5 Ottobre 2018 – Venerdì, XXVI del Tempo Ordinario – (Gb 38,1.12-21; 40,3-5; Sal 138[139]; Lc 10,13-16) – I Lettura: In questo brano si sintetizza il dialogo diretto fra Dio e Giobbe. Quasi a mettere alla prova la fede di quest’uomo e le sue conoscenze, Dio sottolinea come la sua potenza vada al di là di ogni comprensione umana. Inutile per l’uomo dunque scandagliare i misteri divini perché qualsiasi tipo di conoscenza questi ne possa avere sarebbe sempre limitata alla condizione della sua debolezza. Vangelo: Le città di Corazìn, di Betsàida e di Cafàrnao erano i luoghi nei quali Gesù aveva sviluppato, più che altrove, la sua attività. Di fronte al loro rifiuto l’esclamazione “Guai a te!” non è una minaccia, ma un grido di compianto e di lamento, “ahimè!” (cfr. Lc 6,24ss). È il dolore di Dio, il dolore dell’Amore non riamato.
Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù disse: «Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato».
Riflessione: «… già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite». Oggi possiamo concentrare il nostro esame di coscienza, alla luce della Parola ascoltata, sui peccati di ingratitudine, di omissione, di superficialità, di abitudinarietà… Per fare questo dovremmo iniziare dal prendere coscienza di quanta grazia ci è stata data: Gesù sottolinea i segni e i prodigi compiuti nelle città accusate e di come queste non si siano convertite, non si siano lasciate convincere dalla grazia divina, non si siano lasciate coinvolgere dal messaggio e dalla chiamata di Cristo. Cosa potrebbe dirci in proposito Gesù? Se dovesse elencarci tutte le grazie operate nella nostra vita? Ne siamo coscienti, ricordiamo spesso e con gratitudine quanto Dio ha fatto per noi? C’è una bella preghiera, nella tradizione cristiana, che ci fa iniziare la giornata facendo memoria, adorando e ringraziando Dio per “avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte (o in questo giorno, se recitata di sera)”. Molti di noi sono nati in famiglie cristiane, battezzati e quindi innestati nella vita divina già da piccoli; abbiamo avuto la possibilità di crescere in ambienti dove la nostra fede, seppur con tutte le contraddizioni di questo mondo, veniva e viene ricordata e vissuta: pensiamo alle feste principali di Natale e Pasqua e a tante altre ricorrenze! Quante persone, in tanti parti della terra, non hanno mai potuto avere questo, non hanno potuto conoscere Cristo, il suo amore, la sua misericordia… Quanti, pur cristiani, vivono ancora oggi in ambienti ostili alla fede, con la paura della persecuzione, nell’impossibilità a vivere apertamente il proprio credo, in ambienti dove la domenica non è “rossa” nei calendari e dove Natale e Pasqua non si sa nemmeno cosa siano. E che dire dei Sacramenti: in alcune nazioni, chi vuole partecipare a Messa deve fare decine di chilometri, e noi che per andare in palestra o al centro commerciale passiamo dinanzi a decine di Chiese, non abbiamo tempo neanche per entrare a farci un segno di Croce! Tanto abbiamo ricevuto, ci sentiamo buoni cristiani per tradizione e per devozione: siamo certi di corrispondere in modo adeguato a tanta grazia elargitaci?
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Guai a te, Corazin – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 8 Giugno 1988): “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace – egli dice un giorno – ma una spada” (Mt 10,34). È un modo forte per dir che il Vangelo è anche una fonte di “inquietudine” per l’uomo, Gesù vuol farci capire che il Vangelo è esigente, e che esigere vuol dire agitare le coscienze, non permettere che si adagino in una falsa “pace”, nella quale diventano sempre più insensibili e ottuse, così che in esse le realtà spirituali si svuotano di valore, perdendo ogni risonanza. Gesù dirà davanti a Pilato: “Sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Queste parole riguardano anche la luce che egli porta su tutto il campo delle azioni umane, sgominando l’oscurità dei pensieri e specialmente delle coscienze per far trionfare in ogni uomo la verità. Si tratta però di mettersi dalla parte della verità. “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”, dirà Gesù (Gv 18,37). Per questo Gesù è esigente. Non duro o inesorabilmente severo: ma forte e inequivocabile nel richiamare chiunque alla vita nella verità. Così le esigenze del Vangelo di Cristo penetrano nel campo della legge e della morale. Colui che è il “testimone fedele” (Ap 1,5) della verità divina, della verità del Padre, dice fin dall’inizio del discorso della montagna: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel Regno dei cieli” (Mt 5,19). E nell’esortare alla conversione, non esita a rimproverare le stesse città dove la gente rifiuta di credere: “Guai a te, Corazin, guai a te, Betsaida!” (Lc 10,13), mentre ammonisce tutti e ciascuno: “… se non vi convertirete, perirete” (Lc 13,3) Così il Vangelo della mitezza e dell’umiltà va di pari passo con il Vangelo delle esigenze morali, e persino delle severe minacce a coloro che non vogliono convertirsi.
Fino agli inferi precipiterai – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 28 Luglio 1999): Le immagini con cui la Sacra Scrittura ci presenta l’inferno devono essere rettamente interpretate. Esse indicano la completa frustrazione e vacuità di una vita senza Dio. L’inferno sta ad indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia. Così riassume i dati della fede su questo tema il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola ‘inferno’» (n. 1033). La ‘dannazione’ non va perciò attribuita all’iniziativa di Dio, poiché nel suo amore misericordioso egli non può volere che la salvezza degli esseri da lui creati. In realtà è la creatura che si chiude al suo amore. La ‘dannazione’ consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio liberamente scelta dall’uomo e confermata con la morte che sigilla per sempre quell’opzione. La sentenza di Dio ratifica questo stato.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Fino agli inferi precipiterai – “Non ingannatevi, o diletti. Se, infatti, non vi fosse la geenna in qual modo gli apostoli giudicheranno le dodici tribù di Israele? Per qual motivo Paolo direbbe: Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose del mondo [1Cor 6,3]? Come Cristo avrebbe potuto dire: I niniviti sorgeranno nel giudizio e condanneranno questa generazione [Mt 12,41]? E: Nel giorno del giudizio Sodoma sarà trattata con maggior demenza [Mt 11,24]? Perché, dunque, scherzi e ti trastulli? Perché inganni te stesso e illudi la tua anima, o uomo? Per quale motivo combatti contro la bontà di Dio? Egli, infatti, ha preparato e minacciato la geenna, non perché noi vi cadessimo, ma affinché, grazie alla paura di essa, divenissimo migliori… Vi sarà, infatti, un accurato esame delle più piccole cose, tanto per quanto concerne i peccati che le buone azioni. Dovremo rendere, perciò, ragione degli sguardi impuri, della parola oziosa e ridicola, della crapula, dell’ira e dell’ubria-chezza; viceversa, riceveremo la mercede per le opere buone: per un bicchiere d’acqua fresca, per una parola buona… Come, dunque, osi affermare che colui che passa in rassegna con tanta cura le nostre azioni, abbia minacciato invano la caduta nella geenna? Te ne scongiuro, non mandare in perdizione te stesso e coloro che credono in te con una speranza così vana. Se non credi alle nostre parole, infatti, esamina i giudei, i greci, tutti gli eretici, e tutti ti risponderanno a una voce che vi sarà il giudizio e la retribuzione. Non bastano gli uomini? Interroga gli stessi demòni e li udrai gridare: Perché sei venuto qui prima del tempo a tormentarci? [Mt 8,29]. Grazie alla comune testimonianza di tutti costoro, perciò, persuadi la tua mente a non vaneggiare affinché non impari per sua esperienza che la geenna esiste, ravvedendoti, invece, potrai sfuggire a quei tormenti e conseguire i beni futuri” (Giovanni Crisostomo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Chi sono Corazìn e Betsàida? Certamente delle città, delle città “graziate” in quanto raggiunte dalla Parola di Dio che operava in mezzo ad esse con segni e prodigi, per mezzo dell’annuncio e di miracoli (cfr. At 2,22). Ma esse sono divenute il simbolo di chi rimane freddo e indifferente a tale mole di grazia; simbolo di chi continua la sua vita nel chiuso dei propri programmi, delle proprie esigenze; simbolo di chi non si lascia coinvolgere dalla Parola, come quei bambini che non danzano sentendo un suono e non piangono sentendo un lamento (cfr. Mt 11,17). Maria all’Annuncio di Gabriele si alza in fretta e inizia il suo “peregrinare nella fede” che è stato anche un pellegrinaggio terreno: da Nazareth alla casa di Elisabetta, da Betlemme in Egitto, da Cana al Gòlgota, e dal Cenacolo ad oggi ancora non si ferma. I Magi al vedere la stella partirono dall’Oriente fino a Betlemme. I pastori all’annuncio degli angeli lasciarono il gregge e corsero verso la grotta. La Samaritana all’annuncio di Cristo ha lasciato la brocca dell’acqua e andò di corsa verso la città; a loro volta i cittadini lasciata la città corsero verso il pozzo per conoscere e ascoltare la Parola. E così via… tutti coloro che hanno incontrato il Signore hanno lasciato l’uomo vecchio per rivestirsi di Cristo. Quel “guai!” risuona nei nostri cuori, nelle nostre orecchie, nelle nostre coscienze, nel ritmo della nostra giornata: anche a noi è giunto l’annuncio della Parola, anche noi siamo illuminati dalla stella dello Spirito che guida i nostri passi, anche noi abbiamo conosciuto il Cristo, che per ciascuno ha dato la sua vita acquistandoci col suo Sangue! Chiediamoci: siamo tra coloro che corrono, spinti dalla carità di Gesù (cfr. 2Cor 5,14) o tra quanti, nell’indifferenza apatica, rimangono ancorati all’uomo vecchio disprezzando di fatto la Parola?
Santo del giorno: 5 Ottobre – Beato Alberto Marvelli, Laico: Nacque a Ferrara il 21 marzo 1918, secondogenito di sette fratelli. Trasferitosi a Rimini con la famiglia nel 1930, Alberto Marvelli si formò all’interno dell’oratorio Salesiano e nell’Azione Cattolica, nelle cui file fece le prime esperienze di apostolato. Laureatosi in ingegneria, lavorò presso la Fiat; fu allievo ufficiale a Trieste. Durante la guerra si prodigò instacabilmente nell’opera dei soccorsi; finiti i combattimenti si impegnò nell’opera di ricostruzione. Nel 1945 entrò a far parte della “Società Operai di Cristo”. Presidente dei Laureati Cattolici, Vice Presidente diocesano dei Giovani di Azione Cattolica, membro dell’esecutivo della Democrazia Cristiana, membro delle Conferenze di S. Vincenzo, Alberto Marvelli fu animatore di svariate iniziative di carità e di impegno sociale. Consigliere comunale dopo la Liberazione, Assessore ai Lavori Pubblici, Presidente del Consorzio Idraulico, Capo della Sezione Autonoma del Genio Civile. Morì il 5 ottobre 1946, a 28 anni, investito da un autoveicolo militare delle truppe di occupazione. Il 23 marzo 1986 fu promulgato il decreto sull’eroicità delle virtù; ad Alberto Marvelli venne così conferito il titolo di “Venerabile”.
Preghiamo: O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per…