liturgia

2 Dicembre 2018

2 Dicembre 2018 – I del Tempo di Avvento (C)

Dal libro del profeta Geremìa (33,14-16) – Farò germogliare per Davide un germoglio giusto: Il brano-oracolo del profeta Geremìa, una rilettura di Ger 23,5-6 che ripete quasi alla lettera, riprende il tema dell’attesa messianica regale orientandolo verso nuove prospettive. In una luce neotestamentaria «la profezia di Geremìa, le sue parole non sono più un semplice annuncio al futuro [“verranno giorni… realizzerò… farò germogliare…”], ma la documentazione di un futuro che è divenuto il presente della storia della salvezza. La Parola di Dio documenta che le promesse divine trovano un compimento e tale compimento è Cristo» (Mauro Orsatti).

Dal Salmo 24 (25) – A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido: «Badate che nessuno dica: “Io non ho peccato”. Chi dice così, è cieco o miope; egli illude se stesso e non vede come Satana lo inganna nei discorsi e nelle opere, con l’udito, il tatto e il pensiero. Chi può gloriarsi di avere il cuore immacolato e tutti i sensi puri? Nessuno è privo di peccato, nessuno è privo di immondizia, nessuno tra gli uomini non ha errato, ad esclusione di quegli solo che per nostro amore si è fatto povero, essendo ricco. Senza peccato è quegli solo che toglie i peccati del mondo, quegli che vuole la beatitudine di tutti gli uomini e non vuole la morte del peccatore: l’amico degli uomini, il mitissimo, il misericordioso, il buono, l’amante delle anime, l’onnipotente, il salvatore di tutti gli uomini, il padre dei sapienti e il giudice delle vedove, il Dio dei penitenti, il medico delle anime e dei corpi, la speranza di chi è privo di speranza, il porto di chi è sbattuto dalla tempesta, l’aiuto di chi non ha aiuto, la strada della vita, che chiama tutti alla penitenza e non rigetta nessuno che si converta» (Efrem).

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési (3,12-4,2)Il Signore renda saldi i vostri cuori al momento della venuta di Cristo: Tra non pochi cristiani della comunità di Tessalonica, l’attesa dell’ultima venuta del Cristo è spasmodica. San Paolo scrive loro per aiutarli a predisporsi in modo corretto alla parusia del Signore Gesù. Tra le tante predisposizioni indica l’amore vicendevole, la tensione ascetica verso la santità, una condotta irreprensibile per piacere al Signore e una corretta interpretazione della predicazione apostolica.

Dal Vangelo secondo Luca (21,25-28.34-36)La vostra liberazione è vicina: Il capitolo 21mo di Luca è una grande finestra aperta sul futuro imminente di Gerusalemme e su quello un po’ più tardivo dell’umanità. All’obolo della vedova segue il discorso sulla distruzione di Gerusalemme. Vengono indicati i segni premonitori, il modo come verrà distrutta la città santa (l’assedio, la morte violenta dei suoi abitanti e la deportazione dei superstiti) e i tempi dei pagani. A questa descrizione si assommano i detti sulle catastrofi cosmiche e sulla manifestazione gloriosa del Cristo. Alla fine, Gesù invita i suoi a saper leggere i segni dei tempi (la parabola del fico) e a vegliare per non essere sorpresi. Il capitolo si conclude con un breve compendio sugli ultimi giorni del Cristo. Nel brano evangelico sono messe in grande evidenza le reazioni psicologiche umane, di terrore e sgomento. Invece, per i credenti la venuta gloriosa di Gesù procurerà sollievo e pace.

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Approfondimento

Un tempo di religiosa e lieta attesa – Avvento è una trascrizione del latino adventus, che indica il termine dell’azione di arrivare, l’essere giunto. Le settimane che precedono il Natale si snodano all’insegna delle venute del Signore: già venuto nel mistero della carne, verrà nella gloria per esercitare «il giudizio e la giustizia sulla terra» (Ger 33,15).

Si dice venute del Signore perché sono diverse: «Il tempo di Avvento ha una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi» (M. R., L’anno Liturgico, n. 39).

A partire dal 17 dicembre, inizia un’attesa di otto giorni, più intensa: una preparazione attiva, mediante la gioia e il desiderio, all’avvicinarsi di Cristo Gesù e alla sua venuta nella vita di ciascuno.

Una preparazione fatta anche di interiore conversione e di penitenza; quest’ultimo aspetto è contrassegnato dal colore liturgico, il viola, ma domina sempre l’attesa piena di gioia e di esultanza: «Lo stesso Signore, che ci invita a preparare il suo Natale ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode» (Prefazio dell’Avvento II).

Le tre letture di questa prima Domenica di Avvento, anche se con sfumature diverse, sottolineano l’esigenza categorica della vigilanza perché il seme della Parola e della grazia porti abbondanti frutti di santità e di salvezza. Il profeta Geremìa, seppur meno esplicitamente, suggerisce un atteggiamento di umiltà, di fame e sete di quella giustizia che l’uomo non può darsi da solo: «Ecco, verranno giorni – oràcolo del Signore -… [nei quali] farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra» (Ger 33,15). L’apostolo Paolo sottolinea la tensione verso la santità (v. 13) e in modo particolare l’amore vicendevole (v. 12): «Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione» (Col 3,14). Il Vangelo insiste su una vigilanza fatta di preghiera, di penitenza e di distacco da ogni cosa che possa appesantire o ostacolare il passo verso l’ultima meta: «Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie» (Rm14,13).

Ma anche le più aspre penitenze servirebbero a poco se non si rinunciasse nel contempo «ad una volontà perversa; [sarebbe inutile] infliggersi una privazione  di cibo e non svincolarsi da un peccato già concepito nell’anima […]. Che serve all’anima comportarsi esteriormente da padrona ed essere schiava e prigioniera interiormente; comandare alle proprie membra e abbandonarsi dritta dritta alla propria libertà?» (San Leone Magno).

Vi è poi una difficoltà da superare ed è il linguaggio usato dall’autore sacro nel descrivere la venuta di Gesù: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte» (Lc 21,25-26).

L’evangelista Luca per descrivere la venuta gloriosa di Gesù «su una nube», usa un genere letterario che viene detto apocalittico.

Se per genere letterario si intendono forme e modi di dire e di scrivere, usati in una determinata epoca e in relazione a dei contenuti che si vogliono esprimere, le descrizioni presenti nel brano evangelico non si possono prendere alla lettera. Questo vale soprattutto per il libro dell’Apocalisse.

Ora, come suggerisce la Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione, per bene capire la sacra Scrittura si deve tener conto dei generi letterari, in quanto, la «verità viene in modi diversi proposta ed espressa nei vari testi: storici o profetici, o poetici, o con altri generi letterari […]. Infatti per comprendere esattamente ciò che l’autore sacro ha voluto asserire nello scrivere, si deve fare molta attenzione sia ai modi abituali e originari di intendere, di esprimersi e di raccontare in voga ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che allora si usavano abitualmente nei rapporti umani» (DV 12).

Commento al Vangelo

 La vostra liberazione è vicina – Come vi saranno segni premonitori che annunceranno la devastazione di Gerusalemme, così vi saranno «segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra» che annunceranno la manifestazione gloriosa del Signore Gesù.

Le catastrofi cosmiche che precederanno la parusia del Figlio dell’u-omo spanderanno angoscia, terrore e morte e sarà un travaglio dolorosissimo nel quale saranno immersi tutti i popoli.

L’evento apocalittico, terrificante per gli uomini malvagi, per i credenti è un invito alla gioia e alla speranza: il discepolo deve attendere con grande letizia la gloriosa manifestazione del Cristo perché sarà soprattutto un evento liberatorio.

La venuta del Figlio dell’uomo, in verità, sarà come uno spartiacque per gli uomini: gli empi «moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere», mentre i discepoli saranno ripieni di gioia perché imminente è la loro liberazione. La libertà che Cristo, in quel giorno, donerà ai suoi amici (Gv 15,15) sarà quella che li affrancherà definitivamente dal peccato e dalla morte; una libertà che intacca la stessa identità dell’uomo poiché lo fa «creatura nuova» (2Cor 5,17).

Questa libertà donata già ora nella carne sarà totale quando verrà il Cristo: «Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve» (Ap 3,17).

Tutta la vita cristiana è un’attesa pacifica della venuta gloriosa di Gesù ed è questa la base sulla quale la vita cristiana va costruita.

Il giorno si abbatterà in un modo del tutto improvviso e inatteso «sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra». Piomberà come un laccio, un’immagine già usata dal profeta Isaìa (24,17-18) per descrivere il giudizio finale. Per questo si impone a tutti gli uomini, ma in modo particolare ai credenti, una continua vigilanza.

«State bene attenti» è quel sapiente bagaglio ascetico che permetterà, «nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,13), di non farsi travolgere dai vizi, dalla crapula, dalle ubriachezze e dalle preoccupazioni della vita.

Questa vigilanza «implica un esame critico del tempo nel quale si opera, discernimento critico delle proposte di salvezza che vengono da altre sponde» (Carlo Ghidelli, Luca).

Alla vigilanza si aggiunge la preghiera come generatrice di forza per «poter sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». In questo modo corazzati, la venuta del Cristo sarà per i credenti un giorno di gioia e non di terrore: «infatti la vigilanza continua avrà avuto come risultato, mercé l’aiuto di Dio, che le nostre anime siano preparate, cioè in grazia, per ricevere il Signore. Così l’incontro con Cristo non sarà sancito da un giudizio di condanna, ma da un abbraccio definitivo, col quale Gesù ci introdurrà nella casa del Padre» (La Bibbia di Navarra).

Se il brano lucano è in una prospettiva escatologica, cioè un evento rimandato alla fine della storia umana, non è fuori luogo ricordare che questo appuntamento con il Cristo per il credente si realizza già nel giorno della sua morte. E nell’attesa della fine terrena non è vano spronarsi ad una lettura sapienziale dei segni dei tempi, a una assidua purificazione per apparire dinanzi al Giudice divino, ad una continua e fruttuosa vigilanza, ad un’operosa preghiera resa preziosa dall’«amore vicendevole».

Riflessione

 La venuta di Gesù nell’oggi dell’uomo – Se il Natale è memoria della venuta del Cristo nell’umiltà della carne, se la Chiesa, trepidante, attende la venuta del suo Redentore, l’uomo, ogni giorno, fa esperienza della venuta del suo Signore nella sua anima. Questa venuta di Gesù nell’oggi dell’uomo possiamo chiamarla mistica. A questa si riferì il Salvatore quando disse queste parole: «Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).

Come qualsiasi attività di Dio è comune a tutte e tre le persone divine, così la venuta mistica del Figlio non è mai disgiunta da quella del Padre e dello Spirito Santo. Questa riflessione trinitaria serve a valutare meglio la visita interiore del Cristo, che rende l’anima “tempio del Dio vivente” (2Cor 6,16). Alcune preghiere liturgiche dell’Avvento, alludono a questa venuta mistica, per esempio, la colletta del 3° lunedì: «Ascolta, o Padre, la nostra preghiera, e con la luce del tuo Figlio che viene a visitarci, rischiara le tenebre del nostro cuore».

Oppure l’antifona di comunione del 23 dicembre che mette sulle labbra di Cristo le parole di Apocalisse 3,20: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me».

«Per noi ogni venuta di Cristo, se non è anche interiore, non è salvatrice. Ogni dono di salvezza è una venuta mistica di Cristo in noi. E come tutta la redenzione, così anche l’azione sacramentale, vale a dire la liturgia che la attua, è un continuo verificarsi della venuta del Signore» (Vincenzo Raffa).

Però, come ci avverte e ci ammonisce san Paolo, Cristo non può entrare nella nostra vita se non cresciamo e abbondiamo «nell’amore vicendevole e verso tutti» (1Ts 3,12) e se non rendiamo saldi e irreprensibili i nostri «cuori nella santità, davanti a Dio» (1Ts 3,13).

L’amore e la santità, frutto della carità fraterna, poi devono trovare la loro verifica nell’ascolto sapienziale della Parola di Dio.

Tre venute, dunque: la prima nella carne, la seconda nell’anima, la terza nell’ora del giudizio: «Nella prima venuta Cristo è stato giudicato dagli uomini con ingiustizia; nella seconda ci rende giustizia attraverso la sua grazia; nell’ultima giudicherà ogni cosa con equità. Agnello nella prima venuta, Leone nell’ultima, Amico pieno di tenerezza nella seconda» (Pierre De Blois).

Vivere in attesa vigilante della venuta gloriosa del Figlio di Dio significherà allora divenire sempre più consapevoli della propria dignità di persona umana (DH 1; cfr. Lc 21,34); significherà operare a che «tutti gli uomini del nostro tempo, sia quelli che credono in Dio, sia quelli che esplicitamente non lo riconoscono» scoprano «più chiaramente le esigenze della loro vocazione totale, rendano il mondo più conforme all’eminente dignità dell’uomo» (GS 91).

La pagina dei Padri

La fine del mondo – San Gregorio Magno: Fratelli carissimi, perché le vostre menti stiano vigilanti nell’attesa, non s’intorpidiscano nella sicurezza, non s’addormentino nell’ignoranza e vi stimoli alle opere buone il pensiero del Redentore che dice: “Gli abitanti della terra moriranno per la paura e per il presentimento delle cose che devono avvenire. Infatti le forze del cielo saranno sconvolte” (Lc 21,26). Che cosa il Signore intende per forze dei cieli, se non gli angeli, arcangeli, troni, dominazioni, principati e potestà, che appariranno visibilmente all’arrivo del giudice severo, perché severamente esigano da noi ciò che oggi l’invisibile Creatore tollera pazientemente? Ivi stesso si aggiunge: “E allora vedranno venire il Figlio dell’uomo sulle nubi con gran potenza e maestà”. Come se volesse dire: Vedranno in maestà e potenza colui che non vollero sentire nell’umiltà, perché ne sentano tanto più severamente la forza, quanto meno oggi piegano l’orgoglio del loro cuore innanzi a lui.

Ma poiché queste cose sono state dette contro i malvagi, ecco ora la consolazione degli eletti. Difatti viene soggiunto: “All’inizio di questi avvenimenti, guardate e sollevate le vostre teste, perché s’avvicina il vostro riscatto”. È la Verità che avverte i suoi eletti dicendo: Mentre s’addensano le piaghe del mondo, quando il terrore del giudizio si fa palese per lo sconvolgimento di tutte le cose, alzate la testa, cioè prendete animo, perché, se finisce il mondo, di cui non siete amici, si compie il riscatto che aspettate. Spesso nella Scrittura il capo sta per la mente, perché come le membra son guidate dal capo, così i pensieri sono ordinati dalla mente. Sollevare la testa, quindi, vuol dire innalzare le menti alla felicità della patria celeste. Coloro, dunque, che amano Dio sono invitati a rallegrarsi per la fine del mondo, perché presto incontreranno colui che amano, mentre se ne va colui ch’essi non amavano.

 

 

 

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