1 Ottobre 2018 – Lunedì, XXVI del Tempo Ordinario – S. Teresa di Gesù Bambino (Memoria) – (Gb 1,6-22; Sal 16[17]; Lc 9,46-50) – I Lettura: Gli interrogativi sulla sofferenza da sempre hanno afflitto uomini di ogni epoca. Perché Dio permette il male? Nel brano odierno la vicenda di Giobbe getta un lume sulla questione: nonostante le numerose prove con cui Dio permette che lui sia tentato questi dimostra fino alla fine che la sua religiosità è disinteressata, accetta il disegno divino al di là dell’umana comprensione. Vangelo: Dinanzi la disputa fra i discepoli Gesù compie un gesto simbolico: chiama a sé un bambino. L’accoglienza del piccolo, e in lui di Dio stesso, sottolinea come il valore del cristiano stia nel suo servizio, ‘diaconia’, piuttosto che nella grandezza. A tal proposito l’invito ad accogliere anche il presunto “esorcista” rivela ai discepoli l’importanza di aprire il cuore a tutti coloro che sono, nella loro semplicità, a favore di Dio. Non ci sono cristiani più «grandi» degli altri, ma si è «grandi» nell’essere cristiani a servizio di Dio.
Chi è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».
Riflessione: «Nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande…». Se noi dovessimo raccontare una storia, ricordare degli eventi, cercheremmo di far emergere le cose più belle, tralasciando ciò che ha potuto ferire o essere stato un momento di imbarazzo. Pensiamo, per esempio, al ricordo di una persona defunta o di un viaggio fatto insieme… Quando quel ricordo mette gioia, non lo rovino inquinandolo con i ricordi tristi o i momenti di tensione che ci possono essere stati. Pensiamo per un momento agli evangelisti: essi erano apostoli di Gesù (Matteo e Giovanni) o tra i primi loro seguaci (Marco e Luca), avevano vissuto un’esperienza mirabile che aveva trasformato totalmente la loro vita; potevano vantare una conoscenza di Cristo pari a pochi altri uomini. Nello scrivere tale storia, c’era un materiale così vasto, fatto di cose tanto belle: parole, racconti, miracoli, incontri, emozioni, esorcismi… che motivo potevano mai avere di soffermarsi in qualche momento di incomprensione tra Gesù e il discepoli, o di narrare della loro umana grettezza, o di tramandare i loro difetti, il loro arrivismo… E invece nei Vangeli troviamo tutto questo: leggiamo dei difetti, dei peccati, anche gravi, degli Apostoli: il loro addormentarsi nel Getsemani, il tradimento di Giuda, di Pietro, i rimproveri di Gesù a Pietro e agli altri Apostoli, come anche tutte le incomprensioni o i fraintendimenti (come quando Gesù raccomanda loro di stare lontani dal lievito dei farisei e i discepoli discutevano su chi avesse dimenticato di prendere il pane!). Tutto questo è stato scritto per noi, per noi peccatori, difettosi, desiderosi di seguire il Maestro ma nel contempo lenti nell’abbandonare una mentalità umana. Quei rimproveri sono anche per noi, quelle esortazioni sono state scritte per sostenere il nostro desiderio di santità, per non scoraggiarci dinanzi alle nostre fragilità. «Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi» afferma san Paolo (Rm 12,16). Magari fossimo adulti, responsabili, equilibrati… e invece siamo fragili, poveri, piccoli. La soluzione ce la offre il Vangelo e S. Teresa del Gesù Bambino di cui facciamo memoria: diventare piccoli, gettarci tra le braccia di Dio. Il primo bambino da accogliere e custodire siamo noi stessi
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Cupidigia, invidia, individualismo – Pio XI (Lettera Enciclica, Caritate Christi compulsi): Lacrimevole condizione di cose, Venerabili Fratelli, che fa gemere il Nostro cuore paterno e Ci fa sentire sempre più intimamente il bisogno di imitare, secondo la Nostra pochezza, il sublime sentimento del Cuore SS. di Gesù: «Ho compassione di questa folla». Ma ancor più lacrimevole è la radice da cui nasce questa condizione di cose: poiché, se è sempre vero quello che afferma lo Spirito Santo per bocca di San Paolo: «Radice di tutti i mali è la cupidigia», molto più ciò è vero nel caso presente. E non è forse quella cupidigia dei beni terreni, che il Poeta pagano chiamava già con giusto sdegno «esecranda fame dell’oro»; non è forse quel sordido egoismo, che troppo spesso presiede alle mutue relazioni individuali e sociali; non è insomma la cupidigia, qualunque ne sia la specie e la forma, quella che ha trascinato il mondo all’estremo che tutti vediamo e tutti deploriamo? Dalla cupidigia, infatti, proviene la mutua diffidenza, che inaridisce ogni commercio umano; dalla cupidigia, l’esosa invidia che fa considerare come proprio danno ogni vantaggio altrui; dalla cupidigia, il gretto individualismo che tutto ordina e subordina al proprio vantaggio, senza badare agli altri, anzi conculcando crudelmente ogni diritto altrui. Di qui il disordine e lo squilibrio ingiusto, per cui si vedono le ricchezze delle nazioni accumulate nelle mani di pochissimi privati, che regolano a loro capriccio il mercato mondiale, con danno immenso delle masse…
Ripetutamente nella storia… – Benedetto XVI (Discorso, 24 Settembre 2011): Non dobbiamo tacere il fatto che il male esiste. Lo vediamo, in tanti luoghi di questo mondo; ma lo vediamo anche – e questo ci spaventa – nella nostra stessa vita. Sì, nel nostro stesso cuore esistono l’inclinazione al male, l’egoismo, l’invidia, l’aggressività. Con una certa autodisciplina ciò forse è, in qualche misura, controllabile. È più difficile, invece, con forme di male piuttosto nascosto, che possono avvolgerci come una nebbia indistinta, e sono la pigrizia, la lentezza nel volere e nel fare il bene. Ripetutamente nella storia, persone attente hanno fatto notare che il danno per la Chiesa non viene dai suoi avversari, ma dai cristiani tiepidi.
E, preso un bambino… – Giovanni Paolo II (Messaggio per la Quaresima 2004): Il tema di quest’anno – “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5) – offre l’opportunità di riflettere sulla condizione dei bambini, che anche oggi Gesù chiama a sé e addita come esempio a coloro che vogliono diventare suoi discepoli. Le parole di Gesù costituiscono un’esortazione a esaminare come sono trattati i bambini nelle nostre famiglie, nella società civile e nella Chiesa. E sono anche uno stimolo a riscoprire la semplicità e la fiducia che il credente deve coltivare, imitando il Figlio di Dio, il quale ha condiviso la sorte dei piccoli e dei poveri. In proposito, santa Chiara d’Assisi amava dire che Egli, “posto in una greppia, povero visse sulla terra e nudo rimase sulla croce” (Testamento, Fonti Francescane n. 2841). Gesù amò i bambini e li predilesse “per la loro semplicità e gioia di vivere, per la loro spontaneità, e la loro fede piena di stupore” (Angelus del 18.12.1994). Egli, pertanto, vuole che la comunità apra loro le braccia e il cuore come a Lui stesso: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5). Ai bambini Gesù affianca i “fratelli più piccoli”, cioè i miseri, i bisognosi, gli affamati e assetati, i forestieri, i nudi, i malati, i carcerati. Accoglierli e amarli, o invece trattarli con indifferenza e rifiutarli, è riservare a Lui lo stesso atteggiamento, perché in loro Egli si rende particolarmente presente.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Non cercare, col pretesto della tua nobiltà di nascita, di anteporti a qualcuno, e non considerare inferiore a te le donne meno nobili o quelle che sono nate in località meno celebri. La nostra religione non tiene conto delle persone e non guarda qual è la condizione degli uomini, ma il loro animo; uno lo classifica o schiavo o nobile, in base ai suoi costumi. In Dio esiste un unico concetto di libertà: il non essere schiavi dei peccati; e, sempre secondo lui, la nobiltà più alta è costituita dall’eccellenza delle virtù» (San Girolamo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande. La discussione dei discepoli, nell’ambiente giudaico, era d’obbligo e di grande importanza quando più uomini si venivano a trovare insieme. L’imbarazzo dei discepoli è dovuto dal fatto che essi comprendevano che tali discorsi erano contrari agli insegnamenti di Gesù. I bambini da accogliere nel nome di Gesù sono gli uomini più reietti, gli infelici, quelli che hanno bisogno di tutto: nel debole, nel povero risplende il volto del Cristo. Imitare Cristo significa sopra tutto “comportarsi come lui si è comportato” (1Gv 2,6). E Gesù ha amato e privilegiato i poveri, gli ultimi, gli indifesi, tanto da identificarsi con essi. Chi accoglie un sofferente, un indifeso nel nome di Cristo onora Cristo e, in lui, Dio Padre: “È veramente giusto renderti grazie, Padre misericordioso: tu ci hai donato il tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro fratello e redentore. In lui ci hai manifestato il tuo amore per i piccoli e i poveri, per gli ammalati e gli esclusi. Mai egli si chiuse alle necessità e alle sofferenze dei fratelli. Con la vita e la parola annunziò al mondo che tu sei Padre e hai cura di tutti i tuoi figli” (Preghiera Eucaristica V/c). Gesù ha voluto ritenersi presente nei bambini e in tutti i bisognosi, ma “vuole che anche le tenerezze verso queste categorie di persone siano dettate dall’amore verso di lui e che le premure siano usate a causa sua. In lui v’è il Padre. La carità verso il prossimo perciò diviene un atto religioso fondamentale, un rito cultuale verso Dio” (Vincenzo Raffa).
Santo del giorno: 1 Ottobre – Santa Teresa di Gesù Bambino (di Lisieux), Vergine e dottore della Chiesa: La Francia dell’Ottocento è il primo paese d’Europa nel quale cominciò a diffondersi la convinzione di poter fare a meno di Dio, di poter vivere come se egli non esistesse. Proprio nel paese d’Oltralpe, tuttavia, alcune figure di santi, come Teresa di Lisieux, ricordarono che il senso della vita è proprio quello di conoscere e amare Dio. Teresa nacque nel 1873 in un ambiente profondamente credente. Di recente anche i suoi genitori sono stati dichiarati beati. Ella ricevette, dunque, una educazione profondamente religiosa che presto la indusse a scegliere la vita religiosa presso il carmelo di Lisieux. Qui ella si affida progressivamente a Dio. Su suggerimento della superiora tiene un diario sul quale annota le tappe della sua vita interiore. Scrive nel 1895: «Il 9 giugno, festa della Santissima Trinità, ho ricevuto la grazia di capire più che mai quanto Gesù desideri essere amato». All’amore di Dio Teresa vuol rispondere con tutte le sue forze e il suo entusiasmo giovanile. Non sa, però, che l’amore la condurrà attraverso la via della privazione e della tenebra. L’anno successivo, il 1896, si manifestano i primi segni della tubercolosi che la porterà alla morte. Ancor più dolorosa è l’esperienza dell’assenza di Dio. Abituata a vivere alla sua presenza, Teresa si trova avvolta in una tenebra in cui Le è impossibile vedere alcun segno soprannaturale. Vi è, però, un’ultima tappa compiuta dalla santa. Ella apprende che a lei, piccola, è affidata la conoscenza della piccola via, la via dell’abbandono alla volontà di Dio. La vita, allora, diviene per Teresa un gioco spensierato perché anche nei momenti di abbandono Dio vigila ed è pronto a prendere tra le sue braccia chi a Lui si affida.
Preghiamo: O Dio, nostro Padre, che apri le porte del tuo regno agli umili e ai piccoli, fa’ che seguiamo con serena fiducia la via tracciata da santa Teresa di Gesù Bambino, perché anche a noi si riveli la gloria del tuo volto. Per il…