Dal libro della Gènesi (2,18-24) – I due saranno un’unica carne: L’uomo, creato a coronamento della creazione, da Dio viene posto in un giardino di delizie (il paradiso). Come signore della creazione pone «nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici», ma non trova in loro «un aiuto che gli corrispondesse». Gemendo così sotto il peso della solitudine, Dio decide di dargli una compagna: lo fa addormentare e plasma «con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna». Il racconto ha un significato profondissimo: nella loro diversità sessuale l’uomo e la donna sono sullo stesso piano, godono di pari dignità. Il peccato originale verrà a turbare questa armonia, introducendo velenosamente nel cuore dell’uomo e della donna gli istinti e le passioni. Cristo, con la sua morte e la sua risurrezione, riconduce l’uomo e la donna al progetto iniziale.
Dal Salmo 127 (128) – Ci benedica il Signore tutti i giorni della nostra vita: Insegnaci a contare i nostri giorni: «Dal momento in cui ciascuno comincia a esistere in questo corpo destinato alla morte, mai in lui avviene che la morte non avanzi. È la sua mutevolezza a fare ciò, in tutto il tempo di questa vita (seppure si deve chiamar vita), cioè che egli avanzi verso la morte. Nessuno vi è che non le sia più vicino dopo un anno, di quanto non lo era un anno prima, e domani più di oggi, e oggi più di ieri, e un attimo dopo più di ora, e ora più di poco prima. Infatti qualsiasi spazio di tempo si vive, lo si toglie alla durata della vita, e ogni giorno diventa sempre meno quel che ce ne resta: perciò il tempo di questa nostra vita non è precisamente altro che una corsa alla morte, e in essa nessuno può fermarsi un istante o rallentare un poco, ma tutti vi vengono sospinti con lo stesso ritmo, vengono pressati con non diversa celerità» (Santo Agostino).
Dalla lettera agli Ebrei (2,9-11) – Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine: La parola di Dio trasmessa dai profeti, e poi dal Figlio è viva ed efficace nei credenti (cfr. 1Ts 2,13). È questa parola che giudica (cfr. Gv 12,48; Ap 19,13) i movimenti del cuore e le intenzioni segrete. La parola di Dio va accolta con animo fiducioso e docile perché essa sola può assurgere a regola di vita e luce per il cammino e solo essa dà all’uomo sicurezza verso il futuro.
Dal Vangelo secondo Marco (10,2-16) – L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto: Il brano evangelico si divide in tre parti: la prima descrive l’incontro di Gesù con un giovane ricco desideroso di ottenere la vita eterna; la seconda riporta una riflessione del Maestro a proposito delle ricchezze; la terza, Gesù, partendo da una domanda di Pietro, rivela i benefici spirituali riservati a quanti intendono seguirlo rinunciando ad ogni cosa, anche ai più naturali affetti familiari. Tre parti che in ogni caso sono unite da un unico tema: il serio pericolo che rappresentano le ricchezze per il possesso dei beni celesti.
Dal Vangelo secondo Marco
[In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».] Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
Approfondimento
La donna – A. M. Canopi (Donna, Schede Bibliche, EDB): In antico la donna appariva come una creatura enigmatica… A motivo dei suoi cicli di fecondità veniva assimilata alla terra la quale era adorata come «dea-madre». Dopo l’epoca matriarcale della civiltà agricola, si ebbe però una netta affermazione del maschio, che si pose quale soggetto sovrano della storia e impresse alla civiltà la propria fisionomia.
La donna, considerata inferiore per natura, venne tenuta in stato di soggezione. La sacra scrittura risente dell’influenza del mondo orientale, ma – al di là delle immagini di cui sono rivestiti – i dati della rivelazione presentano una concezione della donna sostanzialmente positiva.
Creata come l’uomo a immagine di Dio e messagli accanto come «aiuto a lui corrispondente», la donna inizia con l’uomo la vita sociale fondata sull’amore e sulla reciproca complementarietà. La colpa originale introduce il disordine nel rapporto della coppia umana, e la donna ne porta le conseguenze particolarmente nella sua funzione sponsale e materna; soltanto procreando nel dolore ella può assicurare la continuità della vita al genere umano sottoposto alla morte. Per divino volere, ella entra dinamicamente nel piano della salvezza e diviene un potente strumento di vittoria nelle mani di Dio.
A cominciare da Sara, sposa di Àbramo, la bibbia testimonia dell’impor-tanza decisiva che ebbe la presenza di non poche donne nella storia del popolo eletto. Insieme all’influenza benefica delle madri e delle eroine di Israele, documenta però anche l’influenza nociva delle donne straniere e perverse.
Costantemente viva si fa sentire l’esigenza, da parte dell’uomo, di trovare la donna ideale. Di questa si arriva a fare una personificazione della Sapienza. L’immagine della femminilità serve ad esprimere anche il ruolo del popolo eletto nel suo rapporto con Jahvé.
Al giungere della pienezza dei tempi, nasce Maria, la donna annunciata da Dio quale nuova Èva, madre del Salvatore, vincitore della morte. In Maria, vergine-madre, la donna è già totalmente riabilitata ed emancipata. Ma è Cristo a inaugurare storicamente la promozione di tutte le donne, mediante il suo insegnamento e ancor più mediante il suo comportamento. E ciò per il fatto stesso che egli, salvandola, promuove tutta l’u-manità.
In seno alla Chiesa primitiva la donna gode di una posizione privilegiata in confronto alla posizione che ha nell’ambito giuridico-sociale del mondo pagano, ancora impregnato degli antichi pregiudizi. Tra i battezzati, rinati in Cristo, non conta più, infatti, la distinzione di sesso. La donna, insieme con l’uomo, è chiamata all’eredità della vita eterna; ed ella può realizzarsi pienamente quale persona anche al di fuori del matrimonio: nella verginità, come «sposa» di Cristo, per una fecondità spirituale non meno ricca e autentica di quella naturale.
In questo senso la donna partecipa intimamente del mistero della Chiesa – sposa di Cristo e madre dei credenti – e continua a rendere il suo insostituibile servizio alla vita, e a dare il suo prezioso contributo per una più umana e cristiana società.
Commento al Vangelo
Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra… – Il Vangelo odierno si inserisce agli inizi del percorso compiuto da Gesù nel territorio della Giudea (Mc 10,1) verso Gerusalemme, e cioè verso l’ora della sua passione e morte, annunciata già due volte (Mc 8,31ss; 9,30ss).
Il percorso è costellato da polemiche e discussioni, vere trappole verbali che i farisei e gli scribi astutamente apparecchiano continuamente per mettere in difficoltà il giovane rabbi di Nazaret. È un crescendo di pregiudizi, di rabbia, di odio, che prepara l’esplosione finale delle ostilità contro Gesù, con la decisione di metterlo a morte. Alla luce di questi intenti omicidi le discussioni, per esempio, sul divorzio, sul tributo a Cesare, o sulla risurrezione dei morti non sono controversie accademiche, ma esplorazioni perfide per trovare un varco nell’insegnamento di Gesù, per penetrarvi ed avere di che accusarlo.
I farisei, sempre vigilanti, dunque, seguono Gesù passo passo attendendo solo il momento opportuno per attaccarlo: metterlo alla prova, il verbo greco (peirazontes) «ha un significato peggiorativo, stando ad indicare un tentativo che si compie in tutto malanimo per fare cadere qualcuno per mezzo di un tranello tesogli di nascosto [cfr. Mc 8,11; 12,13-15]» (A-dalberto Sisti). Quindi questo ennesimo assalto è volto unicamente a mettere in difficoltà Gesù. La domanda è costruita ad arte: è «lecito a un marito ripudiare la propria moglie»? È vero che il ripudio era ammesso dalla legge di Mosè (cfr. Dt 24,1-4), ma l’interpretazione del testo, autenticata dal magistero dei farisei, era arbitraria.
Mentre la sacra Scrittura, e anche l’autentica tradizione rabbinica, decretava la pari dignità tra l’uomo e la donna, la tradizione umana imposta dai farisei, maestri in Israele, giocava a favore di quest’ultimi permettendo loro di trattare la donna come un oggetto, di essere per le loro spose mariti, padri e padroni e di disporre di esse a piacimento. Anche l’aver lasciato bruciare un pranzo, per i seguaci di Hillel era un buon motivo per divorziare.
Oltre tutto, la domanda non doveva essere nemmeno posta perché i farisei, ottimi maestri della Parola, conoscevano già la risposta e sapevano che si trovava nel primo libro della Torah, il libro della Genesi, dove tra l’uomo e la donna veniva postulato completa e indissolubile comunione di vita. Da qui si comprende quanto fosse capziosa la loro domanda. Che cosa vi ha ordinato Mosè?: Gesù risponde con una domanda perché vuole costringere i suoi avversari a trovare da se stessi la risposta. E alla replica dei farisei, Gesù dà, come una stoccata, la sua risposta: «Per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma». La durezza del cuore e della cervice (cfr. Es 32,9; 33,3 ecc.), un rimbrotto che a piè sospinto troviamo nell’Antico Testamento, è l’incapacità dell’uomo a comprendere la volontà di Dio ed entrare nei suoi disegni. È chiusura alla parola di Dio. Questo peccato apportò al popolo giudeo fame, lutti, morti, catene… Per tanta ostinazione, sul popolo d’Israele piombò un terribile castigo: la fame della Parola di Dio (cfr. Am 8,11-12).
Il richiamo all’autorità della sacra Scrittura, che troviamo sovente nell’in-segnamento di Gesù (cfr. Mt 4,4.6.7; 26,31; Mc 14,21.27; Lc 24,46; ecc.), qui è teso a smascherare l’ipocrisia dei farisei. In verità, il legalismo e la doppiezza erano il complesso dei requisiti utili a delineare l’immagine ideale dei farisei: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti… «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini»… «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione»… Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte” (Mc 7,6.8-9.13).
La citazione biblica – Ma dall’inizio della creazione… – sembra avere acquietato gli importuni interlocutori, infatti Marco non registra ulteriori repliche da parte dei farisei. Saranno, invece, i discepoli a volere scendere nei particolari. E questo perché anche loro erano infettati dalla mentalità divorzista (cfr. Mt 19,10).
Accettare l’insegnamento scritturale comportava rinunciare a questa cultura; voleva dire porsi diversamente dinanzi alla donna e accettarla soprattutto come coprotagonista nel progetto salvifico: significava accettare che Dio, fin dall’inizio, aveva voluto «che la sua immagine, sempre sostanzialmente identica, splendesse nella creatura umana in due versioni differenti: in quella dell’uomo e in quella della donna» (V. Raffa).
Gesù non si sottrae e con la sua risposta, che riflette la legislazione mosaica e il diritto romano, torna a rimettere sullo stesso piano l’uomo e la donna.
Questo è il progetto di Dio il quale non ammette disquisizioni teologiche di sorta. In questa luce si arriva ad una sola conclusione: «L’uomo dunque non divida quello che Dio ha congiunto». Che è equivalente a: «l’uo-mo non manipoli ciò che Dio ha fatto per essere congiunto, ma ne promuova lo sviluppo armonioso. Chiama durezza di cuore [che è centro della persona più che del sentimento] la ristrettezza di mente e di progetti di chi ha perso la ricchezza della parola di Dio per rinchiudersi nei cavilli giuridici» (Bruno Barisan).
D’improvviso cambia la scena. Gesù, nonostante l’ostruzionismo degli Apostoli, accoglie dei bambini che gli vengono presentati «perché li accarezzasse». Gesù acconsente e «prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro». Un gesto di tenerezza che rivela i sentimenti di Gesù verso i più piccoli, gli indifesi, verso coloro che nella società giudaica non contavano affatto.
Ma anche in questo secondo atto c’è una rivoluzione a trecentosessanta gradi. Se per l’ambiente giudaico solo l’adulto poteva raggiungere il regno di Dio perché capace di porre atti coscienti, o compiere opere corrispondenti al guadagno di meriti, nel magistero di Gesù invece il regno lo si può ricevere solo come dono gratuito, facendosi appunto bambini: per conseguenza, “l’unico atteggiamento per ricevere è quello dei bambini: il regno di Dio prima si riceve, poi si entra in esso” (José Maria Gonzales-Ruiz).
Riflessione
All’inizio della creazione – In una società dove ormai tutto è relativo, soprattutto la morale, strapparsi le vesti per gli adulteri per alcuni è fin troppo esagerato. Così è fuori luogo andarsi a preoccupare dell’adulte-rio quando calano i matrimoni, quando quelli tradizionali non tengono più e sono alle stelle le unioni provvisorie. Forse il discorso è scontato, ma noi cristiani lo dobbiamo affrontare con serietà e grande forza, quella forza che ci proviene dalla fede e dalla nostra incondizionata adesione al Vangelo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica dà, dell’adulterio, una definizione: «Questa parola designa l’infedeltà coniugale. Quando due persone, di cui almeno una è sposata, intrecciano tra loro una relazione sessuale, anche se episodica, commettono adulterio. Cristo condanna l’adulterio anche se consumato con il semplice desiderio [cfr. Mt 5,27-28]» (2380). Qui dobbiamo sottolineare due cose: l’adulterio è infedeltà anche se è episodico ed anche se è consumato con il semplice desiderio.
Qui si va al cuore del problema. L’infedeltà è una pruriginosa peculiarità dell’uomo moderno: egli, oggi, è veramente incapace di essere fedele alle proprie idee, alle relazioni, agli affetti, ai propri doveri come cittadino, come cristiano… e il matrimonio non si può costruire senza questa virtù. Come ci ricorda il compianto Giovanni Paolo II, l’amore coniugale «mira a una unità profondamente personale, quella che, al di là dell’unio-ne in una sola carne, conduce a non fare che un cuore solo e un’anima sola; esso esige l’indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre alla fecondità» (Familiaris Consortio 13).
Per cui chi commette adulterio «viene meno agli impegni assunti. Ferisce quel segno dell’Alleanza che è il vincolo del matrimonio, lede il diritto dell’altro coniuge e attenta all’istituto del matrimonio, violando il contratto che lo fonda. Compromette il bene della generazione umana e dei figli, i quali hanno bisogno dell’unione stabile dei genitori» (CCC 2381).
Il divorzio in modo particolare è una offesa alla dignità del matrimonio perché pretende di sciogliere un vincolo che per natura è indissolubile, attribuendo all’autorità umana un potere che non ha (cfr. Mc 10,9); inoltre, per la facile e sbrigativa soluzione che offre a un matrimonio entrato in crisi, diventa inevitabilmente «una vera piaga sociale» (CCC 2385).
Partendo da queste constatazioni, il divorziato che contrae «un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente» (CCC 2384).
Gustave Flaubert, forse scherzando, un giorno ebbe a dire: «I coniugi debbono vivere insieme per punizione di aver commesso la stupidaggine di essersi sposati». I coniugi invece devono vivere insieme perché il matrimonio è fondato su un progetto che non è umano ma divino e che «non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte» (CCC 2382).
La pagina dei Padri
Gesù e i bambini – San Giovanni Crisostomo: “«Lasciate che i fanciulli vengano a me, poiché di quelli che sono come loro è il regno dei cieli e dopo aver imposto loro le mani, proseguì il suo cammino»” (Mt 19,13-15). Per qual motivo i discepoli allontanano da Gesù i fanciulli? A causa della sua dignità. Che fa allora il Maestro? Per insegnar loro a essere umili e a calpestare il fasto e la gloria mondana, non solo accoglie i fanciulli, ma li abbraccia e promette il regno dei cieli a quelli che sono come loro: affermazione questa che già ha fatto precedentemente. Anche noi, dunque, se vogliamo ereditare il regno dei cieli, cerchiamo con grande impegno di acquistare questa virtù: il termine, infatti, la meta della filosofia è appunto la semplicità unita alla prudenza. Questa è vita angelica. L’anima del bambino, infatti, è pura da ogni passione: non serba rancore per quelli che l’offendono, ma si accosta a loro come ad amici, come se nulla fosse accaduto. E per quanto la madre lo picchi, il bambino sempre la ricerca e la preferisce a tutti. E quand’anche tu gli presentassi una regina con il suo diadema, egli non la preferirebbe a sua madre, anche se la madre fosse vestita di stracci: guarderebbe infatti con maggior piacere a lei, ricoperta di quei poveri abiti, che non alla regina con tutti i suoi ornamenti: che il bambino sa distinguere i suoi dagli estranei, non per la loro ricchezza o per la loro povertà, ma per l’amore che essi hanno per lui e che lui sente per loro… Il fanciullo non si dà pena, come facciamo noi, per futili motivi, come ad esempio per la perdita di denaro e per cose simili; né si rallegra come noi per cose passeggere… Perciò Gesù ha detto: «Di quelli che sono come loro è il regno dei cieli», affinché noi facciamo per libera volontà ciò che i fanciulli fanno per natura.