3 Ottobre 2018 – Mercoledì, XXVI del Tempo Ordinario – (Gb 9,1-12.14-16; Sal 87[88]; Lc 9,57-62) – I Lettura: Giobbe canta il Dio al quale si affida, nel quale ha piena fiducia. Con temi che ricordano in modo inequivocabile il Cantico di Anna (1Sam 2,1 e ss.) ed il magnificat di Maria (Lc 1,1 e ss.), è la sovranità di Dio che rovescia tutti i tradizionali sistemi di potere e tutti i criteri tradizionali e la signoria sul mondo, su ogni creatura, su ogni fenomeno naturale, che lo rendono l’“Onnipotente”. Vangelo: La sequela di Cristo esige una totale rinuncia e una piena presa di consapevolezza. La scelta è radicale, senza ripensamenti e senza rimpianti. Colui che accetta l’invito del Maestro divino seguendo le sue orme deve essere capace di percorrere la stessa via di privazione e sofferenza scelta da Lui.
Ti seguirò dovunque tu vada – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».
Riflessione: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io…». Quanti impegni, quante cose da sbrigare, quante corse… e la lista delle cose da fare sembra allungarsi sempre più, per quanto ci damo da fare! Aspettiamo quel giorno di sole, o il giorno di festa o le ferie pensando che sarà il tempo opportuno per dedicarci finalmente a quelle cose che non facciamo durante i giorni di lavoro, e poi ci accorgiamo sempre di aver fatto poco o nulla di quanto programmato… e passando gli anni si attendono tempi migliori, giorni più liberi da poter subito riempire, momenti di riposo in cui stancarci con le tante cose che rimangono da fare! È così per le cose del mondo, che in fondo siamo destinati a lasciare: quanti progetti sospesi e mai compiuti, quanti desideri lasciati in un cassetto… in un solo momento la morte azzererà ogni cosa realizzando le parole del saggio Qoèlet: «Tutto è vanità» (Qo 1,1); o come esclamò il paziente Giobbe: «Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò» (Gb 1,21). Le cose del mondo passano, e sembra spesso inutile affannarsi per esse. Gesù stesso ci esorta a non affannarci, a non accumulare tesori che marciscono e si consumano, tesori che diciamo nostri e che in un attimo possono esserci rubati, aprendoci gli occhi a comprendere che in realtà nulla ci appartiene e che da tutto dobbiamo staccarci. Tutto… o quasi! Dio ci appartiene e noi apparteniamo a lui: ecco l’unico vero tesoro che vale la pena di custodire, l’unica ricchezza per cui vale la pena lavorare, la perla preziosa per cui vale lasciare ogni altra cosa, il tesoro che non avrà fine, la cui gioia non sarà intaccata in eterno! Cristo è venuto a donarci tale tesoro, è venuto perché ne prendessimo pieno possesso, perché nessuno possa più strapparcelo dal cuore. Eppure quanta stoltezza nel nostro quotidiano: continuiamo ad affannarci per sbrigare cose umane, rimandando continuamente le cose di Dio. Dinanzi alla chiamate di Dio abbiamo sempre una cosa più urgente da sbrigare, dinanzi alla sua Parola abbiamo sempre un argomento umanamente valido con cui controbattere. Anche oggi Gesù parla chiaro: se vuoi continuare a correre dietro le cose di questo mondo, non mi raggiungerai mai e mai mi possederai!
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Lascia tutto, subito, per me – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 28 Ottobre 1987): Gesù chiama a seguire lui personalmente. Questa chiamata sta, si può dire, al centro stesso del Vangelo. Da una parte Gesù rivolge questa chiamata, dall’altra sentiamo gli evangelisti parlare di uomini che lo seguono, e anzi, di alcuni di essi che lasciano tutto per seguirlo. Pensiamo a tutte quelle chiamate di cui ci hanno trasmesso notizie gli evangelisti: “Uno dei discepoli gli disse: Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre. Ma Gesù gli rispose: Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti” (Mt 8,21-22): modo drastico di dire: lascia tutto, subito, per me. Così nella redazione di Matteo. Luca aggiunge la connotazione apostolica di questa vocazione: “Tu va’ e annunzia il regno di Dio” (Lc 9,60). Un’altra volta, passando accanto al banco delle imposte, disse e quasi impose a Matteo, che ci attesta il fatto: “Seguimi. Ed egli si alzò e lo segui” (Mt 9,9; cfr. Mc 2,13-14). Seguire Gesù significa spesso lasciare non solo le occupazioni e recidere i legami che si hanno nel mondo, ma anche staccarsi dalla condizione di agiatezza in cui ci si trova, e anzi dare i propri beni ai poveri. Non tutti si sentono di fare questo strappo radicale: non se la sentì il giovane ricco, che pure fin dalla fanciullezza aveva osservato la Legge e forse cercato seriamente una via di perfezione. Ma “udito questo (cioè l’invito di Gesù), se ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze” (Mt 19,22; cfr. Mc 10,22). Altri, invece, non solo accettano quel “Seguimi”, ma, come Filippo di Betsaida, sentono il bisogno di comunicare ad altri la loro convinzione di aver trovato il Messia (Gv 1,43ss.). Lo stesso Simone si sente dire fin dal primo incontro: “Tu ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Gv 1,42). L’evangelista Giovanni annota che Gesù “fissò lo sguardo su di lui”: in quello sguardo intenso vi era il “Seguimi” più forte e accattivante che mai. Ma sembra che Gesù, data la vocazione tutta speciale di Pietro (e forse anche il suo naturale temperamento) voglia far maturare gradualmente la sua capacità di valutare e accettare quell’invito. Il “Seguimi” letterale per Pietro verrà infatti dopo la lavanda dei piedi in occasione dell’ultima cena (cfr. Gv 13,36), e poi, in modo definitivo, dopo la risurrezione, sulla riva del lago di Tiberiade (Gv 21,19).
Seguire Gesù casto, povero, obbediente – Perfectae Caritatis 1: Fin dai primi tempi della Chiesa vi furono uomini e donne che per mezzo della pratica dei consigli evangelici vollero seguire Cristo con maggiore libertà ed imitarlo più da vicino, e condussero, ciascuno a loro modo, una vita consacrata a Dio. Molti di essi, sotto l’impulso dello Spirito Santo, vissero una vita solitaria o fondarono famiglie religiose che la Chiesa con la sua autorità volentieri accolse ed approvò. Cosicché per disegno divino si sviluppò una meravigliosa varietà di comunità religiose, che molto ha contribuito a far sì che la Chiesa non solo sia atta ad ogni opera buona e preparata al suo ministero per l’edificazione del corpo di Cristo (cfr. Ef 4,12), ma attraverso la varietà dei doni dei suoi figli appaia altresì come una sposa adornata per il suo sposo (cfr. Ap 21,2), e per mezzo di essa si manifesti la multiforme sapienza di Dio (cfr. Ef 3,10). In tanta varietà di doni, tutti coloro che, chiamati da Dio alla pratica dei consigli evangelici, ne fanno fedelmente professione, si consacrano in modo speciale al Signore, seguendo Cristo che, casto e povero (cfr. Mt 8,20; Lc 9,58), redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza spinta fino alla morte di croce (cfr. Fil 2,8). Così essi, animati dalla carità che lo Spirito Santo infonde nei loro cuori (cfr. Rm 5,5) sempre più vivono per Cristo e per il suo corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1,24). Quanto più fervorosamente, adunque, vengono uniti a Cristo con questa donazione di sé che abbraccia tutta la vita, tanto più si arricchisce la vitalità della Chiesa ed il suo apostolato diviene vigorosamente fecondo.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «“Molti si fanno discepoli per fregiarsi del nome di Cristo e non per onorare Cristo; si lasciano ingaggiare da lui per rimanere nei piaceri corporei e non per portare le austerità dei suoi comandamenti. Altri si avvicinano a questa regola che esige rinuncia, spinti dal desiderio di Mammona, e per acquistare fuori dal mondo quello che non possono avere standovi dentro. Attraverso quell’unico discepolo di cui parla il Vangelo del nostro Salvatore, Gesù ha stigmatizzato questo pensiero iniquo in tutti gli altri: “Maestro, ti seguirò dovunque andrai; e Gesù gli rispose: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” [Mt 8,20; Lc 9,58]. Lungi da me, discepolo d’iniquità! Io non posso darti quello che tu desideri e tu non puoi ricevere quello che io ti do; conosco ciò che chiedi e io non ti do ciò che cerchi; hai creduto di venire a me per amore della ricchezza; sei andato a cercare le tenebre nella luce, la povertà nel possesso autentico, e la morte nella vita; tu vuoi acquistare venendo a me quanto io chiedo a tutti di lasciare per seguirmi; la porta per la quale sei spinto ad entrare per seguirmi è la stessa per la quale voglio farti uscire. Ecco perché non ti accolgo. Io sono povero per la mia condizione pubblica, e, per tal motivo, non detengo pubbliche ricchezze da elargire nel mondo in cui sono venuto. Io sono visto come uno straniero e non ho né casa né tetto, e chi vuole essere mio discepolo eredita da me la povertà: perché vuoi acquistare da me ciò che ti faccio rinunciare a possedere?» (Filosseno di Mabbug).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio – È significativo che tutte e tre le risposte del Signore riguardino l’abitare in famiglia. Al primo è detto che non gli è permesso dimorare praticamente in famiglia. Il secondo non deve restare in famiglia, fino a quando non possa staccarsene, senza dare scandalo. Ed il terzo non deve avere nessun riguardo per la famiglia. Non è un caso che in tutte e tre le risposte venga fuori lo stesso elemento. Poiché i congiunti sono sempre più convinti di poter far valere i loro diritti. E si scandalizzano e si urtano sempre più, quando la chiamata di Dio toglie un membro dalla famiglia. Spesso genitori e fratelli non comprenderanno come un figlio o una figlia possa seguire la chiamata di Dio senza condizioni. Ed il figlio o la figlia devono chiudere un occhio su questa incomprensione e sopportare. Dio è più grande. Quando mette la mano su un uomo, quest’uomo appartiene esclusivamente a lui. Niente mezzi termini, nessuna divisione, nessun compromesso. E proprio perché la rinunzia riesce spesso difficile e lo strappo è doloroso, Gesù formula la sua risposta in termini secchi e duri. C’è una sola alternativa. Chi vuole andare con lui, deve essere con lui. E lui è essenzialmente solo. Perciò il discepolo deve dividere la sua solitudine.
Santo del giorno: 3 Ottobre – San Dionigi l’Areopagita, Discepolo di S. Paolo: “Dionigi viene citato da Luca come uno dei pochissimi ateniesi che seguirono Paolo dopo il discorso all’Areopago. Un altro Dionigi, vescovo di Corinto del II secolo, scrive che l’Areopagita fu il primo pastore di Atene. Fu, poi, confuso con l’omonimo protovescovo martire di Parigi, la cui festa cade il 9 ottobre. Sotto il nome di Pseudo-Dionigi va l’autore (forse un monaco siriaco del V-VI secolo) di celebri scritti largamente diffusi nel Medioevo: tra essi il «De coelesti Ierarchia» e il «De divinis nominibus». In essi si afferma che Dionigi avrebbe visto l’eclissi della Crocifissione e assistito alla Dormizione di Maria. Perciò furono attribuiti all’antico ateniese” (Avvenire).
Preghiamo: O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…