26 Novembre 2018 – Lunedì, XXXIV del Tempo Ordinario – (Ap 14,1-3.4b-5; Sal 23[24]; Lc 21,1-4) – I Lettura: Al capitolo 13 Giovanni racconta delle attività delle bestie e il quadro è alquanto nefasto per gli eletti. Adesso il racconto prosegue con la visione dell’Agnello e del suo seguito a rincuorare i fedeli. L’Agnello sta ritto sul monte Sion, che simboleggia il trono di Jahvé ed è il monte santo del Re-Messia. Il seguito, i 144 mila segnati sulla fronte con il nome di Dio, sono coloro che gli appartengono, i suoi servi. La visione, dunque, sta a significare la saldezza del nuovo popolo di Dio, della Chiesa, che è costruita sulla roccia incrollabile delle promesse di Dio. Vangelo: Nel tempio, davanti al tesoro, stavano 13 casse per le offerte. Un funzionario controllava il valore dell’offerta e ad alta voce ne annunciava l’ammontare e l’intenzione. Quindi tutti lì dentro furono messi al corrente dell’offerta misera della vedova. Ma Gesù, che scruta i cuori e le intenzioni, esalta il gesto della donna dichiarando, così, l’offerta di sé come il più grande obolo e il più gradito agli occhi di Dio.
Vide una vedova povera, che gettava due monetine – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».
Riflessione: I due spiccioli della vedova – Basilio Caballero: La povertà e l’altruismo, incarnati dalla povera vedova del vangelo di oggi, che Gesù addita come esempio ai suoi discepoli, costituiscono il cammino di una religiosità autentica, come ci mostrò ripetutamente Cristo. La scena è riferita anche da Marco (12,38ss). Il comportamento generoso della povera vedova che dà a Dio tutto quello che ha per vivere, depositandolo nel tesoro del tempio, contrasta con l’atteggiamento egoistico e indifferente di tanti altri che pensano solo ad accumulare beni e denaro per se stessi. Nella conclusione della parabola del ricco insensato, Gesù diceva: ugualmente stolto è chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio (cfr. Lc 12,21). Per questo la povera vedova che offre due spiccioli è molto ricca davanti a lui. Nella rivelazione biblica, ricchezza e povertà non sono concetti puramente quantitativi; vale anche l’atteggia-mento di attaccamento o distacco nei confronti di quello che si ha. Questo ci fa poveri o ricchi in spirito davanti a Dio. Il denaro, insieme al consumismo che su di esso si basa, è giunto a costituire per molti il surrogato dell’autentica religione. Da sempre, e oggi più che mai, si rende culto al dio denaro con un vero rituale sacrificale all’idolo tiranno. Tutto è immolato sul suo altare: lavoro e salute, principi morali, famiglia e amicizia; tutto, pur di trionfare, apparire socialmente, avere potere di consumo e godersi la vita. Una società del consumo, in un mondo che adora il mito del progresso illimitato, sfortunatamente favorisce la tendenza che tutti portiamo dentro e trasmettiamo ai bambini e ai giovani: avere e consumare. Per questo tutti ammirano e invidiano i vincenti, quelli che fanno soldi e raggiungono una posizione agiata. Il tema della povertà e gli avvertimenti di Gesù sui pericoli della ricchezza sono frequenti nel vangelo, specialmente in Luca. Anche se in molti brani dell’Antico Testamento la ricchezza è reputata un segno della benedizione di Dio per chi lo serve fedelmente, come nel caso dei patriarchi e dei re (cfr. libri storici e del Pentateuco), in molte altre parti vengono formulate delle riserve sulla ricchezza e sono apertamente denunciati i ricchi cattivi.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: L’obolo della vedova – Card. Tarcisio Bertone (Omelia, 7 Novembre 2009): L’obolo è insignificante, ma il dono è totale, ed è tanto più grande quanto meno è ostentato. La sua offerta contrasta con quella dei benestanti, fatta di pezzi d’argento sonanti, che ricevono il consenso pubblico. La donnetta, più che dare avrebbe il diritto di ricevere, ma lei vuole comunque dare e, timidamente, offre gli unici spiccioli che possiede: qualche centesimo dei nostri euro. Gesù esalta la generosità della donna e giudica il suo dono come un atto eroico, una lezione per i superbi, i vanitosi, gli ambiziosi; una lezione che vuole scuotere le coscienze degli ascoltatori. Dare ciò che si è, più che ciò che si ha, è questo il senso del discorso di Gesù. Così anche le “piccole cose” diventano grandi: come quel pugno di farina e quel po’ di olio che la vedova di Sarèpta offrì con generoso distacco ad Elìa. Anche per lei era tutto quello che aveva, ma la sua fede ha fatto nascere il miracolo: “La farina nella giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì”. Quando si leggono questi fatti dell’Antico e del Nuovo Testamento si rimane ammirati, ma anche un po’ perplessi perché si misura la distanza che esiste fra la conoscenza della Parola di Dio, che ascoltiamo tutte le domeniche, e la sua messa in pratica.
Le vedove possono contribuire alla santità e operosità della Chiesa – Lumen Gentium 41: I coniugi e i genitori cristiani, seguendo la loro propria via, devono sostenersi a vicenda nella fedeltà dell’amore con l’aiuto della grazia per tutta la vita, e istruire nella dottrina cristiana e nelle virtù evangeliche la prole, che hanno amorosamente accettata da Dio. Così infatti offrono a tutti l’esempio di un amore instancabile e generoso, edificando la carità fraterna e diventano testimoni e cooperatori della fecondità della madre Chiesa, in segno e partecipazione di quell’amore, col quale Cristo amò la sua sposa e si è dato per lei. Un simile esempio è offerto in altro modo dalle persone vedove e celibatarie, le quali pure possono contribuire non poco alla santità e alla operosità della Chiesa. Quelli poi che sono dediti a lavori spesso faticosi, devono con le opere umane perfezionare se stessi, aiutare i concittadini e far progredire tutta la società e la creazione verso uno stato migliore; devono infine, con carità operosa, imitare Cristo, le cui mani si esercitarono in lavori manuali e il quale sempre opera col Padre alla salvezza di tutti, in ciò animati da una gioiosa speranza, aiutandosi gli uni gli altri a portare i propri fardelli, ascendendo mediante il lavoro quotidiano a una santità sempre più alta, santità che sarà anche apostolica.
La carità – Giovanni Paolo II (Omelia, 21 Dicembre 1978): Nel mondo odierno, nonostante i grandi e reali progressi, c’è ancora tanto bisogno di solidarietà, di compartecipazione, perché ci sono ancora tanta povertà e miseria: molti nostri fratelli e sorelle soffrono la fame, la sete, le malattie di ogni genere; non hanno ancora un’abitazione decente e adeguata alla dignità della persona umana. Rimane quindi un immenso spazio per la carità, per la “beneficenza”, considerate e vissute non come il gesto orgoglioso di colui che, pago della propria ricchezza, lascia cadere ostentatamente nel tesoro del tempio una manciata di monete, ma come la donazione pudica ed umile della “povera vedova” del Vangelo, la quale donò due spiccioli, che erano però tutto quello che ella aveva per vivere (cfr. Mc 12,41-44; Lc 21,1-4). La carità – dice san Paolo – “non manca di rispetto, non cerca il suo interesse” (1Cor 13,5).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Ricordiamoci di quella vedova che, trascurando se stessa per amor dei poveri, testimone lo stesso Giudice, si privò di tutto il suo cibo: gli altri hanno dato parte di ciò che loro sovrabbondava, essa, invece più bisognosa forse anche di molti poveri, che aveva solo due spiccioli, ma nell’animo era più ricca di tutti i ricchi, interessata solo dell’eterna mercede, cupida del tesoro celeste, rinunciò a tutto ciò che proviene dalla terra e si riconverte in terra. Diede ciò che aveva, per poter possedere ciò che non aveva ancora visto. Diede cose corruttibili, per procurarsi le incorruttibili. Quella poveretta non disprezzò il criterio di Dio circa la ricompensa futura, e il giudice finale non trascurò il suo gesto e preannunziò la sua sentenza; predicò nel vangelo colei che avrebbe coronato il giorno del giudizio. Diamo, dunque, a interesse al Signore i suoi stessi doni non abbiamo, infatti, nulla che non sia suo dono, noi che siamo noi stessi, un suo dono. E noi, in verità, che cosa possiamo ritenere nostro, se per un più grande e speciale debito non siamo nostri? e non solo perché creati da Dio, ma anche perché da lui ricomprati. Rallegriamoci anche, perché siamo stati ricomprati a caro prezzo, col sangue dello stesso Signore; col quale prezzo non siamo più vili e venali. Riportiamo, dunque, i suoi doni al Signore; diamo a colui che riceve attraverso il povero; diamo, dico, con gioia e riceveremo da lui esultanti. Piace a lui, infatti, che gli facciamo forza, spezzando con le opere buone le sbarre del cielo. Il Signor nostro, il solo buono, come il solo Dio, non vuol ricevere per un calcolo di avarizia, ma per generosità di affetto. Che cosa manca, infatti, a colui che dà tutte le cose? O che cosa non possiede, colui che è padrone dei possidenti? Tutti i ricchi sono nelle sue mani, ma la sua immensa giustizia e bontà vuole che gli si faccia dono dei suoi stessi doni, per avere ancora un titolo di misericordia verso di te, perché è buono. E davvero ti prepari lui un merito di cui tu sia degno, perché egli è giusto!» (Paolino di Nola).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Nei Vangeli, Gesù rimprovera i Farisei di spogliare le case delle vedove (cfr. Mc 12,40) e loda una «povera vedova» che depone nel tesoro del tempio due monetine, tutta la sua sussistenza (cfr. Mc 12,43-44). San Paolo invita Timoteo ad onorare le vedove (cfr. 1Tm 5,3). Così farà san Giacomo con i suoi lettori: «Reli-gione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze» (Gc 1,27). Esisteva un catalogo nel quale venivano iscritte le vedove che la Chiesa assisteva con premura e generosità. L’iscrizione era sottoposta ad alcune condizioni: «Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant’anni, sia moglie di un solo uomo, sia conosciuta per le sue opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene» (1Tm 5,9-10). Se Paolo in generale suggeriva alle vedove di restare nello stato vedovile (cfr. 1Cor 7,8) alle più giovani, per comprensibili motivi, consigliava di risposarsi (cfr. 1Tm 5,11-15). La necessità della assistenza delle vedove farà nascere nella Chiesa il ministero del diaconato (cfr. At 6,5ss). Ma dovranno passare ancora molti anni prima che la rivalutazione della vedova e della donna, in particolare, trovi il suo compimento.
Santo del giorno: 26 Novembre – Sant’Umile da Bisignano, Confessore: La sua intensa vita interiore lo rese quasi trasparente alla luce soprannaturale di Dio, e accadde così che quel frate indotto e semplice, ritirato e modesto, venisse ricercato da sapienti e da potenti desiderosi di ottenere da lui consigli di spirituale perfezione. Due Papi, Gregorio XV e Urbano VIII, lo ebbero in grande considerazione e insisterono perché il frate di Bisignano restasse presso di loro a Roma, dove non gli sarebbero mancati, se li avesse appetiti, leciti onori e consolanti soddisfazioni. Frate Umile preferì invece tornare nel suo convento nel cuore della Calabria, dove il Signore aveva preparato per lui un doloroso calvario. Infatti, gli ultimi tempi della sua vita non lunga furono segnati da penose sofferenze fisiche, che il francescano riformato sopportò, in silenzio, con indicibile pazienza.
Preghiamo: Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo…