Dal libro del profeta Baruc (5,1-9) – Dio mostrerà il suo splendore ad ogni creatura: Il profeta, a nome di Dio, annuncia agli Israeliti, deportati in esilio a Babilonia, il loro ritorno a Gerusalemme, ma a condizione che si convertano con tutto il cuore al loro Signore. Alla città santa, tratteggiata come una donna vestita con abiti di lutto perché privata dei suoi figli, viene rivolto l’invito a rivestirsi dello «splendore della gloria» che le viene da Dio perché i suoi figli, in un nuovo stupefacente esodo, torneranno presto tra le sue braccia.
Dal Salmo 125 (126) – Grandi cose ha fatto il Signore per noi: Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia: «Per la messe materiale come per quella spirituale sono necessarie fatiche e sudori; è per questo che Dio rende stretta e angusta la via che conduce alla virtù [cfr. Mt 7,14]. E come l’acqua è necessaria per far crescere la messe, così le lacrime servono alla virtù; come l’aratro è necessario per la terra, così giovano all’anima fedele le tentazioni e le afflizioni che la lacerano. Il profeta quindi vuol dire che dobbiamo ringraziare Dio non solo per il ritorno ma anche per la prigionia. E come il seminatore non si rattrista ma pensa alla messe futura, quando siamo nell’afflizione non tormentiamoci ma pensiamo che ciò ci procurerà un gran bene» (San Giovanni Crisostomo).
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (1,4-6.8-11) – Siate integri e irreprensibili per il giorno di Cristo: L’esordio che apre la lettera ai Filippési riporta quasi per intero la preghiera di ringraziamento e intercessione a Dio dell’Apostolo a favore della comunità cristiana. San Paolo rende grazie al Signore per il bene che i cristiani di Filippi hanno già compiuto e li supplica perché perseverino in esso fino al «giorno di Cristo».
Dal Vangelo secondo Luca (3,1-6) – Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!: Luca inquadra l’inizio della missione del Battista in un quadro storico dai contorni ben precisi e quindi facilmente riscontrabili. La salvezza di Dio, annunciata dai profeti e attesa da Israele, sta per divenire realtà nota e offerta a tutti gli uomini nella carne di Gesù, vero Dio e vero Uomo (cfr. Gv 1,14; Rm, 9,5). Perciò occorre convertirsi togliendo dalla propria vita tutto quello che ostacola l’incontro con il Signore che viene a salvare.
Dal Vangelo secondo Luca
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
Approfondimento
Nell’anno decimoquinto – Nel descrivere l’inizio della vita pubblica del Battista, l’evangelista Luca ama stabilire un sincronismo tra la storia profana e la storia della salvezza.
È l’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Claudio Nerone. Nato a Roma il 16 novembre del 42 a.C. e morto a Capo Miseno il 16 marzo del 37 d.C., è il secondo imperatore appartenente alla dinastia Giulio-Claudia.
Figlio di Tiberio Claudio Nerone e Livia Drusilla, Tiberio apparteneva per nascita alla famiglia Claudia e fu adottato come erede di Augusto che apparteneva, a sua volta per adozione da parte di Giulio Cesare, alla famiglia Giulia.
Quella di Luca è un’indicazione preziosa. Se Tiberio succede ad Augusto il 19 agosto dell’anno 14 d.C., l’anno decimoquinto va posto dal 19 agosto del 28 al 19 agosto del 29, quindi Gesù ha almeno trentatré anni, forse anche trentacinque o trentasei. Questa indicazione non contraddice Lc 3,23: «Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent’anni». Non è in opposizione col testo lucano, perché l’indi-cazione «è approssimativa e sottolinea forse soltanto che Gesù aveva l’età richiesta per esercitare una missione pubblica. L’“era cristiana” [fissata da Dionigi il Piccolo nel VI secolo] deriva dal fatto che la cifra di trent’anni è stata presa in senso stretto: i 29 anni compiuti di Gesù, sottratti all’anno 782 di Roma [XV anno di Tiberio], hanno dato il 753 come inizio della nostra era» (Bibbia di Gerusalemme).
Ponzio Pilato, quinto procuratore di Giudea, di Idumea e di Samaria, fu nominato da Tiberio nel 26 d.C. e rimase in carica fino al 36. Filone di Alessandria, filosofo ebreo di lingua greca, accusa Pilato di gravi delitti. Gli rimprovera «venalità, insulti, rapina, violenze, assassinio di innocenti, e continui atti di crudeltà assai provocanti» (Amba-sceria a Gaio Caligola). Il Vangelo di Luca (13,1) parla dei «Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici». A causa della durezza con la quale represse la rivolta dei samaritani a Garizin fu deposto dall’imperatore Caligola e fu probabilmente condannato al suicidio. La sua morte divenne oggetto di molte leggende cristiane. La chiesa etiope, credendolo convertito dopo il processo intentato al Cristo, lo venera come santo.
Erode Antipa, figlio di Erode il Grande e di Maltace, è tetrarca della Galilea e della Perea dal 4 a.C. al 39 d.C. Il suo regno tuttavia, come già quello di suo padre, era solo formalmente indipendente, mentre di fatto dipendeva da Roma. La sua relazione con Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, destò scandalo perché la legge mosaica lo proibiva. Per questo motivo subì i più duri rimproveri da parte del Battista, il quale arrestato venne fatto decapitare per istigazione di Erodiade. Gesù durante la sua vita pubblica lo chiamò «volpe» (Lc 13,32). Ponzio Pilato inviandogli Gesù perché lo interrogasse, gli fece un complimento diplomatico, ricucendo in questo modo un rapporto da tempo logoro (Lc 23,6-12). Nell’anno 39 Erodiade indusse Antipa a recarsi a Roma per chiedere il titolo di re all’imperatore Caligola. Ma accusato di tramare una ribellione fu esiliato in Francia.
Filippo, figlio di Erode il Grande e di Cleopatra di Gerusalemme, fu tetrarca dal 4 a.C. al 34 d.C. È lodato da Giuseppe Flavio che lo ritrae mite e buono verso gli infelici. Completò la costruzione di Betsaida, che chiamò Julia.
Lisània è conosciuto da due iscrizioni. Non appartenente alla dinastia erodiana forse fu fatto tetrarca per motuproprio dell’imperatore di Roma.
Sembra che Abilène corrispondesse coll’antico regno di Calcis o Coelo Syria, e come quello, abbracciasse tutta la porzione meridionale dell’Antilibano, inclusiva dell’Hermon.
Anna fu nominato sommo sacerdote da Quirino e tenne la carica fino al 15 d.C. Cinque dei suoi figli divennero sommi sacerdoti, mentre Caifa, che lo fu dal 18 al 36, era suo genero. Il processo farsa in cui venne condannato Gesù e poi le richieste al procuratore Ponzio Pilato fanno bene capire di che personaggi si trattassero queste povere creature di Roma. Caifa fu deposto da Vitellio, ambasciatore della Siria. Sulla loro sorte restano solo racconti leggendari. Certamente le loro vite si saranno trovate coinvolte con i tumulti che precedettero e accompagnarono la distruzione di Gerusalemme.
Queste note storiche sembrano voler soddisfare unicamente la curiosità dell’«illustre Teofilo», il destinatario dell’opera lucana (Lc 1,3; At 1,1), e, invece, alla base di questo «c’è la fede nell’incarnazione del Verbo di Dio: Cristo è entrato nel tempo e nel mondo, non in un tempo e in un mondo mitico, ma in un tempo e in un mondo ben concreti, in una situazione politica e in un ambiente culturale che si possono descrivere perfettamente. Anche la Chiesa ha il compito di “incar-narsi” nel mondo per poterlo salvare. Il che esclude sia il rifiuto del mondo, sia l’alleanza con esso» (P. Benito Camporeale s.j.).
Commento al Vangelo
Preparate la via del Signore – Giovanni Battista muove i suoi primi passi in una situazione politica e culturale ben concreta e il suo messaggio profetico dovrà confrontarsi con essa.
C’è un filo rosso che lega tutti i personaggi che troviamo nello sfondo della vicenda umana del Battista: la violenza, la depravazione, il sangue, la disonestà, l’avidità, la menzogna.
Tiberio si abbandona «ad ogni genere di crudeltà» ed è così depravato ed empio che, al dire di Svetonio, sarebbe «lungo enumerare singolarmente le sue azioni infami». Alla sua morte il popolo si rallegrò tanto che «la folla al primo annuncio si mise a correre da tutte le parti e alcuni andavano gridando: “Tiberio al Tevere!”» (Vite dei Cesari).
Pilato è un uomo violento e venale, un romano che ama massacrare i giudei, forse per passare il tempo in quella lontana e noiosa provincia romana.
Erode tetrarca della Galilea, adultero e sensuale, per una donna perde la testa, tradisce il fratello, si mette sotto i piedi la legge di Dio e al culmine della sua depravata debolezza decapita Giovanni il Battista che gli rimproverava il suo peccato.
Anna e Caifa, suocero e genero, sono compromessi con il potere per non perdere il potere. Sanno di essere creature di Roma, ma hanno l’ardire di mettere in un angolo Ponzio Pilato e costringerlo ad emettere una sentenza iniqua contro un uomo giusto. Sanno di mentire e hanno l’arroganza di sentirsi giusti dinanzi agli uomini (Lc 16,15).
Questi gli uomini che governavano il mondo, o almeno credevano di governare il mondo, e che dovranno fare i conti con la Parola di Dio che era scesa «su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto».
Il deserto è il luogo della prova, della tentazione, della purificazione. Il luogo dove trovano dimora i demòni. Ma è anche il luogo dove Dio parla al cuore dell’uomo (Os 2,16). È la ‘cattedrale di Dio’ dove Egli celebra le nozze con l’umanità smarrita, dispersa: «La attirerò a me, la condurrò nel deserto… Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore» (Os 2,16.21).
È il luogo dove l’uomo tocca con mano la fedeltà e l’amore di Dio, ne assapora l’amicizia e la salvezza: «Tu sei un Dio pronto a perdonare, pietoso e misericordioso, lento all’ira e di grande benevolenza e non li hai abbandonati… Per quarant’anni li hai nutriti nel deserto e non è mancato loro nulla; le loro vesti non si sono logorate e i loro piedi non si sono gonfiati» (Ne 9,17.21). In questo luogo arido, memoria della debolezza dell’uomo e della potenza misericordiosa di Dio, Luca presenta la vocazione profetica di Giovanni Battista come un’irruzione della Parola di Dio su di lui, che lo chiama e lo abilita a compiere la missione che gli viene affidata.
Mandato a preparare «la via del Signore», il figlio del sacerdote Zaccarìa, grida al suo popolo l’urgente necessità di cambiare rotta per ritornare a Dio; annuncia «un battesimo di conversione»; predica la penitenza in vista della remissione dei peccati che sarebbe avvenuta quando Gesù, Agnello di Dio (Gv 1,29.36), avrebbe battezzato gli uomini «in Spirito Santo e fuoco» (Lc 3,16).
Luca, riferendosi al profeta Isaìa, traccia il come l’uomo deve operare questo ritorno alla casa del Padre: una vita spenta, arida, vuota di valori, senza Dio deve essere colmata, riempita di zelo, di amore per il suo Signore e per i suoi simili; l’alterigia, l’orgoglio, la superbia devono essere abbassati, azzerati; i suoi passi devono abbandonare i tortuosi sentieri del peccato; i contorti sentimenti, gravidi di malvagità e di empietà, devono essere spianati.
Il Figlio di Zaccarìa si pone «tra l’annuncio della salvezza e la sua realizzazione, tra il sogno e la realtà del Cristo Salvatore. È lui che ci invita nel deserto, nel silenzio, nel raccoglimento perché anche su di noi scenda la Parola di Dio» (Don Gerlando Lentini).
Riflessione
Voce di uno che grida – Nel cristianesimo, penitenza indica un processo di conversione a Dio staccandosi «dal peccato, guardando addolorati e contriti al proprio passato; è l’inizio di un movimento che trova il suo compimento nell’affidarsi a Dio e nel rinnovamento del cuore» (F. Hauss).
Per la sacra Scrittura, la penitenza nasce in vista del giudizio di Dio (cfr. Mt 12,1; At 17,30; Ap 3,19; ecc.) e alla comprensione della bontà e dell’amore di Dio: «È scoprendo la grandezza dell’amore di Dio che il nostro cuore viene scosso dall’orrore e dal peso del peccato e comincia a temere di offendere Dio con il peccato e di essere separato da lui» (CCC 1432; cfr. Mt 9,13; Rm 2,4; ecc.). Ma soprattutto essa nasce in virtù della potente testimonianza del Cristo, Crocifisso e Risorto, che ad un tempo giudica e dà grazia: «Il cuore umano si converte guardando a colui che è stato trafitto dai nostri peccati [cfr. Gv 19,37]. Teniamo fisso lo sguardo sul sangue di Cristo, e consideriamo quanto sia prezioso per Dio suo Padre; infatti, sparso per la nostra salvezza, offrì al mondo intero la grazia della conversione» (CCC 1432; cfr. At 2,36-38; 3,19).
Il pentimento è opera di Dio che offre all’uomo possibilità di conversione e di penitenza (cfr. Sap 2,10): «Il cuore dell’uomo è pesante e indurito. Bisogna che Dio dia all’uomo un cuore nuovo [cfr. Ez 36,26-27]. La conversione è anzitutto un’opera della grazia di Dio che fa ritornare a lui i nostri cuori: “Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo” (Lam 5,21). Dio ci dona la forza di ricominciare» (CCC 1432).
Ma la conversione è anche opera degli uomini, i quali, accogliendo il Vangelo della salvezza, raddrizzano i loro sentieri e fanno dritti i loro passi.
Se penitenza significa innanzi tutto distacco dal male, il distacco va significato con la risoluta decisione di immergersi nelle acque salutari della purificazione confessando i peccati (cfr. Lc 15,21; 18,13; 23,41) e con l’affliggersi sinceramente della propria miseria spirituale: «Ge-mete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza» (Gc 4,9; cfr. Lc 7,38; 22,62).
Solo dalla penitenza derivano frutti di salvezza, di onestà e di rettitudine morale. Un frutto che non si manifesta nello straordinario, ma nel quotidiano, nella vita di ogni giorno con tutti i suoi chiaroscuri.
Per il Catechismo della Chiesa Cattolica, la penitenza serve a «farci acquisire il dominio sui nostri istinti e la libertà del cuore» (2043). Ecco perché concretamente la penitenza è fatta anche di gesti e opere esteriori, come il «sacco e la cenere», i digiuni e le mortificazioni. Ma sarebbe infruttuosa se non si puntasse alla conversione del cuore, alla «penitenza interiore. Senza di essa, le opere di penitenza rimangono sterili e menzognere; la conversione interiore spinge invece all’espressione di questo atteggiamento in segni visibili, gesti e opere di penitenza» (ibidem 1430).
Giovanni grida, noi facciamo silenzio. O muoviamo appena le labbra, perché non bisogna traumatizzare, non bisogna spaventare. Un’Ave Maria va bene anche per l’usuraio, per il corruttore, per chi bestemmia… Bastano due giorni l’anno per il digiuno e l’astinenza, perché il Signore ci vuole, gioiosi, canterini, felici. Vale molto per il cristiano il detto: «La pace si ottiene con la guerra».
Non perché sia un guerrafondàio, ma perché se vuole la salvezza bisogna che egli combatta contro «la carne, il mondo e il demonio» e solo il vincitore sarà posto «come colonna» nel tempio di Dio «e non ne uscirà mai più» (Ap 3,12).
La pagina dei Padri
Giovanni grida nel deserto dell’anima inquieta – Origene: Quando si doveva annunziare il mistero del Vangelo e diffondere su tutta la terra la buona novella di cui Giovanni nel deserto fu il primo messaggero, allorché l’impero di Tiberio governava il mondo, allora troviamo scritto: Nel quindicesimo anno del suo regno la parola del Signore fu rivolta a Giovanni. Se la salvezza avesse dovuto essere annunciata soltanto ai pagani che avrebbero creduto e se Israele avesse dovuto esserne totalmente escluso, sarebbe stato sufficiente dire: Nel quindicesimo anno di Tiberio Cesare quando Ponzio Pilato era governatore della Giudea. Ma siccome molti credenti sarebbero dovuti venire anche dalla Giudea e dalla Galilea, anche questi regni sono menzionati.
… La parola di Dio fu rivolta a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Osserva nello stesso tempo che il significato è più forte se si intende “deserto” nel senso spirituale, e non in quello letterale puro e semplice. Infatti colui che predica nel deserto, spreca la sua voce invano, in quanto non c’è nessuno che lo sente parlare. Il precursore di Cristo, la voce di colui che grida nel deserto, predica dunque nel deserto dell’anima che non ha pace. E non solo allora, ma anche oggi è una lampada ardente e brillante (Gv 5,35), che viene prima e annunzia il battesimo della penitenza per la remissione dei peccati. Poi viene la luce vera (Gv 1,9) quando la lampada stessa dice: è necessario che egli cresca e io diminuisca (Gv 3,30). La parola di Dio è proferita dunque nel deserto, e si diffonde in tutta la regione circostante il Giordano. Quali altri luoghi avrebbe dovuto infatti percorrere il Battista, se non i dintorni del Giordano, per spingere al lavacro dell’ac-qua tutti coloro che volevano fare penitenza?