15 Novembre 2018 – Giovedì, XXXII del Tempo Ordinario – (Fm 7-20; Sal 145[146]; Lc 17,20-25) – I Lettura: Lo schiavo Onesimo era fuggito dalla casa del suo padrone, e per lui, se riacciuffato, il castigo sarebbe stato terrificante. Finisce tra le braccia dell’apostolo Paolo che lo catechizza, lo battezza aprendolo alla fede. Paolo lo rimanda dal suo padrone Filemone, cristiano e suo amico, con un biglietto con il quale chiede di accogliere lo schiavo come fratello carissimo… sia come uomo sia come fratello nel Signore. La Chiesa ha ormai la consapevolezza che tutti coloro che sono stati battezzati in Cristo si sono rivestiti di Cristo. Per cui non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti i battezzati sono uno in Cristo Gesù (Gal 3,27-28). Sono i primi passi che permetteranno di abolire la schiavitù. Onesimo ritornerà da Paolo e gli sarà compagno nell’evangelizzazione (Col 4,9). Vangelo: I farisei vogliono sapere quando verrà il regno di Dio. Gesù risponde loro che il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione. Il regno di Dio è già in mezzo a loro in modo misterioso, nascosto agli occhi degli uomini. Sarà luminoso, palese a tutti gli uomini alla fine dei tempi. Allo stesso modo sarà la venuta del Figlio dell’uomo, ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato dalla sua generazione.
Il regno di Dio è in mezzo a voi – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, i farisei domandarono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?». Egli rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!». Disse poi ai discepoli: «Verranno giorni in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: “Eccolo là”, oppure: “Eccolo qui”; non andateci, non seguiteli. Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione».
Riflessione: ‘L’uomo è chiamato alla gioia e a una vita felice, ma sperimenta quotidianamente molte forme di dolore e la malattia è l’espressione più frequente e più comune della sofferenza umana. Dinanzi a ciò viene spontaneo chiedersi: Perché soffriamo? Per che cosa soffriamo? Ha un significato che le persone soffrano? Può essere positiva l’esperienza del dolore fisico o morale? Senza dubbio, ognuno di noi si sarà posto, più di una volta, questi interrogativi, dal letto di dolore, durante la convalescenza, prima di sottoporsi a un intervento chirurgico o quando ha visto soffrire una persona cara. Per i cristiani non sono interrogativi senza risposta. Il dolore è un mistero, molte volte imperscrutabile alla ragione. Fa parte del mistero della persona umana, che si chiarisce solo in Gesù Cristo, che è Colui che svela all’uomo la propria identità. Solo a partire da Lui potremo scoprire il senso di tutto l’umano. La sofferenza – come ho scritto nella Lettera Apostolica Salvifici doloris – «non può essere trasformata e mutata con una grazia dall’esterno, ma dall’interno. […] Non sempre, però, un tale processo interiore si svolge in modo uguale. […] Cristo, infatti, non risponde direttamente e non risponde in astratto a questo interrogativo umano circa il senso della sofferenza. L’uomo ode la sua risposta salvifica man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo. La risposta che giunge mediante tale partecipazione… è… una chiamata…: “Seguimi”… Vieni! Prendi parte con la tua sofferenza a quest’opera di salvezza del mondo, che si compie per mezzo della mia sofferenza! Per mezzo della mia croce» [n. 26]. Perciò, davanti all’enigma del dolore, noi cristiani possiamo dire con decisione «Signore, sia fatta la tua volontà» e ripetere con Gesù: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» [Mt 26,39]. La grandezza e la dignità dell’uomo consistono nell’essere figlio di Dio e nell’essere chiamato a vivere in intima unione con Cristo. Questa partecipazione alla sua vita comporta la condivisione del dolore. Il più innocente degli uomini – il Dio fattosi uomo – è stato il grande sofferente che si è fatto carico delle nostre mancanze e dei nostri peccati. Quando Egli annuncia ai suoi discepoli che il Figlio dell’Uomo dovrà soffrire molto, essere crocifisso e risorgere il terzo giorno, avverte anche che se qualcuno vuole andare dietro di Lui, deve rinnegare se stesso, prendere la propria croce e seguirLo [cfr. Lc 9,22 e seg.]. Esiste, quindi, un’intima relazione fra la Croce di Gesù – simbolo del supremo dolore e prezzo della nostra vera libertà – e i nostri dolori, le sofferenze, le afflizioni, le pene e i tormenti che possono gravare sulla nostra anima o mettere radici nel nostro corpo. La sofferenza si trasforma e si sublima quando si è consapevoli della vicinanza e della solidarietà di Dio in quei momenti. È questa la certezza che danno la pace interiore e la gioia spirituale proprie dell’uomo che soffre con generosità e offre il proprio dolore «come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» [Rm 12,1]. Colui che soffre con questi sentimenti non è un peso per gli altri, ma contribuisce alla salvezza di tutti con la propria sofferenza. Così considerati, il dolore, l’infermità e i momenti bui dell’esistenza umana acquistano una dimensione profonda e apportatrice di speranza. Non si è mai soli davanti al mistero della sofferenza: si è con Cristo, che dà senso a tutta la vita: ai momenti di gioia e di pace così come ai momenti di afflizione e di dolore. Con Cristo tutto ha senso, comprese la sofferenza e la morte; senza di Lui, niente può essere spiegato appieno, neanche i legittimi piaceri che Dio ha associato ai diversi momenti dell’esistenza umana’ (Giovanni Paolo II, Messaggio agli ammalati, 24 Gennaio 1999).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Il Signore ridona la vista ai ciechi – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 2 Luglio 2003): Dio è creatore del cielo e della terra, è custode fedele del patto che lo lega al suo popolo, è Colui che fa giustizia nei confronti degli oppressi, dona il pane che sostiene gli affamati e libera i prigionieri. È Lui ad aprire gli occhi ai ciechi, a rialzare chi è caduto, ad amare i giusti, a proteggere lo straniero, a sostenere l’orfano e la vedova. È Lui a sconvolgere la via degli empi ed a regnare sovrano su tutti gli esseri e su tutti i tempi. Sono dodici affermazioni teologiche che, col loro numero perfetto, vogliono esprimere la pienezza e la perfezione dell’azione divina. Il Signore non è un sovrano distante dalle sue creature, ma è coinvolto nella loro storia, come Colui che propugna la giustizia, schierandosi dalla parte degli ultimi, delle vittime, degli oppressi, degli infelici.
Figlio dell’uomo – Giovanni Paolo (Udienza Generale, 29 Aprile 1987): Quando Gesù chiama se stesso “Figlio dell’uo-mo” usa un’espressione proveniente dalla tradizione canonica dell’A. T. e presente anche negli apocrifi giudaici. Occorre però notare che l’espressione “Figlio dell’uomo” (ben-adam) era diventata nell’aramaico dei tempi di Gesù un’espressione indicante semplicemente “uomo” (bar-enas). Gesù, perciò, chiamando se stesso “figlio dell’uomo”, riuscì quasi a nascondere dietro il velo del significato comune il significato messianico che la parola aveva nell’inse-gnamento profetico. Non a caso, tuttavia, se enunciazioni sul “Figlio dell’uomo” appaiono specialmente nel contesto della vita terrena e della passione di Cristo, non ne mancano anche in riferimento alla sua elevazione escatologica.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Ascoltare vigilanti la parola di Dio – «Veglia, quindi, in questa notte, tanto il mondo ostile, quanto il mondo riconciliato. Questo, veglia per lodare, liberato, il proprio medico; quello, condannato, per abbandonarsi alla bestemmia. Veglia questo, fervido e luminoso nei pii pensieri; quello digrignando i denti e struggendosi per la rabbia. Finalmente, a questo la carità, a quello l’iniquità; a questo il cristiano vigore, a quello il diabolico livore, mai permetterebbero di dormire in questa solennità. Persino dai nostri incoscienti nemici, veniamo dunque ammoniti circa il modo di vegliare per noi, se, a nostro vantaggio, vegliano financo coloro che ci invidiano. Questa notte, nondimeno, di tutti coloro che in alcun modo sono segnati nel nome di Cristo, tanti per dolore, molti per pudore, alcuni, poi, che, avvicinandosi alla fede, già più non dormono per timore di Dio. In diversi modi li eccita invero questa solennità. Come dunque deve vegliare, nella gioia, l’amico di Cristo, allorché veglia, nel dolore, persino il nemico? Quanto conveniente, per chi è entrato a far parte di questa grande casa, è il vegliare in questa sua grande festività, allorché già veglia chi si dispone ad entrarvi! Vegliamo, dunque, e preghiamo, per solennizzare dentro e fuori questa vigilia. Dio ci parli nelle sue letture; a Dio parliamo nelle nostre orazioni. Se ascoltiamo obbedienti le sue parole, in noi abita colui che preghiamo» (Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Quando verrà il regno di Dio? – Questo brano evangelico, che è proprio di Luca, mette in evidenza due predizioni: la rovina di Gerusalemme (Lc 21,6-24) e il ritorno glorioso di Gesù alla fine dei tempi (Lc 17,22-37). Ma prima che tutto ciò si compia è necessario che il Figlio dell’uomo soffra molto e venga rifiutato da questa generazione. La venuta del Figlio di Dio sarà come la folgore, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno: il giorno del Signore sta ad indicare un intervento di Dio nella storia dell’uomo. Durante l’esilio, il giorno del Signore diventa oggetto di speranza; l’ira di Dio si rivolge contro tutti gli oppressori d’Israele, segnando in questo modo la restaurazione d’Israele. Dopo l’esilio, il giorno del Signore tende a diventare un giudizio che assicura il trionfo dei giusti e la rovina dei peccatori (cfr. Ml 3,19-23; Gb 21,30; Pr 11,4), in una prospettiva chiaramente universalistica (Is 26,20-27,1; 33,10-16). In questa luce possiamo cogliere anche un invito ad una intelligente vigilanza, per non andare dietro a spregiudicati imbonitori, e per non farsi cogliere impreparati.
Santo del giorno: 15 Novembre – Sant’Alberto Magno, Vescovo e dottore della Chiesa: Nacque in Germania verso il 1200. Molto giovane venne in Italia per studiare le arti a Padova e forse anche a Bologna e Venezia. Durante il soggiorno nella penisola conobbe i domenicani, dai quali fu inviato a Colonia per la formazione religiosa e per lo studio della teologia. Approdò infine a Parigi dove tenne la cattedra di teologia per tre anni, durante i quali ebbe un allievo d’eccezione: Tommaso d’Aquino. Rimandato dai superiori a Colonia per fondarvi lo studio teologico, portò con sé Tommaso con il quale avviò un progetto molto ambizioso: il commento dell’opera di Dionigi l’Areopagita e degli scritti filosoficonaturali di Aristotele. Alberto vedeva il punto d’incontro di questi due autori nella dottrina dell’a-nima. Posta da Dio nell’oscurità dell’essere umano (Dionigi), secondo Aristotele l’anima si esprime nella conoscenza e negli aspetti pratici dell’esistenza umana. In questo agire complesso e meraviglioso, essa svela la sua origine divina. Alberto dava così avvio all’orientamento mistico nel suo ordine che sarà sviluppato da maestro Eckhart, mentre la ricerca filosofico-teologica verrà proseguita da san Tommaso. Grande studioso delle scienze naturali, Alberto non rifuggì dagli incarichi pastorali. Fu provinciale dell’ordine domenicano per il nord della Germania, per breve tempo vescovo di Ratisbona, partecipò al concilio di Lione. Il «dottore universale» morì nel 1280.
Preghiamo: Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…