17 Ottobre 2018 – Mercoledì, XXVIII del Tempo Ordinario – Sant’Ignazio di Antiochia (Memoria) – (Gal 5,18-25; Sal 1; Lc 11,42-46) – I Lettura: “Questa lista di vizi e di virtù era comune nel mondo antico. Paolo oppone le opere della carne al frutto dello Spirito. Unico brano che tratta del frutto dello Spirito, anche se Paolo si serve di metafore simili anche altrove. Questa lista – che pone in luce gli atteggiamenti e le azioni che migliorano i rapporti personali – va in parallelo con quella dei vizi contenuta nei versetti precedenti” (Il Nuovo Testamento, ed. Paoline). Vangelo: “Secondo Dt 14,22 si deve prelevare la decima da tutto il frutto della tua semente, che il campo produce ogni anno. Per i farisei non era lecito mangiare un alimento da cui non fosse stata prelevata la decima; assolto quest’obbligo, il fedele prendeva il cibo come un sacerdote, avvicinandosi così all’ideale di santità” (Bibbia Via, Verità e Vita, nota). Guai a voi, farisei; guai a voi, dottori della Legge –
Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo». Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».
Riflessione: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima… su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio». Anche oggi la Parola di Dio ci invita ad entrare nel santuario della nostra coscienza affinché, esaminandola alla luce della divina Sapienza, possiamo accorgerci dei mali che ci impediscono di procedere lestamente verso la perfezione della santità. Una serie di guai, pronunciati con veemenza, senza falsi buonismi, da parte del Cristo e rivolti agli scribi e a i farisei (e in loro possiamo ritrovarci certamente ciascuno di noi). Una denuncia ferma che, lungi dall’essere maleducata o violenta, smaschera gli atteggiamenti falsi e induce i cuori alla conversione. Sentiamo rivolte a noi tali parole, non perché siamo chiamati a pagare la decima di quanto possediamo o produciamo, ma perché anche noi rischiamo, come i farisei, di sentirci a posto solo per aver eseguito una serie di dettami della Legge, solo per aver osservato i Comandamenti e praticato alcune pratiche religiose. Ed ecco che inizia il nostro esame di coscienza! Facciamolo insieme: anzitutto, da dove iniziamo? Dovremmo iniziare dai peccati commessi! Ma quali sono questi peccati? Partiamo da quelli più gravi! Gravi? Non abbiamo ammazzato né rubato! Chiuso il capitolo e andiamo oltre! Passiamo dunque a quelli veniali: ne abbiamo commessi? Forse qualcuno… ma non per colpa nostra. Se abbiamo detto una bugia è per coprire un nostro caro…; se abbiamo sparlato è perché ci si ritrovava con amici e loro hanno iniziato il discorso e… che dovevo fare; se ci siamo arrabbiati… ma in fondo avere quel vicino, quella suocera, quel marito… non è facile: si arrabbierebbero anche gli angeli! E chiudiamo anche il capitolo dei peccati veniali. Altro? Qualche imperfezione? Forse… ma se c’è stato non ce ne siamo resi conto o non lo abbiamo fatto apposta! A Messa ci siamo andati, il Rosario l’abbiamo detto… Fine dell’esame di coscienza! E i guai? Per chi sono? Per gli altri! Forse un giorno ci accorgeremo che le domande che ci verranno fatte sono altre: “Come hai usato i doni che ti ho dato? Hai amato i nemici? Hai pregato per i tuoi persecutori? Sei stato mite, operatore di pace, puro… Hai amato come me?”. E speriamo di non dover ascoltare altri guai!
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Guai a voi farisei… – CCC 579: Il principio dell’integralità dell’osservanza della Legge, non solo nella lettera ma nel suo spirito, era caro ai farisei. Mettendolo in forte risalto per Israele, essi hanno condotto molti ebrei del tempo di Gesù a uno zelo religioso estremo. E questo, se non voleva risolversi in una casistica «ipocrita», non poteva che preparare il popolo a quell’inaudito intervento di Dio che sarà l’osservanza perfetta della Legge da parte dell’unico Giusto al posto di tutti i peccatori. Guai a voi, farisei… Guai anche a voi, dottori della Legge – Mons. Gianfranco Ravasi, Vescovo: Ouai in greco, hoi in ebraico, vae in latino, woe in inglese, wehe/weh in tedesco, guai in italiano: è analogo in molte lingue – anche differenti nella loro genesi – il monito minaccioso caratterizzato da una sonorità quasi onomatopeica. Impressiona veder affiorare sulle labbra di Gesù una sequenza di tali maledizioni con invettive fin pittoresche, simili a quelle scagliate dai profeti contro la corruzione e le ingiustizie del loro tempo (si legga, per esempio, Is 5,8-24). Nel cap. 23 di Matteo questi “guai!” si compongono in un settenario che colpisce «scribi e farisei ipocriti». Il filo conduttore di queste imprecazioni è appunto l’ipocrisia, il bersaglio frequente degli strali di Gesù. Egli è generoso, misericordioso, paziente con ogni genere di peccatori. Ciò che non tollera è l’uso della religione a proprio vantaggio, è l’ammantarsi con pratiche esteriori per nascondere vizi privati, è l’ostentazione rituale che cela un inganno nei confronti del prossimo, è la falsa giustizia che è legalismo oppressivo. L’immagine più folgorante è il sepolcro ornato e dipinto che custodisce nel suo intimo «ossa di morti e marciume» (Mt 23,27-28). L’“inciampo” che queste parole di Cristo possono creare è nella loro veemenza che ricalca la voce del Battista: «Serpenti, razza di vipere» (si veda Mt 3,7). Ma Gesù non aveva invitato ad amare il proprio nemico? Non si era definito «mite e umile di cuore»? Non aveva esortato a porgere l’altra guancia? Certo, qui siamo di fronte a un peccatore che nega di essere tale, anzi, è pronto a giustificarsi fino a ergersi a modello di virtù, senza lasciarsi scalfire dall’autocritica e tantomeno dal desiderio di conversione. Rimane, però, lo “scandalo” del tono violento, pur riconoscendo l’enfasi tipica dello stile semitico, così come impressiona la reazione di “insopportabilità” quasi intollerante per un tale peccato da parte di Gesù: «Voi colmate la misura dei vostri padri!», esclama dopo aver accusato gli scribi e i farisei di essere complici dell’assassinio dei profeti (23,29-32). Ebbene, la dimensione etica di questo atteggiamento di Cristo è da individuare nella distinzione tra ira e sdegno. L’ira, la collera, la rabbia furiosa costituiscono uno dei sette vizi capitali, denominato appunto “ira”, vizio pericoloso e deleterio che sconfina nell’aggressione dell’altro e nell’odio. Lo sdegno è, invece, lo schierarsi appassionato contro l’ingiustizia, il male, l’ipocrisia, ed è una virtù. La meta che Gesù vuole raggiungere è indurre alla nausea e al rigetto nei confronti della degenerazione della religione e l’esaltazione di una fede autentica, libera, operosa.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Le opere della carne – è facile scoprirle – sono la fornicazione e tutto il resto, tanto le altre che elenca subito appresso quanto quelle che lascia sottintendere, specialmente nelle parole: e altre cose simili. Volendo poi presentare in detta battaglia un’altra armata, di ordine, per così dire, spirituale, in lotta contro quella specie di esercito carnale, soggiungeva: Frutto dello Spirito sono la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la fedeltà, la dolcezza, la continenza. Contro virtù di questo genere non c’è legge [che tenga]. Non dice “contro queste”, perché non si pensasse che siano esse sole [per quanto anche se avesse detto così, avremmo potuto intendere tutti i valori che rientrano in tali categorie]; ma dice: Contro virtù di questo genere, cioè contro queste e contro tutte le altre simili a queste. Nella serie dei beni che ha ricordato, la continenza … viene posta per ultima. È perché vuole che essa resti, fra tutte, la più impressa nella nostra mente. Difatti, nella guerra che lo spirito combatte contro la carne, essa è d’importanza capitale, poiché è essa che, in certo qual modo, affigge alla croce le concupiscenze carnali. Soggiungeva infatti l’Apostolo, dopo le precedenti affermazioni: Quelli che appartengono a Gesù Cristo crocifiggono la loro carne con le sue passioni e concupiscenze. Ecco l’azione della continenza: mortificare le opere della carne. Le quali opere carnali, viceversa, sono esse a infliggere la morte a quanti, credendosi dispensati dalla continenza, si lasciano indurre dalla concupiscenza a consentire e a tradurre in atto le opere del male» (Sant’Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: * Sant’Ignazio d’Antiochia – Benedetto XVI (Udienza Generale, 14 Marzo 2007): Ignazio è veramente il «dottore dell’unità»: unità di Dio e unità di Cristo (a dispetto delle varie eresie che iniziavano a circolare e dividevano l’uomo e Dio in Cristo), unità della Chiesa, unità dei fedeli «nella fede e nella carità, delle quali non vi è nulla di più eccellente» (Smirnesi 6,1). In definitiva, il «realismo» di Ignazio invita i fedeli di ieri e di oggi, invita noi tutti a una sintesi progressiva tra configurazione a Cristo (unione con Lui, vita in Lui) e dedizione alla sua Chiesa (unità con il Vescovo, servizio generoso alla comunità e al mondo). Insomma, occorre pervenire a una sintesi tra comunione della Chiesa all’interno di sé e missione-proclamazione del Vangelo per gli altri, fino a che attraverso una dimensione parli l’altra, e i credenti siano sempre più «nel possesso di quello Spirito indiviso, che è Gesù Cristo stesso» (Magnesi 15). ** «Io offro la mia vita per quelli che sono sottomessi al Vescovo, ai presbiteri e ai diaconi. Possa io con loro avere parte con Dio. Lavorate insieme gli uni per gli altri, lottate insieme, correte insieme, soffrite insieme, dormite e vegliate insieme come amministratori di Dio, suoi assessori e servi. Cercate di piacere a Colui per il quale militate e dal quale ricevete la mercede. Nessuno di voi sia trovato disertore. Il vostro Battesimo rimanga come uno scudo, la fede come un elmo, la carità come una lancia, la pazienza come un’armatura» (Sant’Ignazio d’Antiochia).
Santo del giorno: 17 Ottobre – Sant’Ignazio di Antiochia, Vescovo e Martire: “Fu il terzo vescovo di Antiochia, in Siria, città che fu la terza metropoli del mondo antico – dopo Roma e Alessandria d’Egitto – e di cui san Pietro stesso era stato il primo vescovo. Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, convertendosi in età non più giovanissima. Mentre era vescovo ad Antiochia, l’Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione. Arrestato e condannato, Ignazio fu condotto, in catene, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell’Imperatore e i cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati dalle belve. Durante il viaggio da Antiochia a Roma, Ignazio scrisse sette lettere, in cui raccomandava di fuggire il peccato, di guardarsi dagli errori degli Gnostici, di mantenere l’unità della Chiesa. Di un’altra cosa poi si raccomandava, soprattutto ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non salvarlo dal martirio. Nell’anno 107 fu dunque sbranato dalle belve verso le quali dimostrò grande tenerezza. «Accarezzatele – scriveva – affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno»” (Avvenire).
Preghiamo: Dio onnipotente ed eterno, che nel sacrificio dei martiri edifichi la tua Chiesa, mistico corpo del Cristo, fa’ che la gloriosa passione che meritò a sant’Ignazio una corona immortale, ci renda sempre forti nella fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo…