meditazioni, settembre

18 Settembre 2018

18 Settembre 2018 – Martedì, XXIV del Tempo Ordinario – (1Cor 12,12-14.27-31a; Sal 99[100]; Lc 7,11-17) – I Lettura: Paolo, utilizzando il paragone del corpo con le sue membra, sottolinea il concetto della Chiesa come corpo di Cristo. La Chiesa è, prima di tutto, la comunità dei battezzati i quali sono radicati e incorporati a Cristo tramite lo Spirito Santo. Battezzati con vari carismi: proprio come il corpo che ha diverse membra ed ogni membro ha la sua funzione. Vangelo: La salvezza è un dono di Dio. La folla riconosce dai miracoli che Gesù è il Messia, questo lo possiamo dedurre quando dopo il miracolo “tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: Un gran profeta ha visitato…”. Il miracolo è segno che l’operare di Gesù viene dal Padre, il mondo divino che fa irruzione nel mondo umano.

Ragazzo, dico a te, àlzati! – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

Riflessione: «Il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: “Non piangere!”». Se il Vangelo di ieri sottolineava la potenza della preghiera di intercessione fatta gratuitamente, per amore al prossimo e con fede, oggi la Liturgia della Parola ci presenta un miracolo che nasce dalla libera e misericordiosa attenzione di Gesù. Per certi versi, il miracolo è ancora più grande del precedente in quanto non si tratta di “semplice” guarigione di un infermo ma addirittura della risurrezione di un defunto. Se nel miracolo del servo del centurione abbiamo avuto modo di contemplare come molti si fossero, a vario titolo, messi in cammino verso Gesù, per impetrare la grazia, in questo miracolo non troviamo alcuna richiesta. Gesù cammina verso Nain, e con lui camminano non solo i discepoli ma «una grande folla». Il passaggio di Gesù non poteva quindi passare indifferente: il popolo sapeva dei prodigi del Maestro, ma nessuno di quanti erano dietro il ragazzino morto, né la mamma né altri parenti e amici si avvicinano a Gesù, nessuno avanza richieste. Vediamo questi due gruppi di gente che camminano: quelli con Gesù, verso l’ingresso della città; quelli col defunto verso l’uscita. Si incontrano: stanno di fronte il Cristo e il defunto. Viene spontaneo pensare alla sequenza che leggiamo il giorno di Pasqua, prima del Vangelo: “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello”. Anche se ancora il duello finale del giorno di Pasqua deve ancora avvenire, Gesù affronta la morte: è il Signore, il Vivente, colui che è la Via, la Verità e la Vita, colui che è la Risurrezione e la Vita! E Gesù, Re vittorioso, porta e dona la salvezza: «Non piangere». Anche queste parole riecheggiano le prime parole del Risorto, rivolte alla Maddalena: «Donna perché piangi?» (Gv 20,15). Non è il Gesù morente che viene portato fuori dalla città per morire in croce, ma si rivela come il Cristo glorioso che entra in città, nella città degli uomini, nella loro storia, nel loro quotidiano: chi segue lui non morirà in eterno! Gesù si rivolge al fanciullo, lo risveglia dalla morte, lo riconsegna alla madre vedova. E i due cortei si uniscono: entrambi seguono l’unico Signore dei vivi e dei morti. Innalziamo la lode a colui che ci dona vita, salvezza e gioia.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Gesù consolatore – Giovanni Paolo II (Angelus, 13 Agosto 1989): Iddio, creatore del Cielo e della Terra, è pure “il Dio di ogni consolazione”. Numerose pagine dell’Antico Testamento ci mostrano Dio che, nella sua grande tenerezza e compassione, consola il suo popolo nell’ora dell’afflizione. Per confortare Gerusalemme, distrutta e desolata, il Signore invia i suoi profeti a portare un messaggio di consolazione: “Consolate, consolate il mio popolo… Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù”; e, rivolgendosi a Israele oppresso dal timore dei nemici, dichiara: “Io, io sono il tuo consolatore”; e ancora, paragonandosi a una madre piena di tenerezza per i suoi figli, manifesta la sua volontà di recare pace, gioia e conforto a Gerusalemme: “Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa quanti la amate. Vi sazierete delle sue consolazioni. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò, in Gerusalemme sarete consolati”. In Gesù, vero Dio e vero uomo, nostro fratello, il “Dio-che-consola” si è fatto presente in mezzo a noi. Così infatti lo indicò per primo il giusto Simeone, che ebbe la gioia di accogliere fra le braccia il bambino Gesù e di vedere in lui adempiuta “la consolazione di Israele”. E, in tutta la vita di Cristo, la predicazione del Regno fu un ministero di consolazione: annuncio di un lieto messaggio ai poveri, proclamazione di libertà per gli oppressi, di guarigione per gli infermi, di grazia e di salvezza per tutti. Dal Cuore di Cristo, scaturì questa rasserenante beatitudine: “Beati gli afflitti, perché saranno consolati”; come pure il rassicurante invito: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”. La consolazione che proveniva dal Cuore di Cristo era condivisione della sofferenza umana; volontà di lenire l’ansia e di alleviare la tristezza; segno concreto di amicizia. Nelle sue parole e nei suoi gesti di consolazione si coniugavano mirabilmente la ricchezza del sentimento con l’efficacia dell’azione. Quando, vicino alla porta della città di Nain, vide una vedova che accompagnava al sepolcro il suo unico figlio, Gesù ne condivise il dolore: “ne ebbe compassione” toccò la bara, ordinò al giovanetto di alzarsi e lo restituì alla madre. Il Cuore del Salvatore è ancora, anzi è primordialmente fonte di consolazione, perché Cristo dona, insieme col Padre, lo Spirito Consolatore: “Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre”: Spirito di verità e di pace, di concordia e di soavità, di conforto e di consolazione; Spirito che scaturisce dalla Pasqua di Cristo e dall’evento della Pentecoste. Tutta la vita di Cristo fu perciò un continuo ministero di misericordia e di consolazione.

… il Signore fu preso da grande compassione – Giovanni Paolo II (Omelia, 7 Luglio 1993): […] la missione di pastore non può essere esercitata con un atteggiamento di superiorità o di autoritarismo (cfr. 1Pt 5,3), che irriterebbe i fedeli e forse li allontanerebbe dall’ovile. Sulle orme di Cristo buon Pastore, ci si deve formare ad uno spirito di umile servizio (cfr. CCC 876). Gesù inoltre ci dà l’esempio di un amore pieno di compassione, ossia di partecipazione sincera e fattiva alle sofferenze e difficoltà dei fratelli. Egli sente compassione per le folle senza pastore (cfr. Mt 9,36), perciò si preoccupa di guidarle con le sue parole di vita e si mette a “insegnar loro molte cose” (Mc 6,34). In virtù di questa stessa compassione, guarisce molti malati (Mt 14,14), offrendo il segno di una intenzione di guarigione spirituale; moltiplica i pani per gli affamati (Mt 15,32; Mc 8,2), eloquente simbolo dell’Eucaristia; si commuove dinanzi alle miserie umane (Mt 20,34; Mc 1,41), e vuole portarvi rimedio; partecipa al dolore di coloro che piangono la perdita di un caro congiunto (Lc 7,13; Gv 11,33-35); anche per i peccatori prova misericordia (cfr. Lc 15,1-2), in unione con il Padre, che è pieno di compassione per il figlio prodigo (cfr. Lc 15,20) e preferisce la misericordia al sacrificio rituale (cfr. Mt 9,10-13); e non mancano casi in cui rimprovera i suoi avversari di non comprendere la sua misericordia (Mt 12,7) […]. Il Presbitero trova dunque in Cristo il modello di un vero amore per i sofferenti, i poveri, gli afflitti, e soprattutto per i peccatori.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Dalla morte alla vita – «Gesù andava in un villaggio chiamato Naim e andavano con lui i discepoli e una gran folla. Avvicinandosi alla porta del villaggio, s’incontra col funerale d’un ragazzo; era figlio unico, e la madre era vedova; e c’era tanta gente. Questa vedova, seguita dalla folla, è la santa Chiesa. Della quale è detto: “Benedirò la sua vedova” [Sal 131,15]. È vedova non perché non abbia marito, ma perché non lo può vedere; aspetta che venga alla fine dei tempi. È detta vedova, perché staccata dal marito. E questo vale per una donna vedova e per il tempo presente. Alla Chiesa del tempo presente il Signore si avvicina, perché non manca di visitare ogni giorno la sua Chiesa. Da questa vien portato via un defunto ogni volta che uno, morto per il peccato, si separa dalla Chiesa. La pia madre tuttavia lo segue in lacrime, perché neanche del figlio fuggitivo si dimentica la Chiesa. Piange infatti ogni giorno per quelli che peccano e non fanno penitenza dei loro peccati [2Cor 12,21]. Commosso a quella vista il Signore le disse: “Non piangere. E s’avvicinò e toccò la bara. I portatori si fermarono ed egli disse al morto: Ragazzo, te lo dico io, alzati. E quello ch’era morto si mise a sedere e cominciò a parlare. Ed egli lo diede a sua madre” (ibid.). Dio consolatore degli afflitti guarda soprattutto le lacrime versate sui peccati degli altri. Tocca la bara, ferma i portatori e risuscita il morto, quando con la sua visita induce l’uomo alla penitenza. Son cattivi portatori quelli che conducono un uomo a seppellire. Son buoni portatori quelli che dal sepolcro riportano un uomo alla vita» (Bruno di Segni).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Quanto la sacra Scrittura dice sulla sofferenza proviene dalla esperienza concreta che si fa del dolore, del male, delle malattie, della morte, della cattiveria umana. La sacra Scrittura fa risalire l’ori-gine della sofferenza al peccato dell’uomo consumato nel Giardino (Gen 3,1ss). Se per la sacra Scrittura la sofferenza è un male, allo stesso tempo presenta diversi aspetti positivi della sofferenza: la sofferenza del singolo (il servo di Iahvè) serve per la redenzione di tutto il popolo (Is 40,2; 53), la sofferenza di Giobbe è via alla contemplazione e alla conoscenza di Dio, e nel libro della Sapienza si parla della superiorità della sofferenza (Sap 3,1). Nel Nuovo Testamento tutti i cristiani partecipano alle sofferenze di Cristo (Fil 1,29ss; 1Pt 4,13), ma ciò non è motivo di tristezza, ma anzi fondamento di gioia (Col 1,24).

Santo del giorno: 18 Settembre – San Giuseppe da Copertino: “Giuseppe Maria Desa nacque il 17 giugno 1603 a Copertino (Lecce) in una stalla del paese. Il padre fabbricava carri. Rifiutato da alcuni Ordini per «la sua poca letteratura» (aveva dovuto abbandonare la scuola per povertà e malattia), venne accettato dai Cappuccini e dimesso per «inettitudine» dopo un anno. Accolto come Terziario e inserviente nel conventino della Grotella, riuscì ad essere ordinato sacerdote. Aveva manifestazioni mistiche che continuarono per tutta la vita e che, unite alle preghiere e alla penitenza, diffusero la sua fama di santità. Giuseppe levitava da terra per le continue estasi. Così, per decisione del Sant’Uffizio venne trasferito di convento in convento fino a quello di San Francesco in Osimo. Giuseppe da Copertino ebbe il dono della scienza infusa, per cui gli chiedevano pareri perfino i teologi e seppe accettare la sofferenza con estrema semplicità. Morì il 18 settembre 1663 a 60 anni” (Avvenire).

Preghiamo: O Dio, che hai creato e governi l’universo, fa’ che sperimentiamo la potenza della tua misericordia, per dedicarci con tutte le forze al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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