11 Dicembre 2018 – Martedì, II del Tempo di Avvento- (Is 40,1-11; Sal 95[96]; Mt 18,12-14) – I Lettura: Nel brano odierno si compie un salto di 150 anni all’interno di Isaìa. Il testo è l’inizio del Deutero Isaìa (Secondo Isaìa – Is 40-55) scritto nel periodo dell’esilio babilonese e che, a differenza del Proto Isaìa (Is 1-39), presenta degli oracoli improntati alla consolazione del popolo, che si trova deportato. Il tema principale è quello della buona notizia: “Annunci liete notizie a Sion”, che Dio non ha dimenticato il suo popolo e si avvicina per salvarlo. Vangelo: “Dopo aver presentato il bimbo come modello del regno dei cieli, Matteo continua il discorso mostrando che Dio si cura anche del «più piccolo» degli esseri umani. In questo contesto viene introdotta la parabola della «pecora smarrita», in cui emerge la sollecitudine del pastore nella ricerca, spinto dalla «volontà celeste» (cfr. Gv 10,14-18)” (Messale dell’assemblea cristiana). Lo sfondo dell’Antico Testamento lo possiamo ritrovare nel libro del profeta Ezechiele (34, 1ss).
Dio non vuole che i piccoli si perdano – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».
Riflessione: Giovanni Paolo II (Pastores dabo vobis 22): L’immagine di Gesù Cristo pastore della chiesa, suo gregge, riprende e ripropone, con nuove e più suggestive sfumature, gli stessi contenuti di quella di Gesù Cristo capo e servo. Inverando l’annuncio profetico del Messia salvatore, cantato gioiosamente dal salmista e dal profeta Ezechièle (cfr. Sal 22-23; Ez 34,11ss), Gesù si autopresenta come il buon pastore (Gv 10,11.14) non solo di Israele, ma di tutti gli uomini (cfr. Gv 10,16). E la sua vita è ininterrotta manifestazione, anzi quotidiana realizzazione della sua carità pastorale: sente compassione delle folle, perché sono stanche e sfinite, come pecore senza pastore (cfr. Mt 9,35-36); cerca le smarrite e le disperse (cfr. Mt 18,12-14) e fa festa per il loro ritrovamento, le raccoglie e le difende, le conosce e le chiama a una a una (cfr. Gv 10,3), le conduce ai pascoli erbosi e alle acque tranquille (cfr. Sal 22-23), per loro imbandisce una mensa, nutrendole con la sua stessa vita. Questa vita il buon pastore offre con la sua morte e risurrezione, come la liturgia romana della Chiesa canta: “È risorto il pastore buono che ha dato la vita per le sue pecorelle, e per il suo gregge è andato incontro alla morte. Alleluia”. Pietro chiama Gesù il principe dei pastori (1Pt 5,4), perché la sua opera e missione continuano nella Chiesa attraverso gli apostoli (cfr. Gv 21,15-17) e i loro successori (cfr. 1Pt 5,1ss) e attraverso i presbiteri. In forza della loro consacrazione, i presbiteri sono configurati a Gesù buon pastore e sono chiamati a imitare e a rivivere la sua stessa carità pastorale. Il donarsi di Cristo alla Chiesa, frutto del suo amore, si connota di quella dedizione originale che è propria dello sposo nei riguardi della sposa, come più volte suggeriscono i testi sacri. Gesù è il vero sposo che offre il vino della salvezza alla Chiesa (cfr. Gv 2,11). Egli, che è il «capo della chiesa… e il salvatore del suo corpo» (Ef 5,23) … La Chiesa è sì il corpo, nel quale è presente e operante Cristo capo, ma è anche la sposa, che scaturisce come nuova Eva dal costato aperto del Redentore sulla croce: per questo Cristo sta “davanti” alla Chiesa, “la nutre e la cura” (Ef 5,29) con il dono della sua vita per lei.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Se un uomo ha cento pecore… – Giovanni Paolo II (Omelia, 12 Dicembre 1995): [Isaia] è un Profeta, è voce di Dio stesso. Egli annunzia il Dio vivente, il Dio che si rivela, che parla all’uomo. Il Verbo che deve venire al mondo. “Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza…” (Is 40,9-10). L’evento della notte di Betlemme si compirà nel silenzio, ma gli angeli ne daranno notizia. I pastori di Betlemme, primi testimoni del Natale del Signore, li udranno annunziare la gloria di Dio nell’alto dei cieli e la pace sulla terra per gli uomini che Egli ama (cfr. Lc 2,13-14). Il Profeta esprime tutto questo con parole che, dopo tanti secoli, nulla hanno perso della loro bellezza e del loro vigore. Nell’odierna liturgia, anche il Salmo in qualche modo si fa eco delle parole di Isaia: “Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta la terra” (Sal 95,1). Isaia presenta il Messia come pastore che raduna col suo braccio il gregge, porta gli agnellini sul petto e con delicatezza conduce le pecore madri (cfr. Is 40,11). L’immagine del pastore, ricorrente nell’Antico Testamento, è passata nel Vangelo: Gesù se ne serve per definire la propria missione (cfr. Gv 10). Il brano evangelico, oggi proclamato, parla di un pastore che cerca la pecora smarrita. “Che ve ne pare? – domanda Gesù – Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta?”. Ed aggiunge: “Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli” (Mt 18,12-14). L’immagine del Buon Pastore ci conduce dunque al cuore stesso del Vangelo. Il Dio atteso da Israele e dall’uomo di tutti i tempi è il Buon Pastore, ricolmo di grande premura paterna. È Amore! E non è certo un caso se nella notte del Natale i primi a rendere omaggio al divino Bambino furono proprio dei pastori, intenti a vegliare sul loro gregge nelle vicinanze di Betlemme.
… andrà a cercare quella che si è smarrita? – Benedetto XVI (Udienza Generale, 5 Ottobre 2011): Gesù è il “Buon Pastore” che va in cerca della pecora smarrita, che conosce le sue pecore e dà la vita per loro (cfr. Mt 18,12-14; Lc 15,4-7; Gv 10,2-4.11-18), Egli è la via, il giusto cammino che ci porta alla vita (cfr. Gv 14,6), la luce che illumina la valle oscura e vince ogni nostra paura (cfr. Gv 1,9; 8,12; 9,5; 12,46). È Lui l’ospite generoso che ci accoglie e ci mette in salvo dai nemici preparandoci la mensa del suo corpo e del suo sangue (cfr. Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,19-20) e quella definitiva del banchetto messianico nel Cielo (cfr. Lc 14,15ss; Ap 3,20; 19,9). È Lui il Pastore regale, re nella mitezza e nel perdono, intronizzato sul legno glorioso della croce (cfr. Gv 3,13-15; 12,32; 17,4-5).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «[Il Figlio di Dio] prende carne e per la mia anima si unisce all’anima umana, per purificare il simile col simile. E prende tutte le debolezze umane, eccetto il peccato [Eb 4,15], concepito da una vergine nell’anima e nel corpo già purificata dallo Spirito… O meraviglia di fusione! Colui che è, vien fatto, l’increato viene creato; colui che non può essere contenuto, è contenuto tra la divinità e lo spessore della carne. Colui che fa tutti ricchi, è povero; abbraccia la povertà della mia carne, perché io acquisti la ricchezza della sua divinità. Lui che è la pienezza, si svuota; si svuota della sua gloria, perché io diventi partecipe della sua pienezza. Che ricchezza di bontà! Quale mistero mi circonda? Ho ricevuto l’imma-gine di Dio, non l’ho custodita; lui si fa partecipe della mia carne, per portare la salvezza all’immagine e l’immortalità alla carne. Stabilisce un nuovo consorzio e di gran lunga più meraviglioso del primo; allora diede a noi ciò ch’era più eccellente; ma ora lui stesso s’è fatto partecipe di ciò che è più deteriore. Questo consorzio è più divino del primo; questo per chi ha cuore è molto più sublime… E tu osi rinfacciare a Dio il suo beneficio? È forse piccolo, perché per te s’è fatto umile, perché quel buon Pastore, che diede la sua anima per le sue pecore [Gv 10,11], cerca la smarrita tra i monti e i colli, sui quali sacrificavi, la trova e se la pone su quelle stesse spalle, sulle quali prese il legno della croce, e la riporta alla vita soprannaturale, e ricondottala nell’ovile, dov’erano quelle che non ne uscirono mai, la tiene nello stesso luogo e numero di quelle? O è piccolo perché accende la lucerna, cioè la sua carne, e spazza la casa, purgando cioè il mondo dal peccato e cerca la dramma, cioè la regale immagine coperta di sporcizia viziosa, e, trovatala, chiama gli angeli suoi amici e li fa partecipi della sua gioia, dal momento che li aveva messi a conoscenza della sua economia?» (Gregorio Nazianzeno).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Dio vuole la salvezza – Paolo Curtaz: Questo vuole il Padre: che nessuno vada perduto, mai. Tanto meno i piccoli, quelli sconfitti dalla vita, o travolti dalla tenebra. Dio vuole la salvezza, la propone, la offre, è venuto sulla terra per indicarla con forza. Perché, allora, molti che si dicono cristiani parlano sempre del Padre come di un severo giudice pronto a coglierci in fallo? Fa festa per coloro che riesce a recuperare, per tutti quelli che riesce a riportare nell’ovile. A volte, purtroppo, abbiamo la sensazione che le percentuali si siano rovesciate: un’unica pecora è rimasta nell’ovile e molti, come soluzione, propongono di alzare lo steccato perché non scappi pure lei! Come figli di questo pastore, come pecore appassionate di tanta attenzione, siamo chiamati ad uscire dalle nostre stantie sacre stanze per camminare e cercare le tante pecore che non sanno davvero chi sia Dio. E avere il coraggio di osare, di ridire il Vangelo con chiarezza, di fuggire la tentazione di porre condizioni a chi è fuggito e di cercare di capirne le ragioni. Fedeli al Vangelo, certo, senza cedere al buonismo così fintamente evangelico ma superficiale e facilone, eppure determinati, come è il pastore, a non perdere nessuno. Facendo festa per ogni uomo che scopre la bellezza del Dio che viene.
Santo del giorno: 11 Dicembre – San Daniele lo Stilita, Sacerdote: “Nasce a Maratha, nelle vicinanze di Samosata in Siria nel 409. Daniele a dodici anni chiede di essere accolto in un vicino monastero e davanti alla resistenza dell’abate gli risponde che con la sua fede sopporterà la dura vita del cenobio. Guadagna subito la fiducia dell’abate, a tal punto che lo accompagna ad Antiochia dove conoscono san Simone che, da poco, ha iniziato a vivere da asceta in cima ad una colonna. Tornato a Maratha, alla morte dell’abate Daniele viene scelto come suo successore, ma rifiuta l’incarico perché vuol tornare a visitare Simone. A causa delle guerre è costretto a fermarsi a Costantinopoli, quindi si ritira in un tempio abbandonato a Filempora. Nel 459 muore Simone e il suo mantello viene dato a Daniele che, ormai cinquantenne, decide di seguire l’esempio del maestro e si stabilisce su una colonna. Muore nel 490 e viene sepolto ai piedi della colonna sulla quale aveva vissuto trentatré anni e tre mesi” (Avvenire).
Preghiamo: O Dio, che hai fatto giungere ai confini della terra il lieto annunzio del Salvatore, fa’ che tutti gli uomini accolgano con sincera esultanza la gloria del suo Natale. Per il nostro Signore Gesù Cristo…