5 Novembre 2018 – Lunedì, XXXI del Tempo Ordinario – (Fil 2,1-4; Sal 130[131]; Lc 14,12-14) – I Lettura: Il conforto della carità è l’amore di Dio che in Gesù Cristo è stato riversato sui credenti, è appunto questo senso di sollievo, di garanzia e di forza che deriva ai cristiani dall’essere uniti nella fede e nell’amore di Dio che si è manifestato e attuato in Gesù Cristo. La consolazione cristiana è la profonda consapevolezza di essere stati raggiunti dalla salvezza di Dio, una salvezza, che altro non è che la pienezza dello Spirito Santo donato ai credenti destinato a sfociare nella beatitudine eterna. Vangelo: Il messaggio della parabola insiste sulla gratuità dell’offerta del Regno e sulla necessità di un’acco-glienza pronta e senza riserve; l’iniziativa divina è irrevocabile, nonostante il rifiuto dei primi invitati, e si rivolge a tutti, anche ai più lontani. Severo è invece l’ammonimento per coloro che hanno trascurato l’invito, poiché si mette in chiaro che non ci sono possibilità di aggiustamento, quando si vuole partecipare alla festa soltanto alla fine, dopo aver sbrigato i propri affari.
Non invitare i tuoi amici, ma poveri, storpi, zoppi e ciechi – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù disse poi al capo dei farisei che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Riflessione: Quando offri un pranzo o una cena – Giovanni Paolo II (Omelia, 31 Agosto 1986): Gesù… partecipando a un pranzo in casa di uno dei capi dei farisei, coglie l’occasione per insegnare ad essere umili. Ci dice di scegliere l’ultimo posto, di accontentarci del poco, di cercare non l’appariscenza del sembrare, ma la realtà dell’essere. Davanti a Dio siamo nulla; e anche davanti agli uomini siamo ben poco, anzi diventiamo ridicoli, persino miserevoli se prendiamo pose e atteggiamenti di autosufficienza, di vanagloria. Gesù, però, non vuole soltanto suggerire delle indicazioni di buona educazione e di comportamento avveduto; egli vuole soprattutto quadrare la mente, e dare idee grandi e luminose per la nostra vita. Egli infatti soggiunge: “Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11). Questo talvolta può già avvenire su questa terra, in questa nostra vita; ma ciò è secondario. Essenziale è che l’umile sarà esaltato in cielo da Dio stesso. “Vuoi essere grande?”, chiedeva sant’Agostino; e rispondeva: “Comincia dalle cose più piccole. Vuoi innalzare una costruzione di grande altezza? Prima pensa al fondamento della bassezza” (Sermo 69,1,2). Se vogliamo veramente costruire l’edificio della nostra santificazione, bisogna fondarlo sull’umiltà. Gesù ci è di modello. Egli, come dice san Paolo, “pur essendo di natura divina… spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo…; umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,6-8). Come non sentirsi, come non essere piccoli e umili davanti al mistero dell’incarnazione e della redenzione, davanti al Figlio di Dio che vagisce a Betlemme, che si avvolge di silenzio a Nazaret, che vive un’esistenza di povero, che muore su una nuda croce? È Gesù il primo, il vero umile, l’unico che ha veramente glorificato Dio – infatti Dio è “glorificato dagli umili, ci ha ancora detto il Siracide (Sir 3,20) – perché si è umiliato in tutta la sua esistenza, pur manifestando vittoriosamente la sua potenza di Signore, ed è stato ciò che egli stesso si è definito: ‘mite e umile di cuore’ (Mt 11,29). “Sei tu, Signore, il Padre degli umili”.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Non fate nulla per rivalità o vanagloria – CCC 1749: La libertà fa dell’uomo un soggetto morale. Quando agisce liberamente, l’uomo è, per così dire, padre dei propri atti. Gli atti umani, cioè gli atti liberamente scelti in base ad un giudizio di coscienza, sono moralmente qualificabili. Essi sono buoni o cattivi.
Signore, non si inorgoglisce il mio cuore – Benedetto XVI (Udienza Generale, 10 Agosto 2005): Il Salmo si apre con la descrizione dell’atteggiamento antitetico rispetto a quello dell’infanzia, la quale è consapevole della propria fragilità, ma fiduciosa nell’aiuto degli altri. Di scena, nel Salmo, sono invece l’orgoglio del cuore, la superbia dello sguardo, le «cose grandi e superiori» (cfr. Sal 130,1). È la rappresentazione della persona superba, che viene tratteggiata mediante vocaboli ebraici indicanti «altezzosità» ed «esaltazione», l’atteggiamento arrogante di chi guarda gli altri con senso di superiorità, ritenendoli inferiori a se stesso. La grande tentazione del superbo, che vuol essere come Dio, arbitro del bene e del male (cfr. Gen 3,5), è decisamente respinta dall’orante, il quale opta per la fiducia umile e spontanea nell’unico Signore.
Gesù modello di umiltà – CCC 520: Durante tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello: è «l’uomo perfetto» che ci invita a diventare suoi discepoli e a seguirlo; con il suo abbassamento, ci ha dato un esempio da imitare, con la sua preghiera, attira alla preghiera, con la sua povertà, chiama ad accettare liberamente la spogliazione e le persecuzioni.
Quando offri un banchetto, invita i poveri – CCC 1397: L’Eucaristia impegna nei confronti dei poveri. Per ricevere nella verità il Corpo e il Sangue di Cristo offerti per noi, dobbiamo riconoscere Cristo nei più poveri, suoi fratelli: «Tu hai bevuto il Sangue del Signore e non riconosci tuo fratello. […] Tu disonori questa stessa mensa, non giudicando degno che condivida il tuo cibo colui che è stato ritenuto degno di partecipare a questa mensa. […] Dio ti ha liberato da tutti i tuoi peccati e ti ha invitato a questo banchetto. E tu, nemmeno per questo, sei divenuto più misericordioso».
Umiltà, docilità e fiducia – Catechismo degli Adulti 814: Se vivere da figli di Dio è cooperare con lo Spirito, la nostra attenzione a lui si sostanzia di umiltà, docilità e fiducia. Umili, perché senza di lui «niente è nell’uomo, niente senza colpa»; docili, perché è lui che conosce i «benevoli disegni» (Fil 2,13) del Padre; fiduciosi, anzi audaci, perché possiamo confidare in una riserva infinita di energia: «L’umile trova tutto il coraggio nella sua incapacità: più si sente debole e più diventa intraprendente, perché tutta la sua fiducia è riposta in Dio, che si compiace di manifestare la sua potenza nella nostra debolezza». Credere nello Spirito è credere nella sua inesauribile creatività e nelle possibilità del nostro futuro.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «La carità ci viene ordinata, quando ci viene detto: “Amate i vostri nemici” [Lc 6,27], e così si realizza quella parola della Chiesa di cui abbiamo parlato prima: “Ordinate in me la carità” [Ct 2,4], poiché la carità viene ordinata quando sono formulati i precetti della carità stessa. Osserva come si cominci dalle cose più elevate, e si volga le spalle alla legge dopo le beatitudini. La legge comanda il ricorso alla vendetta [cfr. Es 21,23-26]; il Vangelo richiede per i nemici carità, bontà per l’odio, benedizioni per le maledizioni, invita a dare soccorso a chi ci perseguita, diffonde la pazienza tra gli affamati e la grazia della rimunerazione. Quanto è più perfetto di un atleta colui che non si risente per l’offesa. E, per non apparire come il distruttore della legge, il Signore ordina per le buone azioni la reciprocità che invece proibisce per le offese. Tuttavia, dicendo: “E come volete che gli uomini facciano a voi, cosi fate voi a loro” [Lc 6,31], mostra che il bene reso è maggiore, in quanto il valore dell’altro è adeguato alle intenzioni. Il cristiano si è formato a questa buona scuola e, non soddisfatto del diritto della natura, ne cerca anche la grazia. Se tutti anche i peccatori, sono d’accordo nel ricambiare l’affetto, colui che ha convinzioni più elevate deve applicarsi con maggiore generosità all’esercizio della carità, al punto da amare anche coloro che non lo amano. Infatti, benché l’assenza di ogni titolo a essere amati escluda l’esercizio dell’amore, non tuttavia esclude l’esercizio della virtù. E come tu ti vergogneresti di non ricambiare l’amore a uno che ti ama, e per ricambiare il bene ricevuto ti metti ad amare, così per virtù devi amare chi non ama, affinché, amando, per virtù, tu incominci ad amare chi non amavi. Poiché, mentre è futile e vuota la ricompensa dell’affetto, duratura è la ricompensa della virtù» (Sant’Ambrogio).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: «Gesù sta mangiando a casa di un fariseo che lo ha invitato [Lc 14,1]. L’ invito a tavola è il tema dell’insegnamento del vangelo di oggi. Ci sono diversi tipi di invito: inviti interessati a beneficio di sé stessi ed inviti disinteressati a beneficio di altri. Gesù dice: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio”. L’usanza comune della gente era questa: invitavano a mangiare amici, fratelli e parenti. E nessuno si sedeva a tavola con persone sconosciute. Ci si siede attorno al tavolo solo con persone amiche! Ecco l’usanza tra i giudei. E ancora oggi noi agiamo così. Gesù pensa in modo diverso ed ordina di invitare gente sconosciuta, inviti che nessuno soleva fare. Gesù dice: “Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai, infatti, la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”. Gesù ordina di rompere il circolo chiuso e chiede di invitare gli esclusi: poveri, storpi, zoppi e ciechi. Non era questa l’usanza, e non lo è tuttora. Ma Gesù insiste: “Invita queste persone!”. Perché? Perché nell’invito disinteressato, diretto a persone escluse ed emarginate, c’è una sorgente di felicità: “E sarei beato perché non hanno da ricambiarti”. Strana felicità, felicità diversa! Tu sarai felice perché non hanno da ricambiarti. È la felicità che nasce dal fatto che tu hai compiuto un gesto di totale gratuità. Un gesto di amore che vuole il bene dell’altro e per l’altro, senza aspettarsi nulla in cambio. È la felicità di chi fa le cose gratuitamente, senza chiedere nessuna ricompensa. Gesù dice che è questa la felicità che Dio ci darà nella risurrezione. Risurrezione, non solo alla fine della storia, ma fin d’ora» (ocarm.org/it).
Santo del giorno: 5 Novembre – San Guido Maria Conforti, Vescovo e fondatore: I malanni fisici che lo afflissero sin da ragazzo (era nato a Parma nel 1865) impedirono a Guido Maria Conforti di seguire la strada che il padre voleva per lui (dirigente agricolo), ma anche la via della missione «ad gentes». Non per questo il fondatore dei Saveriani si perse d’animo. Acquistò una casa per formare giovani missionari. Nacque così la «Pia società saveriana». I primi Saveriani andarono in Cina nel 1899. La missione fu stroncata nel sangue dalla rivolta dei Boxers. Ma non si fermarono. Conforti era intanto divenuto, nel 1902, arcivescovo di Ravenna. Dovette, però, lasciare due anni dopo per gravi motivi di salute. In seguitò migliorò, tanto che il Papa lo mandò vescovo a Parma, diocesi di cui era stato già vicario generale. La resse per 25 anni, compiendo ben 5 visite pastorali nelle 300 parrocchie. Andò a trovare anche i missionari nel Celeste Impero. Morì nel 1931. È beato dal 1996 e santo dal 2011.
Preghiamo: Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo…