30 Ottobre 2018 – Martedì, XXX del Tempo Ordinario – (Ef 5,21-33; Sal 127[128]; Lc 13,18-21) – I Lettura: Tema di oggi è l’umiltà, non vissuta nelle grandi occasioni, ma nella vita quotidiana e nei rapporti familiari. I rapporti tra marito e moglie devono avere come punto di riferimento la carità e l’amore di Cristo per la sua Chiesa. La sottomissione non è sinonimo di asservimento, ma attitudine all’ascolto e all’obbedienza a Dio. Vangelo: Alcuni episodi di vita umile quotidiana: il lavoro dell’uomo nel campo che getta un granellino minuscolo nella terra, la donna che mette una quantità minima di lievito in una grande quantità di farina. Azioni quasi insignificanti che però porteranno gioia e ristoro alla famiglia e a quanti stanno intorno. Così si costruisce il regno di Dio: attraverso gesti umili che portano l’intrinseco potere della Carità.
Il granello crebbe e divenne un albero – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami». E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Riflessione: «È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina». Ci siamo spesso soffermati sulla potenza della preghiera, e anche in questi giorni abbiamo riflettuto sull’importanza e sulla potenza della nostra fede: è la fede che ridona la vista al cieco Bartimèo, è l’ascolto della Parola e l’apertura del cuore che raddrizza la donna nella sinagoga. La preghiera è potente quando affonda le sue radici in un cuore aperto alla Parola di Dio, capace di ascolto, pronto a lasciare ogni cosa pur di esaudire e realizzare la volontà salvifica di Dio. La preghiera è potente quando scorre attraverso i canali della fede e della speranza in Dio, quando ci affidiamo a Dio e ci abbandoniamo in lui: «Padre… non come voglio io ma come vuoi tu!» (Mt 26,39). La preghiera è potente quando è spinta non dalle nostre voluttà ma dalla voce dello Spirito che prega in noi, e in noi chiede al Padre ciò che maggiormente giova alla nostra santità (cfr. Rm 8,26). Ed è la preghiera che ci fa invocare, sull’insegnamento del Maestro, la venuta del Regno di Dio. Ogni volta che alziamo la nostra voce al Cielo, invochiamo il suo regno in noi, nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nel mondo intero. «Venga il tuo regno» (Mt 6,10). Quando la richiesta nasce da un cuore puro, amante, forte, allora tale richiesta è certa del suo esaudimento. Sì, siamo chiamati ad invocare la venuta del suo regno di giustizia e di pace in noi, ma siamo anzitutto chiamati a deporre dalla nostra vita ogni altro sovrano: «Il peccato non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri» (Rm 6,12). Questo perché «chiunque commette il peccato è schiavo del peccato» (Gv 8,34). Invochiamo con fiducia il regno di Dio, ed egli viene e regna, ma non con potenza, sottomettendoci con forza, incutendo terrore: come il lievito nella farina, Dio viene in noi con la potenza dello Spirito Santo, pianta la sua tenda in noi (cfr. Gv 1,14), a poco a poco ci fermenta, ci fa lievitare: dove, come… Lui lo sa! Nel silenzio, come la pasta che gonfia lentamente al buio, lo Spirito agisce in noi, ci rende pane buono, ci rende come Dio! Lasciamo agire lo Spirito per non essere più azzimi, ma pasta nuova (cfr. 1Cor 5,7).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Il regno di Dio è simile… – Mons. Vincenzo Paglia (Omelia, 30 Ottobre 2007): Di fronte alla crescente opposizione nei confronti di Gesù possono nascere dubbi sul successo della sua missione. Insomma, ci si potrebbe chiedere: il Vangelo non è troppo debole per un mondo così forte? Non è troppo semplice per un mondo sempre più complesso? Di fronte a questi dubbi, possiamo ascoltare queste due parabole, quella del granello di senapa e quella del lievito nella pasta. Il regno di Dio, ossia il mondo di pace e di amore, di giustizia e di misericordia, che Dio vuole realizzare, inizia, appunto, come un seme o come un lievito. Certo, è importante che il seme penetri nel terreno e che il lievito sia mescolato nella pasta. Ma ambedue, se conservano la loro forza e la loro energia, se non sono cioè affievoliti dalla nostra pigrizia e dal nostro egocentrismo, daranno frutto. Il seme produrrà un albero grande e il lievito fermenterà la pasta del mondo. Tanti potranno ristorarsi all’ombra dell’albero dell’amore e tanti potranno sfamarsi con il pane della misericordia. Ma il sale deve restare salato e il lievito integro: il Vangelo è efficace se comunicato “senza aggiunte”, come ci ricorda Francesco d’Assisi.
Il regno di Dio – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 4 Novembre 1987): Il definitivo mandato, che Cristo crocifisso e risorto dà agli apostoli (cfr. Mt 28,18-20), è stato da lui preparato sotto tutti gli aspetti. Momento-chiave della preparazione è stata la vocazione degli apostoli: “Costituì Dodici che stessero con lui anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni” (Mc 3,14-15). In mezzo ai Dodici, Simon Pietro diventa destinatario di uno speciale potere in ordine al regno: “E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,18-19). Chi parla in questo modo, si dimostra convinto di possedere il regno, di averne la sovranità totale, e di poterne affidare le “chiavi” a un suo rappresentante e vicario, come e più ancora di quello che farebbe un re della terra con un suo luogotenente o primo ministro. Questa evidente convinzione di Gesù spiega perché egli, durante il suo ministero, parli della sua opera presente e futura come di un nuovo regno introdotto nella storia umana: non solo come verità annunciata ma come realtà viva, che si sviluppa, cresce e fermenta tutta la pasta umana, come leggiamo nella parabola del lievito (cfr. Mt 13,33; Lc 13,21). Questa e le altre parabole del regno (cfr. Mt 13) attestano come questa sia stata l’idea centrale di Gesù, ma anche la sostanza della sua opera messianica, che egli vuole si prolunghi nella storia, anche dopo il suo ritorno al Padre, mediante una struttura visibile che fa capo a Pietro (cfr. Mt 16,18-19).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Simile a un granellino di senapa, che un uomo ha preso e gettato nell’orto: «Secondo voi, a proposito di quanto dice il Vangelo: “Un uomo l’ha preso e gettato nell’orto”, chi è quest’uomo che ha seminato il seme ricevuto, come un grano di senape nel suo piccolo orto? Io penso che è colui di cui il Vangelo dice: “C’era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, che era di Arimatea… Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto” [Lc 23,50-53]. È il motivo per cui la Scrittura dice: “Un uomo l’ha preso e gettato nell’orto”. Nell’orto di Giuseppe c’era il profumo di vari fiori, ma un granello simile non c’era mai stato deposto. L’orto spirituale della sua anima era pieno del profumo delle sue virtù, ma Cristo imbalsamato non c’era ancora. Dando sepoltura al Salvatore nella tomba del suo orto, egli l’ha accolto più profondamente nel suo cuore» (San Massimo di Torino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Paolo mette a confronto due coppie: quella degli sposi cristiani e la coppia Cristo-Chiesa. È da questo confronto che scaturiscono i consigli rivolti ai mariti e alle mogli cristiani. L’Apostolo è figlio del suo tempo e la morale familiare di Efesini potrebbe sembrare oggi anacronistica. In verità, noi, «critici verso questa cultura maschilista e coscienti del valore analogico della corrispondenza, affermata dall’Apostolo, tra la coppia sponsale umana e la coppia Cristo Chiesa, potremmo tradurre l’esortazione suddetta così: mariti e mogli amatevi come Cristo ha amato noi e ha dato la sua vita per noi; mogli e mariti, la fiducia regni nei vostri rapporti come la Chiesa ha fiducia in Cristo» (D. E.- G. B.). Ma nonostante tutto nell’insegnamento di Paolo risuona tutta la sacralità e la inviolabilità della famiglia, valori oggi largamente perduti: noi figli del nostro tempo abbiamo reso il matrimonio instabile perché lo abbiamo aperto a tutti quei venti di novità, aborto, divorzio, coppie di fatto…, che dai soliti saloni vengono spacciati per conquiste. Non è un’esagerazione affermare che la famiglia della società odierna è sgangherata, se non addirittura disgregata. A ciò hanno contribuito, e contribuiscono diverse componenti, quali la ricerca smodata del benessere, e la corsa verso il consumismo. In tale contesto molte volte gli anziani finiscono per diventare un ingombro e i figli sono spesso visti più come un peso che come un dono di Dio. Quando si celebrò il Concilio Vaticano II le problematiche che oggi ingarbugliano la famiglia erano già allora emergenti; ebbene con coraggio, i Padri Conciliari, davanti ai germi, di dissoluzione del matrimonio e della famiglia, espressero chiaramente le loro preoccupazioni: «Non dappertutto la dignità di questa istituzione brilla con identica chiarezza perché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni. Per di più l’amore coniugale è molto spesso profanato dall’egoismo, dall’edonismo e da usi illeciti contro la generazione. Inoltre le odierne condizioni economiche, socio-psicologiche e civili portano turbamenti non lievi nella famiglia. E per ultimo in determinate parti del mondo si avvertono non senza preoccupazioni i problemi posti dall’incremento demografico. Da tutto ciò sorgono difficoltà che angustiano le coscienze. Tuttavia il valore e la solidità dell’istituto matrimoniale e familiare prendono risalto dal fatto che le profonde mutazioni dell’odierna società, nonostante le difficoltà che con violenza ne scaturiscono, molto spesso rendono manifesta in maniere diverse la vera natura dello stesso istituto» (GS 47). A queste preoccupazioni si aggiungono gli effetti devastanti dell’ateismo imperante e delle forme di organizzazione sociale occidentali che risentono palesemente dell’influenza comunista. La Chiesa, i cristiani, ogni tanto dovrebbero avere il coraggio di Gesù, perché, come diceva W. Churchill, «il coraggio è la prima delle qualità umane, perché è quella che garantisce le altre». Dove manca il coraggio c’è il diluvio!
Santo del giorno: 30 Ottobre – Sant’Angelo d’Acri (Lucantonio Falcone), Sacerdote cappuccino: Lucantonio Falcone nacque ad Acri (Cosenza) il 19 ottobre 1669. La sua famiglia, molto religiosa, non contrastò il suo ingresso tra i Cappuccini, avvenuto a diciannove anni; tuttavia, pochi mesi dopo, il giovane lasciò il convento, in preda ai dubbi. Ottenne di essere riammesso, ma uscì nuovamente: se la prima volta fu perché pensava di doversi sposare, la seconda fu perché non si riteneva degno della vocazione. Infine rientrò per una terza e definitiva volta: con la professione religiosa, cambiò nome in fra Angelo e divenne sacerdote nel 1700. Secondo i suoi biografi, fu angelo di nome e di fatto: la sua predicazione, improntata al linguaggio semplice dei popolani del Regno di Napoli, era convincente al pari delle guarigioni miracolose attribuite alla sua intercessione. Oggetto di vessazioni diaboliche, reagiva con le armi della penitenza, ma anche di un formidabile umorismo. Morì ad Acri il 30 ottobre 1739.
Preghiamo: Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi. Per il nostro Signore Gesù Cristo…