17 Novembre 2018 – Sabato, XXXII del Tempo Ordinario – Santa Elisabetta d’Ungheria (Memoria) – (3Gv 5-8; Sal 111[112]; Lc 18,1-8) – I Lettura: “Questo biglietto è indirizzato a un certo Gaio, responsabile di una comunità dell’Asia Minore. Qualcuno di quella Chiesa non aveva voluto riconoscere per tali dei predicatori itineranti, inviati dall’apostolo Giovanni. Gaio aveva invece usato molta carità nei loro riguardi. Egli viene esortato ora a provvedere al loro viaggio” (Messale Feriale, LDC). Vangelo: “L’iniquità del giudice, consiste nel prolungato silenzio e l’apparente abbandono in cui lascia sovente i suoi eletti. Questi, raffigurati dalla vedova, vivono spesso soli e deboli, soffrono nella tribolazione senza scampo e sotto i colpi della ingiustizia senza difesa. La fede però, alimentata da una continua e incessante preghiera, spiega la longanime pazienza di Dio e dimostra che egli è presente per fare giustizia”(Messale Feriale, LDC).
Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Riflessione: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Gesù vuole insegnare ai suoi discepoli la necessità di «pregare sempre, senza stancarsi mai» e di attendere con perseveranza il suo ritorno perché Egli certamente ritornerà come giudice degli uomini. Luca ama soffermarsi sulla preghiera di Gesù: è l’orante perfetto in continua comunione di amore con il Padre. Gesù prega soprattutto nei momenti più importanti della sua vita (Lc 3,21; 9,28; 9,16; 22,19-20; 22,39-46; 23,34); muore pregando: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). La vedova fa parte degli anawim, i poveri di Dio. Spesso abbandonati alla loro sorte vengono maltrattati, vessati, derubati. Nonostante che la legge ammonisse i giudici ad emettere giuste sentenze (cfr. Dt 16,18), nella prassi contavano molto le regalie e le influenze degli amici potenti… Che il giudice sia iniquo quindi non sorprende chi ascolta la parabola, la sorpresa sta nel fatto che alla fine il giudice, pur consapevole della sua empietà e del suo disprezzo verso il prossimo, si arrenda alle suppliche della vedova. Una manovra meschina pensata unicamente per liberarsi delle noiose insistenze della donna. Nel commentare la parabola, Gesù mette in evidenza il punto focale del racconto: se quel giudice disonesto e crudele accondiscese ad aiutare una povera vedova unicamente per togliersela di torno, come potrebbe Dio, buono, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), non aiutare i suoi eletti che si rivolgono a lui «giorno e notte» con grande fede? Un’altra grande differenza tra i due attori principali della parabola sta nel loro intervenire: il giudice per la sua iniquità ha obbligato la vedova ad attendere penosamente la sentenza, Dio che è buono invece interverrà prontamente. Il monito che Gesù rivolge al suo uditorio – Dio farà loro giustizia prontamente – assume una valenza preziosissima: è un’incitazione all’attesa e alla vigilanza escatologica: «Sì, vieni presto, Gesù!» (cfr. Ap 22,20). Se vale quest’ultima lettura, allora si comprende nel suo significato più genuino la domanda di Gesù «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Negli ultimi tempi la fede avrà vita difficile, ma sarà salvato chi vigila nella preghiera con spirito pentito e umile.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Beato l’uomo che teme il Signore – Benedetto XVI (Udienza Generale, 2 Novembre 2005): Il salmo 111, composizione di taglio sapienziale, ci presenta la figura di questi giusti, i quali temono il Signore, ne riconoscono la trascendenza e aderiscono con fiducia e amore alla sua volontà in attesa di incontrarlo dopo la morte. A questi fedeli è riservata una “beatitudine”: «Beato l’uomo che teme il Signore» (v. 1). Il Salmista precisa subito in che cosa consista tale timore: esso si manifesta nella docilità ai comandamenti di Dio. È proclamato beato colui che «trova grande gioia» nell’osservare i comandamenti, trovando in essi gioia e pace. La docilità a Dio è, quindi, radice di speranza e di armonia interiore ed esteriore. L’osservanza della legge morale è sorgente di profonda pace della coscienza. Anzi, secondo la visione biblica della «retribuzione», sul giusto si stende il manto della benedizione divina, che imprime stabilità e successo alle sue opere e a quelle dei suoi discendenti: «Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza dei giusti sarà benedetta. Onore e ricchezza nella sua casa» (vv. 2-3; cfr. v. 9). Certo, a questa visione ottimistica si oppongono le osservazioni amare del giusto Giobbe, che sperimenta il mistero del dolore, si sente ingiustamente punito e sottoposto a prove apparentemente insensate. Bisognerà, quindi, leggere questo Salmo nel contesto globale della Rivelazione, che abbraccia la realtà della vita umana in tutti i suoi aspetti. Tuttavia rimane valida la fiducia che il Salmista vuole trasmettere e far sperimentare a chi ha scelto di seguire la via di una condotta moralmente ineccepibile, contro ogni alternativa di illusorio successo ottenuto attraverso l’ingiustizia e l’immoralità.
Una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai – Papa Francesco (Udienza Generale, 25 Maggio 2016): Da questa parabola Gesù trae una duplice conclusione: se la vedova è riuscita a piegare il giudice disonesto con le sue richieste insistenti, quanto più Dio, che è Padre buono e giusto, «farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui»; e inoltre non «li farà aspettare a lungo», ma agirà «prontamente» (vv. 7-8). Per questo Gesù esorta a pregare “senza stancarsi”. Tutti proviamo momenti di stanchezza e di scoraggiamento, soprattutto quando la nostra preghiera sembra inefficace. Ma Gesù ci assicura: a differenza del giudice disonesto, Dio esaudisce prontamente i suoi figli, anche se ciò non significa che lo faccia nei tempi e nei modi che noi vorremmo. La preghiera non è una bacchetta magica! Essa aiuta a conservare la fede in Dio e ad affidarci a Lui anche quando non ne comprendiamo la volontà. In questo, Gesù stesso – che pregava tanto! – ci è di esempio. La Lettera agli Ebrei ricorda che «nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (5,7). A prima vista questa affermazione sembra inverosimile, perché Gesù è morto in croce. Eppure la Lettera agli Ebrei non si sbaglia: Dio ha davvero salvato Gesù dalla morte dandogli su di essa completa vittoria, ma la via percorsa per ottenerla è passata attraverso la morte stessa! Il riferimento alla supplica che Dio ha esaudito rimanda alla preghiera di Gesù nel Getsemani. Assalito dall’angoscia incombente, Gesù prega il Padre che lo liberi dal calice amaro della passione, ma la sua preghiera è pervasa dalla fiducia nel Padre e si affida senza riserve alla sua volontà: «Però – dice Gesù – non come voglio io, ma come vuoi tu» (Mt 26,39). L’oggetto della preghiera passa in secondo piano; ciò che importa prima di tutto è la relazione con il Padre. Ecco cosa fa la preghiera: trasforma il desiderio e lo modella secondo la volontà di Dio, qualunque essa sia, perché chi prega aspira prima di tutto all’unione con Dio, che è Amore misericordioso.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Il fine ultimo della preghiera – “Ho cercato il Signore e mi ha esaudito [Sal 33,5]. Quelli dunque che non sono esauditi non cercano il Signore. Faccia attenzione la santità vostra. Il salmista non ha detto: Ho richiesto l’oro dal Signore e mi ha esaudito; ho richiesto dal Signore la longevità e mi ha esaudito; ho richiesto dal Signore questo e quello e mi ha esaudito. Altro è cercare qualcosa dal Signore, altro è cercare il Signore stesso. «Ho cercato il Signore e mi ha esaudito», dice… Non cercare qualcosa di estraneo al Signore, ma cerca il Signore stesso, ed egli ti esaudirà, e mentre ancora stai parlando ti dirà: Ecco, sono qui [Is 65,24]. Che vuol dire: Ecco, sono qui? Ecco, sono presente, che cosa vuoi, cosa attendi da me? Tutto quello che ti posso dare è nulla al mio confronto: prendi me stesso, goditi me, abbracciami: non ancora puoi farlo completamente, toccami con la fede, e a me ti unirai [così ti dice Dio], e io ti libererò da tutti i tuoi fardelli, affinché tu possa aderire a me tutto intero, quando avrò trasformato all’immortalità questo tuo corpo mortale, affinché tu sia uguale ai miei angeli, tu veda sempre il mio volto e sia felice, senza che nessuno possa più toglierti la tua gioia. Poiché tu hai cercato il Signore e ti ha esaudito” (Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: La preghiera cristiana – Paolo VI (Udienza Generale, 30 Gennaio 1974): La caratteristica intrinseca della preghiera cristiana è la fiducia. Si spiega: se il rapporto fra l’uomo e Dio è quello inaugurato e stabilito da Cristo, la preghiera non è più un monologo, non è più una voce nel buio, non è più un conato, che si scioglie in disperata poesia; ma è davvero un dialogo, è un ricorso non solo ad un precetto divino, ma altresì ad una promessa: «pregate, e sarete esauditi…» (Mt 7,7). Il concetto di una Bontà, che ci ascolta, che ci vuol bene, che è pronta ad esaudirci diventa dominante nella mentalità cristiana: «Chi mai fra voi, insegna il Signore, quando il figlio suo gli chiede un pane, gli dà un sasso?» (Mt 7,9)
Santo del giorno: 17 Novembre – Sant’Elisabetta d’Ungheria, Religiosa: “Figlia di Andrea, re d’Ungheria e di Gertrude, nobildonna di Merano, ebbe una vita breve. Nata nel 1207, fu promessa in moglie a Ludovico figlio ed erede del sovrano di Turingia. Sposa a quattordici anni, madre a quindici, restò vedova a 20. Il marito, Ludovico IV morì ad Otranto in attesa di imbarcarsi con Federico II per la crociata in Terra Santa. Elisabetta aveva tre figli. Dopo il primogenito Ermanno vennero al mondo due bambine: Sofia e Gertrude, quest’ultima data alla luce già orfana di padre. Alla morte del marito, Elisabetta si ritirò a Eisenach, poi nel castello di Pottenstein per scegliere infine come dimora una modesta casa di Marburgo dove fece edificare a proprie spese un ospedale, riducendosi in povertà. Iscrittasi al terz’ordine francescano, offrì tutta se stessa agli ultimi, visitando gli ammalati due volte al giorno, facendosi mendicante e attribuendosi sempre le mansioni più umili. La sua scelta di povertà scatenò la rabbia dei cognati che arrivarono a privarla dei figli. Morì a Marburgo, in Germania il 17 novembre 1231. È stata canonizzata da papa Gregorio IX nel 1235” (Avvenire).
Preghiamo: O Dio, che a sant’Elisabetta hai dato la grazia di riconoscere e onorare Cristo nei poveri, concedi anche a noi, per sua intercessione, di servire con instancabile carità coloro che si trovano nella sofferenza e nel bisogno. Per il nostro Signore Gesù Cristo…