22 Novembre 2018 – Giovedì, XXXIII del Tempo Ordinario – Santa Cecilia (Memoria) – (Ap 5,1-10; Sal 149; Lc 19,41-44) – I Lettura: Dopo aver contemplato la gloria di Dio e la lode celeste a Lui tributata, Giovanni scorge un altro personaggio, l’Agnello, colui che ha operato la redenzione, Cristo, che porta ancora i segni della sua immolazione. Grazie al suo sacrificio egli può portare a compimento il progetto divino simboleggiato dal libro sigillato. Vangelo: Il 19° c. inizia con la conversione di Zacchèo, un uomo di Gèrico, città che solitamente rappresenta l’antitesi di Gerusalemme, la città santa. Eppure lì, dove non ci si attende l’apertura a Dio, Gesù viene accolto; a Gerusalemme, invece, troverà la morte. Gesù piange su Gerusalemme: anche gente pagana ha avuto fede in lui, ma lei, rimasta arroccata nel suo orgoglio, si prepara alla rovina.
Se avessi compreso quello che porta alla pace! – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
Riflessione: Giovanni Paolo II (Omelia, 6 Novembre 1994): Nel pianto di Gesù su Gerusalemme trova espressione il suo amore per la Città Santa, assieme al dolore per il suo futuro non lontano, che egli prevede: la Città sarà conquistata e il tempio distrutto, i giovani saranno sottoposti allo stesso suo supplizio, la morte di croce. «Allora cominceranno a dire ai monti: cadete su di noi! e ai colli: copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?» (Lc 23,30-31). Sappiamo che Gesù pianse, un’altra volta, presso la tomba di Lazzaro: «Dissero allora i Giudei: “Vedi come lo amava!”. Ma alcuni di loro dissero: “Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse? Allora Gesù, manifestando nuovamente una profonda commozione, si recò al sepolcro, ordinò di togliere la pietra, e, alzati gli occhi al Padre, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori dal sepolcro!”» (Gv 11,36-43). Il Vangelo ci parla ancora della commozione di Gesù, quando esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto» (Lc 10,21). Gesù gioisce per la paternità divina; si rallegra perché gli è dato di rivelare questa paternità, e si allieta infine per una particolare irradiazione di questa paternità sui piccoli. L’evangelista Luca definisce tutto questo come un’esultanza nello Spirito Santo: «Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Lc 10,22). Nel cenacolo Gesù predice agli Apostoli il loro futuro pianto: «In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia». E aggiunge: «La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,20-21). Così Cristo parla della tristezza e della gioia della Chiesa, del suo pianto e della sua letizia, riferendosi all’im-magine di una donna che partorisce.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: L’Agnello immolato – Benedetto XVI (Udienza Generale, 12 Settembre 2012): […] dopo l’appello insistente di Cristo che, nella prima parte dell’Apocalisse, ben sette volte ha detto: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alla Chiesa» (cfr. Ap 2,7.11.17.29; 3,6.13.22), l’assemblea viene invitata a salire in Cielo per guardare la realtà con gli occhi di Dio; e qui ritroviamo tre simboli, punti di riferimento da cui partire per leggere la storia: il trono di Dio, l’Agnello e il libro (cfr. Ap 4,1-5,14). Primo simbolo è il trono, sul quale sta seduto un personaggio che Giovanni non descrive, perché supera qualsiasi rappresentazione umana; può solo accennare al senso di bellezza e gioia che prova trovandosi davanti a Lui. Questo personaggio misterioso è Dio, Dio onnipotente che non è rimasto chiuso nel suo Cielo, ma si è fatto vicino all’uomo, entrando in alleanza con lui; Dio che fa sentire nella storia, in modo misterioso ma reale, la sua voce simboleggiata dai lampi e dai tuoni. Vi sono vari elementi che appaiono attorno al trono di Dio, come i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi, che rendono lode incessantemente all’unico Signore della storia. Primo simbolo, quindi, il trono. Secondo simbolo è il libro, che contiene il piano di Dio sugli avvenimenti e sugli uomini; è chiuso ermeticamente da sette sigilli e nessuno è in grado di leggerlo. Di fronte a questa incapacità dell’uomo di scrutare il progetto di Dio, Giovanni sente una profonda tristezza che lo porta al pianto. Ma c’è un rimedio allo smarrimento dell’uomo di fronte al mistero della storia: qualcuno è in grado di aprire il libro e di illuminarlo. E qui appare il terzo simbolo: Cristo, l’Agnello immolato nel Sacrificio della Croce, ma che è in piedi, segno della sua Risurrezione. Ed è proprio l’Agnello, il Cristo morto e risorto, che progressivamente apre i sigilli e svela il piano di Dio, il senso profondo della storia. Che cosa dicono questi simboli? Essi ci ricordano qual è la strada per saper leggere i fatti della storia e della nostra stessa vita. Alzando lo sguardo al Cielo di Dio, nel rapporto costante con Cristo, aprendo a Lui il nostro cuore e la nostra mente nella preghiera personale e comunitaria, noi impariamo a vedere le cose in modo nuovo e a coglierne il senso più vero. La preghiera è come una finestra aperta che ci permette di tenere lo sguardo rivolto verso Dio, non solo per ricordarci la meta verso cui siamo diretti, ma anche per lasciare che la volontà di Dio illumini il nostro cammino terreno e ci aiuti a viverlo con intensità e impegno.
Quando fu vicino a Gerusalemme – CCC 557: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme» (Lc 9,51). Con questa decisione, indicava che saliva a Gerusalemme pronto a morire. A tre riprese aveva annunziato la sua passione e la sua risurrezione. Dirigendosi verso Gerusalemme dice: «Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme» (Lc 13,33).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione – “Come avrebbe potuto esservi riconciliazione tra Dio e il genere umano, se il mediatore tra Dio e gli uomini non avesse preso su di sé il debito di tutti? In che altro modo avrebbe potuto compiere una vera mediazione se, simile al Padre nella sua natura divina, non fosse stato anche uno di noi nella sua natura di servo? Solo così il vincolo della morte, dovuto alla colpa di uno [Adamo], fu sciolto dalla morte di uno [Cristo], che solo non era meritevole di morte. Fu tale la potenza redentrice del sangue di Cristo versato per gli ingiusti, che se tutti gli uomini stretti nei vincoli credono al loro Redentore, i ceppi del demonio non possono resistere. Dice infatti l’Apostolo: Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia [Rm 5,20]. Gli uomini nati sotto il giogo del peccato hanno avuto la possibilità di rinascere alla giustizia: perciò il dono della libertà è più potente che la colpa della servitù […] Tra tutti gli uomini, solo in nostro Signore Gesù Cristo, il vero agnello senza macchia, tutti sono stati crocifissi, tutti uccisi, tutti sepolti e tutti anche sono risorti. Di loro disse il Signore stesso: Quando io sarò sollevato da terra, attrarrò tutti a me [Gv 12,32]. Infatti la vera fede, che rende giusti gli empi, raggiunge la salvezza solo in colui in cui l’umanità è priva di peccato, in quanto egli, per la grazia di Dio, può gloriarsi del potere di colui che, nella bassezza della nostra carne, fece guerra al nemico del genere umano e a questo elargì la vittoria, nella cui carne raggiunse il trionfo” (San Leone Magno).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee… – Padre Lino Pedron (Omelia, 23 Novembre 2003): Gesù annuncia il verdetto di Dio sulla sua nazione, ma lo fa a malincuore, con dolore, piangendo, non esultando di gioia per la vendetta di Dio che si abbatte sui peccatori. Gesù non è venuto per punire, ma per salvare; per recare la pace, non la guerra. Israele si era allontanato da Dio, l’aveva dimenticato e offeso; Gesù viene a ristabilire i buoni rapporti tra di loro. Il suo stesso modo di presentarsi, semplice, umile rivelava lo scopo pacifico della sua venuta. Un messia di questo genere non poteva non suscitare fiducia. Gerusalemme non ha riconosciuto il giorno del perdono e della grazia, e allora dovrà fare la conoscenza col giorno dell’ira e dello sterminio dei suoi abitanti. La distruzione di Gerusalemme è vista come un castigo divino in risposta al rifiuto del Messia. La grazia, la bontà di Dio, quando è rifiutata, diventa ira, vendetta, castigo. Ma, a questo punto, ci domandiamo come possiamo mettere d’accordo le pagine del vangelo che ci presentano Dio come amore e misericordia con questa pagina in cui sembra che il volto del Dio-Amore sia totalmente stravolto e negato. Il vangelo di Giovanni ci aiuta a capire meglio il motivo della distruzione di Gerusalemme: “Pilato disse ai giudei: ‘Ecco il vostro re!’. Ma quelli gridarono: ‘Via, via, crocifiggilo!’. Disse loro Pilato: ‘Metterò in croce il vostro re?’. Risposero i sommi sacerdoti: ‘Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare’. Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso” (Gv 19,14-16). La dichiarazione pubblica e solenne dei sommi sacerdoti manifesta senza equivoci il rifiuto di Dio e del suo Cristo come re e salvatore d’Israele, e la scelta di Cesare come loro re e salvatore. E il nuovo signore di Israele, l’imperatore di Roma, ha agito secondo la logica di tutti i potenti di questo mondo, distruggendo e massacrando il popolo ribelle. Sono gli eserciti dell’impero romano che hanno distrutto Gerusalemme, non Dio. Le potenze del male sono tenute lontane dalla protezione di Dio. Il giorno in cui allontaniamo Dio dalla nostra vita, esse si comportano come le belve quando cacciamo via il domatore che le teneva debitamente a bada: ci sbranano. E non perché sono state aizzate contro di noi dal domatore indispettito e vendicativo, ma perché questa è la loro condotta naturale di belve. Quando rifiutiamo il regno di Dio, cadiamo immediatamente sotto il potere del demonio, che “è stato omicida fin da principio” (Gv 8,44).
Santo del giorno: 22 Novembre – Santa Cecilia, Vergine e martire: “Al momento della revisione del calendario dei santi tra i titolari delle basiliche romane solo la memoria di santa Cecilia è rimasta alla data tradizionale. Riguardo a Cecilia, venerata come martire e onorata come patrona dei musicisti, è difficile reperire dati storici completi ma a sostenerne l’importanza è la certezza storica dell’antichità del suo culto. Due i fatti accertati: il «titolo» basilicale di Cecilia è antichissimo, sicuramente anteriore all’anno 313, cioè all’età di Costantino; la festa della santa veniva già celebrata, nella sua basilica di Trastevere, nell’anno 545. Sembra inoltre che Cecilia venne sepolta nelle Catacombe di San Callisto, in un posto d’onore, accanto alla cosiddetta «Cripta dei Papi», trasferita poi da Pasquale I nella cripta della basilica trasteverina. La famosa «Passio», un testo più letterario che storico, attribuisce a Cecilia una serie di drammatiche avventure, terminate con le più crudeli torture e conclusesi con il taglio della testa” (Avvenire).
Preghiamo: Ascolta, Signore, la nostra preghiera e per intercessione di santa Cecilia, vergine e martire, rendici degni di cantare le tue lodi. Per il nostro Signore Gesù Cristo…