10 Novembre 2018 – Sabato, XXXI del Tempo Ordinario – San Leone Magno (Memoria) – (Fil 4,10-19; Sal 111[112]; Lc 16,9-15) – I Lettura: Nell’atto stesso di accettare dai Filippési le loro offerte di aiuto, più per il significato di amore che esse hanno, che per «bisogno», Paolo tiene a sottolineare ancora una volta la sua norma di condotta, affermando, con un punta di orgoglio personale, di essere stato iniziato a tutto. L’apostolo reclama questa sua autarchia non con l’ambiziosa autosufficienza degli stoici contemporanei, ma perché la sua forza gli viene da dentro: «Tutto posso in colui che mi dà la forza»: la forza interiore che gli proviene da Cristo e che lo rende capace di osare tutto. Vangelo: Dio esige di essere amato con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza e con tutta la mente (cfr. Lc 10,27). Ma, come l’esperienza insegna, anche mammona, che è la sete sfrenata del possesso, s’impadronisce completamente dell’uomo e diventa il suo Dio. Nel desiderio delle ricchezze si nasconde il pericolo che esse tolgano all’uomo la libertà di seguire la voce di Dio che lo chiama costantemente alla sequela della sua divina volontà.
Se non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole».
Riflessione: Benedetto XVI (Omelia, 23 settembre 2007) – Anche oggi, attraverso una parabola che provoca in noi una certa meraviglia perché si parla di un amministratore disonesto che viene lodato (cfr. Lc 16,1-13), il Signore ci riserva un serio e quanto mai salutare insegnamento. Come sempre il Signore trae spunto da fatti di cronaca quotidiana: narra di un amministratore che sta sul punto di essere licenziato per disonesta gestione degli affari del suo padrone e, per assicurarsi il futuro, cerca con furbizia di accordarsi con i debitori. È certamente un disonesto, ma astuto: il Vangelo non ce lo presenta come modello da seguire nella sua disonestà, ma come esempio da imitare per la sua previdente scaltrezza. La breve parabola si conclude infatti con queste parole: «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza». Ma che cosa vuole dirci Gesù con questa parabola? La vita è in verità sempre una scelta: tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male. Incisiva e perentoria la conclusione del brano evangelico: «Nessun servo può servire a due padroni». È necessaria quindi una decisione fondamentale tra Dio e mammona, è necessaria la scelta tra la logica del profitto come criterio ultimo nel nostro agire e la logica della condivisione e della solidarietà… In fondo si tratta della decisione tra l’egoismo e l’amore, tra la giustizia e la disonestà, in definitiva tra Dio e Satana. Oggi, come ieri, la vita del cristiano esige il coraggio di andare contro corrente, di amare come Gesù, che è giunto sino al sacrificio di sé sulla croce. Potremmo allora dire, che per mezzo delle ricchezze terrene dobbiamo procurarci quelle vere ed eterne: se infatti si trova gente pronta ad ogni tipo di disonestà pur di assicurarsi un benessere materiale sempre aleatorio, quanto più noi cristiani dovremmo preoccuparci di provvedere alla nostra eterna felicità con i beni di questa terra. Ora, l’unica maniera di far fruttificare per l’eternità le ricchezze e i doni personali che possediamo è di condividerle con i fratelli, mostrandoci in tal modo buoni amministratori di quanto Iddio ci affida.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Tutto posso in colui che mi dà forza – CCC 273-274: Soltanto la fede può aderire alle vie misteriose dell’onnipotenza di Dio. Per questa fede, ci si gloria delle proprie debolezze per attirare su di sé la potenza di Cristo. Di questa fede il supremo modello è la Vergine Maria: ella ha creduto che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37) e ha potuto magnificare il Signore: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome» (Lc 1,49). «La ferma persuasione dell’onnipotenza divina vale più di ogni altra cosa a corroborare in noi il doveroso sentimento della fede e della speranza. La nostra ragione, conquistata dall’idea della divina onnipotenza, assentirà, senza più dubitare, a qualunque cosa sia necessario credere, per quanto possa essere grande e meravigliosa o superiore alle leggi e all’ordine della natura. Anzi, quanto più sublimi saranno le verità da Dio rivelate, tanto più agevolmente riterrà di dovervi assentire».
Beato l’uomo che teme il Signore – Benedetto XVI (Udienza Generale, 2 Novembre 2005): Illuminati dalla fede, guardiamo all’enigma umano della morte con serenità e speranza. Secondo la Scrittura, infatti, essa più che una fine, è una nuova nascita, è il passaggio obbligato attraverso il quale possono raggiungere la vita in pienezza coloro che modellano la loro esistenza terrena secondo le indicazioni della Parola di Dio. Il salmo 111, composizione di taglio sapienziale, ci presenta la figura di questi giusti, i quali temono il Signore, ne riconoscono la trascendenza e aderiscono con fiducia e amore alla sua volontà in attesa di incontrarlo dopo la morte. A questi fedeli è riservata una “beatitudine”: «Beato l’uomo che teme il Signore» (v. 1). Il Salmista precisa subito in che cosa consista tale timore: esso si manifesta nella docilità ai comandamenti di Dio. È proclamato beato colui che «trova grande gioia» nell’osservare i comandamenti, trovando in essi gioia e pace. La docilità a Dio è, quindi, radice di speranza e di armonia interiore ed esteriore. L’osservanza della legge morale è sorgente di profonda pace della coscienza. Anzi, secondo la visione biblica della «retribuzione», sul giusto si stende il manto della benedizione divina, che imprime stabilità e successo alle sue opere e a quelle dei suoi discendenti: «Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza dei giusti sarà benedetta. Onore e ricchezza nella sua casa» (vv. 2-3; cfr. v. 9). Certo, a questa visione ottimistica si oppongono le osservazioni amare del giusto Giobbe, che sperimenta il mistero del dolore, si sente ingiustamente punito e sottoposto a prove apparentemente insensate. Bisognerà, quindi, leggere questo Salmo nel contesto globale della Rivelazione, che abbraccia la realtà della vita umana in tutti i suoi aspetti.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: L’amministratore infedele – «“Se non siete stati fedeli nei beni che vi sono estranei, chi vi darà ciò che è vostro?” [Lc 16,12]. Le ricchezze ci sono estranee, perché esse sono fuori della nostra natura: non nascono con noi, né trapassano con noi. Cristo, invece, è nostro, perché è la vita. “Così egli venne nella sua casa, e i suoi non lo ricevettero” [Gv 1,11]. Ebbene, nessuno vi darà ciò che è vostro, perché voi non avete creduto a ciò che è vostro, non l’avete ricevuto. Cerchiamo dunque di non essere schiavi dei beni che ci sono estranei, dato che non dobbiamo conoscere altro Signore che Cristo; “infatti uno è Dio Padre, da cui tutto deriva e in cui noi siamo, e uno è il Signore Gesù, per cui mezzo tutte le cose sono” [1Cor 8,6]. Ma allora? Il Padre non è Signore e il Figlio non è Dio? Certo, il Padre è anche il Signore, perché “per mezzo della Parola del Signore i cieli sono stati creati” [Sal 32,6]. E il Figlio è anche Dio, “che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli” [Rm 9,5]» (Ambrogio).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Ricchezza, traduce il greco mammóna che è una parola dall’origine aramaica dall’etimologia incerta. Alcuni studiosi hanno suggerito di collegarla alla radice ebraica ‘mn (da cui proviene il termine amen) che indica fiducia, affidamento; secondo altri è meglio collegata al termine ebraico matmon, che significa tesoro; altri ancora ritengono possa derivare dall’ebraico mun (provvedere il nutrimento). Il significato dei diversi campi semantici converge comunque nel concetto di sicurezza materiale. Se così inteso, il denaro si oppone a Dio: solo Dio può dare stabilità all’uomo. Nel giudaismo il termine s’incontra nella letteratura tardiva, inoltre in 3 parole del Signore. In Mt 6,24, mammona è quasi una persona, la potenza nemica di Dio: un compromesso tra Dio ed il possesso è in definitiva impossibile. In Lc 16,9, «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne», è un’appendice alla parabola del «fattore infedele»; il detto non spiega perciò la parabola, che significa: occorre avere in riferimento al regno di Dio una lungimirante abilità. Lc 16,9 comunque “non è di facile spiegazione: il senso probabile è questo: la «ricchezza disonesta» data in elemosina ai poveri ci procura «amici» che, finita la vita terrena, ci difenderanno davanti a Dio, facendoci accogliere nella sua dimora eterna” (La Bibbia, Via Verità e Vita). Infine, in Lc 16,11, si parla della fedeltà nelle cose grandi e nelle piccole; chi non è onesto con mammona non sarà onesto neppure sotto gli altri punti di vista. Ma al di là di queste note, senza voler scendere nei particolari, la ricchezza (mammona) e la prosperità, generalmente, erano ritenute come segni della benevolenza divina. Era comune sentire credere, anche ai tempi di Gesù, che Dio elargiva abbondanti beni ai giusti e li negava agli empi, anche se la realtà quotidiana molto spesso contraddiceva questo assunto. Quindi, la ricchezza non era ritenuta cattiva in se stessa, ma diventava malvagia invece quando invadeva il cuore dell’uomo permettendole di distorcere le relazioni con il prossimo, sopra tutto se indigente, e con Dio: «È meglio la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia, che la ricchezza con l’ingiustizia. Meglio praticare l’elemosina che accumulare oro» (Tb 12,8). In fondo nella parabola di Gesù v’è un buon monito: dobbiamo essere sempre onesti, e per essere onesti è buona cosa, e sopra tutto necessario, non farci catturare dal fascino seducente di mammona.
Santo del giorno: 10 Novembre – San Leone I, detto Magno, Papa e dottore della Chiesa: Arcidiacono (430), consigliere di Celestino I e di Sisto III, inviato da Valentino a pacificare le Gallie, venne eletto papa nel 440 circa. Fu un papa energico, avversò le sopravvivenze del paganesimo; combatté manichei e priscillanisti. Intervenne d’autorità nella polemica cristologica che infiammava l’Oriente, convocando il concilio ecumenico di Calcedonia, nel quale si proclamava l’esistenza in Cristo di due nature, nell’unica persona del Verbo. Nel 452 fu designato dal debole imperatore Valentiniano III a guidare l’ambasceria romana inviata ad Attila. I particolari della missione furono oscuri: è solo che il re degli Unni, dopo l’incontro con la delegazione abbandonò l’Italia. Quando Genserico nel 455 entrò in Roma, Leone ottenne dai Vandali il rispetto della vita degli abitanti, ma non poté impedire l’atroce saccheggio dell’Urbe. Dotato di un alto concetto del pontificato romano, fece rispettare ovunque la primazia del vescovo di Roma. Benedetto XIV, nel 1754 lo proclamò dottore della Chiesa. È il primo papa che ebbe il titolo di Magno (Grande).
Preghiamo: O Dio, che non permetti alle potenze del male di prevalere contro la tua Chiesa, fondata sulla roccia di Pietro, per l’intercessione del papa san Leone Magno fa’ che resti salda nella tua verità e proceda sicura nella pace…