. Colui che da tanto tempo aveva profetato, lo vide presente, e pure negò [di credere in lui]; lo disprezzò in quanto uomo, non volle credere che Dio avesse assunto la carne mortale. Così facendo, corse più veloce, e tuttavia rimase incredula davanti al sepolcro: Giunse intanto Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro: cioè la Chiesa dei pagani, pur venendo dopo, nel Mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo, riconobbe colui che era morto secondo la carne e lo adorò come Dio vivo” (San Gregorio Magno).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: La pietra che sigillava la tomba era stata tolta… entra Pietro, entra subito dopo anche l’altro discepolo, dai più identificato con Giovanni, e vide e credette. La forma «greca potrebbe essere un aoristo incoativo con il significato di “incominciò a credere”» (Mauro Orsatti): è la fede incipiente che inizia a crescere e a irrobustirsi, stimolata dal sepolcro vuoto, dalle bende e dal sudario avvolto in un luogo a parte. Potremmo ricordare Gv 11,45: «Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto [la risurrezione di Lazzaro], credettero in lui». Nonostante tutto, Pietro e l’altro discepolo se ne tornarono a casa portando nel cuore domande senza risposte: infatti non avevano compreso la Scrittura che Egli doveva risorgere dai morti. Con quest’ultima annotazione non si vuole screditare gli Apostoli e non si vuole mettere in risalto la loro poca fede o incredulità. Anche per un ebreo, e gli Apostoli erano ebrei, risultava ostica la comprensione della risurrezione. La pericope evangelica mostra con chiarezza che Maria di Màgdala, Pietro e l’altro discepolo approdano alla fede nella risurrezione lentamente, seguendo percorsi molto diversi, costruiti anche su dubbi, segni, domande e riflessioni gravide di timori e di paure (cfr. Gv 20,19). In ogni caso, i segni da soli non possono condurre alla conclusione che Gesù è risorto: per arrivare a questo occorre comprendere la Scrittura e questa viene solo dall’incontro con il Risorto, così come ci suggerisce il racconto dei discepoli di Emmaus: «… Noi speravamo… alcune donne… si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto… [Gesù] disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti…”» (Lc 24,13ss). Un’esperienza unica che si rinnova sempre quando i credenti, il primo giorno della settima, spezzano il pane dopo aver letto le Scritture.
Santo del giorno: 27 Dicembre – Santa Fabiola di Roma, Matrona romana: “Nel Sabato santo di un anno imprecisato Fabiola si presenta, vestita con tela di sacco, nella basilica di San Giovanni in Laterano, chiedendo di essere accolta nella Chiesa. Discende da un casato illustre nella storia romana, quello dei Fabi, e alle spalle ha già due matrimoni finiti il primo con un divorzio, il secondo con la morte del marito. Facendosi cristiana, si fa anche povera, rinunciando ai suoi beni e costruendo un ospedale per i malati. Un giorno le accade di appassionarsi a un trattato sulla vita eremitica. Autore ne è Gerolamo, che dal 385 si trova in Palestina. Fabiola decide di vivere anche lei in solitudine e nel 394 va da lui in Palestina, affidandosi alla sua guida spirituale. Nel 395, però, essendo l’Impero in pericolo per l’irruzione di popoli germanici dal Nord, decide di tornare a Roma tra i suoi, a spartirne ansie e difficoltà; e continua a vivere al modo degli eremiti, ma alla preghiera solitaria accompagna il lavoro per i poveri. Pur restando laica, diventa così un modello per il mondo monastico e per la gente comune di Roma. Muore nel 399” (Avvenire).
Preghiamo: O Dio, che per mezzo dell’apostolo Giovanni ci hai rivelato le misteriose profondità del tuo Verbo: donaci l’intelligenza penetrante della Parola di vita, che egli ha fatto risuonare nella tua Chiesa. Per il…