Sabato, XXXIII del Tempo Ordinario – Santi Andrea Dung-Lac e compagni (Memoria) – (Ap 11,4- 12; Sal 143[144]; Lc 20,27-40) – I Lettura: Le misteriose figure dei due testimoni che ricordano sia Mosè ed Elìa, che Giosuè e Zorobabele (i due capi cui fu affidata la ricostruzione politica e religiosa di Israele dopo l’esilio a Babilonia, cfr. Zc 4,1-14), sono descritti con particolari che hanno un significato simbolico che può essere attribuito alla Chiesa. L’immagine degli ulivi e dei candelabri designano le stesse realtà: la Chiesa che, alimentata dallo Spirito, è chiamata a rendere testimonianza alla luce divina. La sorte dei due testimoni sarà la stessa, che nel tempo e alla fine dei tempi, vivrà la comunità cristiana. Vangelo: I Sadducèi con la storia dei sette fratelli, non solo vogliono mettere in difficoltà Gesù, ma ridicolizzano la fede nella risurrezione dei Farisei. Gesù confuta le loro affermazioni citando la Sacra Scrittura, affermando che Dio è il Dio dei viventi e non dei morti. Inoltre dà un significativo insegnamento sulla natura dei risorti: essi non avranno più le stesse necessità di chi è sulla terra, ma saranno simili agli angeli e non dovranno più prendere marito o moglie perché non sarà più necessario assicurare una progenie. Così mette a zittire i suoi interlocutori ai quali dimostra la loro ignoranza della Parola di Dio.
Dio non è dei morti, ma dei viventi – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.
Riflessione: I sadducèi per dottrina erano in contrapposizione con i farisei. Si ritroveranno amici quando sarà necessario far fronte comune per neutralizzare Gesù… I sadducèi, «setta più rozza di quella farisaica» (san Giovanni Crisostomo), con la storia dei sette fratelli non soltanto vogliono mettere in difficoltà Gesù, ma puntano a ridicolizzare la fede nella risurrezione dei morti professata dai farisei, loro acerrimi nemici. Infatti, con accenti tra il grottesco e l’ironico, alla fine del loro racconto, chiedono a Gesù: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie»… Gesù risponde affermando inequivocabilmente la realtà della risurrezione e illustrando i requisiti dei corpi risorti confuta sapientemente l’argomento dei sadducèi: se in questo mondo gli uomini contraggono nozze per assicurare la continuità della specie, «nella risurrezione» cesserà questa necessità: gli uomini «giudicati degni della vita futura e della risurrezione», partecipando a una nuova vita, saranno «uguali agli angeli» e non potranno più morire. L’evangelista Luca dicendo saranno uguali agli angeli non vuole fare un paragone, ma spiegare in cosa consiste la risurrezione: non in una «rianimazione di un cadavere, bensì nella spiritualizzazione di tutto l’essere umano, reso simile agli angeli in cielo, per partecipare alla vita di Dio, come dono sublime della sua liberalità» (A. Poppi). Gesù per affermare il mistero della risurrezione cita la Parola di Dio, così come avevano fatto i suoi interlocutori per negarla. È infatti la Sacra Scrittura a dimostrare il grave errore dei sadducèi: il Signore, nella teofania del roveto ardente, dichiarandosi «il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6) rivela una comunione vera con degli esseri che anche dopo la morte continuano a vivere. «Vivono per sempre» (Sap 5,15) perché da Dio sono stati creati per l’immortalità (cfr. Sap 1,13.15-2,23). La morte non può spezzare la comunione di coloro che si addormentano nel Signore con il Dio vivo e fedele (cfr. Rm 6,10): Dio, non intendendo lasciare i suoi amici nella corruzione del sepolcro (cfr. Sal 16,10s), saprà trarli col suo Spirito dalla polvere (cfr. Ez 37,3; Gv 11,24s).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: La nostra fede – Giovanni Paolo II (Omelia, 11 Novembre 2001): La tradizione biblica e cristiana, fondandosi sulla Parola di Dio, afferma con certezza che, dopo quest’esistenza terrena, si apre per l’uomo un futuro di immortalità. Non si tratta di una generica affermazione, che intende venire incontro all’aspirazione dell’essere umano verso una vita senza fine. La fede nella risurrezione dei morti si fonda, come ricorda l’odierna pagina evangelica, sulla fedeltà stessa di Dio, che non è il Dio dei morti, ma dei vivi, e comunica a quanti confidano in Lui la medesima vita che egli possiede in pienezza. “Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto!” (Sal. resp.). Il ritornello del Salmo responsoriale ci proietta in questa vita oltre la morte, che è meta e pieno compimento del nostro pellegrinaggio qui sulla terra. Nel Primo Testamento si assiste al passaggio dall’antica concezione di un’oscura sopravvivenza delle anime nello sheol alla ben più esplicita dottrina della risurrezione dei morti. Lo attesta il Libro di Daniele (cfr. Dn 12,2-3) e, in maniera esemplare, il Secondo Libro dei Maccabei, da cui è tratta la prima lettura poc’anzi proclamata. In un’epoca in cui il popolo eletto era ferocemente perseguitato, sette fratelli non esitarono ad affrontare insieme con la loro madre le sofferenze e il martirio pur di non venir meno alla loro fedeltà al Dio dell’Alleanza. Uscirono vincitori da tale terribile prova, poiché erano sostenuti dall’attesa dell’“adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati” (2Mac 7,14). Ammirando l’esempio dei sette fratelli riferito nel Libro dei Maccabei, ribadiamo con fermezza la nostra fede nella risurrezione dei morti di fronte a posizioni critiche anche del pensiero contemporaneo. È questo uno dei punti fondamentali della dottrina cristiana, che illumina di luce consolante l’intera esistenza terrena.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Come è simile il morto a colui che si è addormentato, la morte al sonno, la risurrezione al mattino! Un giorno splenderà in noi la verità come luce nei nostri occhi, guarderemo la morte come immagine del sonno che desta inquietudine. Folle chi vede che il sonno finisce la mattina, e crede che la morte sia un sonno che dovrà durare in eterno! Se la speranza ravviva i nostri occhi, vedremo ciò che è nascosto: il sonno della morte finirà un mattino. Svanirà il meraviglioso profumo del tesoro della vita nel corpo, nella dimora dell’anima, donde era uscito. Bellissimo sarà il corpo, diletto tempio dello Spirito, rinnovato si muterà nella casa della beata pace. Allora squillerà la tromba sulle sorde arpe: «Svegliatevi, cantate gloria davanti allo Sposo! «Si sentirà un’eco di voci quando si apriranno i sepolcri, tutti prenderanno le arpe per suonare il canto di lode. Sia ringraziato il Signore che ha esaltato Adamo, anche se poi il superbo l’ha umiliato nel baratro! Gloria a lui quando umilia, gloria a lui quando risuscita. Anche la cetra suoni a Dio nel giorno della risurrezione” (Sant’Efrem).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Dio non è dei morti, ma dei viventi – Il ricordo del tempo transitorio e la memoria di un tempo che si fa breve aiutano il cuore a riscoprire la bellezza della vita come comunione con Dio. I Novissimi, pietosi amici, che ricordano alla nostra vanagloria di farsi umiltà, sono specchio terso in cui si riflettono i nostri vizi e le nostre virtù. Le ultime realtà sono vigorose spinte a cambiare vita, ad uniformarsi alla Legge di Dio qualora ci si accorgesse di essersi allontanati dalla casa del Padre. Per Maurice Bellet quando Cristo «parla del cielo e dell’inferno, egli in fondo fa un annuncio di libertà, di quella libertà primordiale per cui ogni uomo è responsabile delle scelte fondamentali nella vita» (Christus, 1969, pg. 29). Sarà la morte a restituire, a riconsegnare all’uomo quella libertà che il peccato gli aveva rubato. La morte, incontro eterno con la Luce, abbraccio misericordioso con il giusto Giudice, metterà a nudo il nostro cuore e svelerà i nostri pensieri. Dolce epifania dell’eterno destino dell’uomo, la morte è via che conduce alla gioia senza fine oppure strada che conduce all’eterna disperazione. Se manca la meditazione sulla morte e sul nostro ultimo destino si piomba in una aberrante autodeterminazione, che è stoltezza e insipienza di giudizio e di orientamento. La morte per molti, anche per tanti credenti, oggi è un tabù, cioè qualcosa di cui non si deve nemmeno parlare. Oggi siamo meno preparati psicologicamente a morire. Innanzi tutto, perché è scemata l’esperienza di morte e poi per il complesso fenomeno della secolarizzazione. La morte quando diventa meta agognata, desiderata, fa vivere in pienezza la vita anche quando questa volge al declino. La morte non è altro che un «tempo eterno» lungamente, oculatamente, preparato nel «tempo transeunte». Si vede, così, con lucidità e con realismo, la parabola umana; il suo nascere, il suo mettere radici, il suo sfiorire. La nascita, la vita e la morte non devono essere separate perché l’una è compagna dell’altra, l’una spiega l’altra.
Santo del giorno: 24 Novembre – Santi Andrea Dung-Lac, sacerdote e Compagni martiri: “Il cristianesimo giunse in Vietnam sul finire del secolo XVI, ma fu continuamente osteggiato dai regnanti locali tanto che, tra i secoli XVII e XIX, si susseguirono più di 50 editti contro i cristiani, che provocarono l’uccisione di circa 130 mila fedeli. La persecuzione toccò il suo acme sotto il regno di Tu-Duc (1847-1883): per i nativi era difficile dissociare la nuova fede dalla politica coloniale francese che pretendeva di impadronirsi del paese. I missionari venivano braccati a pagamento e uccisi sul luogo stesso dove venivano arrestati; ai catechisti vietnamiti veniva impresso a fuoco sul volto la scritta: «Falsa religione». I semplici fedeli avevano salva la vita solo se calpestavano la croce; altrimenti subivano supplizi di ogni genere inventati con fantasia feroce. In ogni caso, i nuclei familiari cristiani venivano smembrati e i congiunti erano deportati in regioni diverse, privati di ogni proprietà e di ogni legame religioso. Nel 1988 vari gruppi di martiri vietnamiti, beatificati dai precedenti pontefici, sono stati unificati in un solo gruppo e canonizzati da papa Giovanni Paolo II che li ha anche dichiarati «Patroni del Vietnam». Vi sono compresi: 8 vescovi, 50 sacerdoti, 59 laici (tra cui medici, militari, molti padri di famiglia e una mamma). A rappresentarli tutti, il Messale Romano nomina Andrea Dung-Lac, prima catechista e poi sacerdote, che riscuote in Vietnam una particolare devozione. Di un altro martire (Paolo Le-Bao-Tinh) il Breviario riporta oggi un brano di lettera dove si legge: «In mezzo a questi tormenti, che di solito piegano e spezzano gli altri, per la grazia di Dio sono pieno di gioia e letizia perché non sono solo, ma Cristo è con me» (santiebeati.it).
Preghiamo: O Dio, origine e fonte di ogni paternità, che hai reso fedeli alla croce del tuo Figlio fino all’effusione del sangue, i santi Andrea Dung-Lac e compagni martiri, per la loro comune intercessione fa’ che diventiamo missionari e testimoni del tuo amore fra gli uomini, per chiamarci ad essere tuoi figli. Per il nostro Signore Gesù Cristo…