7 Dicembre 2018 – Venerdì, I del Tempo di Avvento – S. Ambrogio (Memoria) – (Is 29,17-24; Sal 26[27]; Mt 9,27-31) – I Lettura: Il Libano era una catena montuosa connotata da asperità di roccia e terra arida. Ecco, stanno maturando i tempi, dice Isaìa, in cui perfino lì prospereranno i frutteti. Tutto quel che poteva sembrare improduttivo sarà trasformato in un luogo fiorente. Anche nel mondo degli uomini la vita opererà prodigi: i ciechi riceveranno la vista, i sordi l’udito. E allora ci sarà gioia per gli umili che si rallegreranno nel Signore. Vangelo: “Il miracolo nel Vangelo riveste un’importanza relativa, funzionale: è un segno che svela la presenza del Regno, un cartello indicatore indirizzato verso un’altra dimensione. Il rischio è invece fermarsi al miracolo: l’importante è che io sia esaudito, poi chi mi esaudisce non importa… Attenti a non essere più ciechi dei ciechi del Vangelo di oggi… Il più grande dei miracoli è, davvero, accorgersi del Dio che viene” (P. Curtaz).
Gesù guarisce due ciechi che credono in lui – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!». Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.
Riflessione: Dio può e vuole farci misericordia – AA. VV.: Questo testo è solo di Matteo. Sono strani questi due ciechi che vedono Gesù. Sembra che ci vedano bene. E riescono a seguire Gesù, anche se sono ciechi, fino alla casa. Matteo non dice che altri li tengono per mano. Il primo miracolo è questo seguire Gesù. La profezia di Isaìa, che i ciechi ci vedono, oggi si è adempiuta. E non chiedono di poterci vedere, ma che Gesù “abbia pietà” di loro. Leggiamo in Sir 51,8: «Allora mi ricordai delle tue misericordie, Signore, e delle tue opere che sono da sempre, perché tu liberi quanti sperano in te, li salvi dalla mano dei nemici». È di Dio fare misericordia agli uomini. Quando allora Gesù risponde loro: Credete voi che io possa fare questo? intende anzitutto dire loro: “Credete che io abbia il potere (come Dio ha) di farvi misericordia?”. Dunque la fede in Gesù è credere che Dio, per Gesù, può avere misericordia di noi. È singolare ritrovare nel racconto di questo incontro dei due ciechi con Gesù parole che abbiamo ascoltato nel primo brano di questo capitolo, quello che racconta dell’incontro di Gesù con Matteo il pubblicano e il pasto in casa, insieme a pubblicani e peccatori. Gesù se ne andava di là (vv. 9 e 27), seguire Gesù (vv. 9 e 27), molti si accostano a Gesù in casa (vv. 10 e 28). Come nell’incontro con Matteo, Gesù mostrava che Dio è venuto a cercare ciò che era lontano da Lui, e a sanare ciò che era malato, così ora mostra come sia vero che Dio «vuole misericordia più del sacrificio» (Mt 9,13), cioè che in primo luogo Lui stesso vuole “fare misericordia” all’uomo, più che voler ricevere sacrifici. La fede che Gesù cerca nei due ciechi (e in noi) è proprio credere questo: che Dio può e vuole farci misericordia. Poi, nonostante la imposizione di Gesù al silenzio, i due diffondono la notizia in tutta la regione. Non possono tacere l’opera di misericordia che hanno ricevuto da Dio. È impossibile tacere là dove si è ricevuto un soccorso, un aiuto da parte di Gesù, perché anche altri ne possano godere. La loro voce si è diffusa in tutta la terra (cfr. Sal 8); e può anche essere che i due, come Geremìa, si siano sforzati di tacere, ma non è stato possibile trattenere l’annuncio dell’opera del Signore, che era come un fuoco ardente nel loro cuore.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: E si aprirono loro gli occhi – Giovanni Paolo II (U-dienza Generale, 16 Dicembre 1987): I “miracoli e segni” che Gesù faceva per confermare la sua missione messianica e la venuta del regno di Dio, sono ordinati e legati strettamente alla chiamata alla fede. Questa chiamata in relazione al miracolo ha due forme: la fede precede il miracolo, anzi è condizione perché esso si realizzi; la fede costituisce un effetto del miracolo, perché provocata da esso nell’anima di coloro che lo hanno ricevuto, oppure ne sono stati i testimoni. È noto che la fede è una risposta dell’uomo alla parola della rivelazione divina. Il miracolo avviene in legame organico con questa parola di Dio rivelante. È un “segno” della sua presenza e del suo operare, un segno, si può dire, particolarmente intenso. Tutto ciò spiega in modo sufficiente il particolare legame che esiste tra i “miracoli-segni” di Cristo e la fede: legame delineato così chiaramente nei Vangeli.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: La cecità spirituale – “Se tu dicessi: «Mostrami il tuo Dio»; io ti direi: «Mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il mio Dio». Mostra quindi se gli occhi della tua mente vedono e se le orecchie del tuo cuore odono. Infatti, come gli occhi corporei percepiscono gli oggetti che si muovono su questa terra, notando le differenze fra una cosa e l’altra, la luce e le tenebre, il bianco e il nero, il brutto e il bello, il simmetrico e l’asimmetrico, il proporzionato e il deforme [e analogamente si deve dire a proposito di quanto è udito dalle orecchie: suoni acuti o gravi o armoniosi], non diversamente le orecchie del cuore e gli occhi della mente possono vedere Dio. Infatti, Dio può essere visto soltanto da coloro che sono in grado di vederlo, da coloro, cioè, che hanno gli occhi dello spirito ben aperti. Infatti, sebbene tutti abbiano gli occhi, quelli di talune persone sono talora avvolti dall’oscurità e perciò incapaci di contemplare la luce del sole. Se i ciechi non sono in grado di vedere nulla, non per questo la luce del sole non risplende: la causa è da ravvisarsi unicamente nella loro cecità. Allo stesso modo, anche gli occhi del tuo spirito sono accecati dai tuoi peccati e dalle cattive azioni che commetti» (Teofilo di Antiochia).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Togli prima la trave dal tuo occhio – «Gesù non vuole una comunità di ciechi spirituali, di persone che non conoscono Dio e non sanno nulla della sua verità e della sua Parola. La cecità spirituale è frutto della superbia e della concupiscienza che governano il cuore e producono il frutto maligno dell’ipocrisia, frutto velenoso che uccide chiunque ne dovesse assaggiare. La religione che si viveva al suo tempo mostra il triste spettacolo della cecità spirituale e dell’ipocrisia che aveva corrotto tutta la Parola del Signore: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. Guai a voi, guide cieche, che dite: ‘Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato’. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? … Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra…” [cfr. Mt 23,13-28]. Questa religione Gesù proprio non la vuole. È una religione senza vera fede, perché senza vera Parola del Padre suo. I danni di essa sono oltremodo incalcolabili. Con essa la moralità è bassissima. Gesù invece vuole i suoi discepoli umili, piccoli, saggi, prudenti, accorti, intelligenti. Li vuole garbati in ogni cosa. Vuole che essi pongano ogni attenzione alla propria elevazione spirituale, morale, dottrinale, conoscitiva. Vuole che essi crescano di virtù in virtù e di grazia in grazia, fino al raggiungimento della perfezione morale, spirituale, culturale. Una volta che loro vivono in grazia di Dio e progrediscono nella sapienza, intelligenza della fede e della morale, da forti e da viventi nel Signore e per il Signore possono aiutare i fratelli. È questa la vera umiltà: sapere che ognuno di noi è in cammino. Da viandante non può fare subito da maestro agli altri. Deve pensare che anche lui ha bisogno di un grandissimo tempo di apprendimento, crescita, maturazione, elevazione e per questo deve rivestirsi di infinita pazienza verso i suoi fratelli di fede. Dall’umiltà poi deve passare alla grande carità. Ogni correzione deve essere il frutto di una immensa ed infinita carità che governa anima e spirito, mente e cuore. Si vuole che l’altro si elevi fino alla perfezione di Cristo Gesù e per questo lo si aiuta in quest’opera di conformazione al suo Maestro e Signore sempre con infinita prudenza, Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, dateci la vista del vero bene» (Movimento Apostolico – rito romano).
Santo del giorno: 7 Dicembre – Sant’Ambrogio, Vescovo e dottore della Chiesa: Ambrogio, di famiglia romana cristiana, governatore delle provincie del nord Italia, fu acclamato vescovo di Milano il 7 dicembre 374. Rappresenta la figura ideale del vescovo, pastore, liturgo, e mistagogo. Aveva scelto la carriera di magistrato – seguendo le orme del papà, prefetto romano della Gallia – e a trent’anni si trovava già ad essere Console di Milano, città che era allora capitale dell’Impero. Così, quel 7 dicembre dell’anno 374, in cui cattolici e ariani si contendevano il diritto di nominare il nuovo Vescovo, toccava a lui garantire in città l’ordine pubblico, e impedire che scoppiassero tumulti. L’imprevedibile accadde quando egli parlò alla folla con tanto buon senso e autorevolezza che si levò un grido: «Ambrogio Vescovo!». E pensare che era soltanto un catecumeno in attesa del Battesimo! Cedette, quando comprese che quella era anche la volontà di Dio che lo voleva al suo servizio. Cominciò distribuendo i suoi beni ai poveri e dedicandosi a uno studio sistematico della Sacra Scrittura. Imparò a predicare, divenendo uno dei più celebri oratori del suo tempo, capace di incantare perfino un intellettuale raffinato come Agostino di Tagaste, che si convertì grazie a lui. Da Ambrogio la Chiesa di Milano ricevette un’impronta che si conserva ancor oggi, anche nel campo liturgico e musicale. Mantenne stretti e buoni rapporti con l’imperatore, ma era capace di resistergli quand’era necessario, ricordando a tutti che «l’imperatore è dentro la Chiesa, non sopra la Chiesa». Le sue opere liturgiche, i commentari sulle Scritture, i trattai ascetico-morali restano memorabili documenti del magistero e dell’arte del governo. Autore di celebri testi liturgici, è considerato il padre della liturgia ambrosiana.
Preghiamo: O Dio, che nel vescovo sant’Ambrogio ci hai dato un insigne maestro della fede cattolica e un esempio di apostolica fortezza, suscita nella Chiesa uomini secondo il tuo cuore, che la guidino con coraggio e sapienza. Per il nostro Signore Gesù Cristo…