liturgia

2 Settembre 2018

2 Settembre 2018 – XXII del Tempo Ordinario (B)

Dal libro del Deuteronòmio (4,1-2.6-8) – Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando… osserverete i comandi del Signore: Il Deuteronòmio, a differenza delle altre tradizioni del Pentateuco, insiste sulla condiscendenza che rende Dio vicino al suo popolo: egli abita in mezzo ad esso (cfr. Dt 12,5). Una presenza che si farà “fisicamente visiva” con l’incarna-zione del Figlio di Dio, Cristo Gesù (cfr. Gv 14,9).

 Dal Salmo 14 (15) – Chi teme il Signore abiterà nella sua tenda: «Dimmi: cerchi danaro e guadagno dal povero? Se avesse potuto renderti più ricco, avrebbe forse battuto alla tua porta? È venuto per trovare aiuto, ha trovato un nemico. Ha cercato un rimedio, ha incappato nel veleno. Sarebbe stato tuo dovere alleviare la miseria di quell’uomo, e tu invece ne aumenti l’indigenza, cercando di ricavare tutto il possibile dalla miseria. Come se un medico, recandosi dagli ammalati, invece di guarirli, togliesse loro anche quel poco di forza vitale che resta: così tu fai della sventura dei miseri un’occasione di guadagno. E come gli agricoltori bramano la pioggia perché si moltiplichino le sementi, così tu desideri il bisogno e la miseria degli uomini, perché il denaro ti sia più produttivo. Non sai che rendi tanto maggiore la massa dei tuoi peccati, quanto più pensi di aumentare la tua ricchezza per mezzo dell’usura?» (Basilio il Grande).

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (1,17-18.21b-22.27) – Siate di quelli che mettono in pratica la Parola: Giacomo mirabilmente mette in luce la vera religiosità cristiana, quella che egli chiama «religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre». Tale religiosità pura e senza macchia consta di due elementi: l’apertura verso i deboli e gli indifesi (orfani e vedove, le categorie sociali più bistrattate); il distacco dal mondo ingannevole e passeggero, il che vuol dire «intestardirsi» a cercare «le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio»; a pensare «alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,1-2).

Dal Vangelo secondo Marco (7,1-8.14-15.21-23) – Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini: Per la comprensione del Vangelo è opportuno richiamare alla memoria le norme di purità che gli Ebrei ritenevano di dover osservare prima di prestare il culto liturgico a Dio. Essi distinguevano tra cose, persone, creature, azioni pure e impure. Chi veniva a contatto con ciò che era considerato impuro doveva purificarsi, prima di entrare in contatto con Dio. I rabbini, noti anche come maestri (rav) o saggi (chakham) «facevano risalire la tradizione orale, attraverso gli “anziani”, a Mosè… A proposito dell’impurità delle mani, obiettata dai Farisei, Gesù prende in considerazione la questione più generale dell’impurità attribuita dalla legge a certi alimenti [Lv 11] e insegna a posporre l’impurità legale a quella morale, la sola che importa veramente [cfr. At 10,9-16; 10,28]» (Bibbia di Gerusalemme).

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uo-mo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Approfondimento

 Dal cuore nascono i propositi di male: impurità, furti… invidia – R. T. (Invidia in Schede Bibliche, EDB): Nel Nuovo Testamento l’invidia è indicata col termine fthónos e talvolta con zêlos. Gesù, nel corso della sua vita, è stato oggetto di invidia da parte dei sommi sacerdoti e dei farisei a causa del successo che otteneva tra le folle (Mt 27,18; Gv 11,45-57). Egli ha spiegato che l’origine di questa tendenza cattiva, come delle altre, è nel cuore dell’uomo; è lì quindi che bisogna vincerla: «Escono infatti dal cuore degli uomini le intenzioni cattive, fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive escono fuori e contaminano l’uo-mo» (Mc 7,21-31). Gesù ha accennato all’invidia anche in alcune parabole. Nella parabola degli operai della vigna si rimprovera l’«occhio cattivo» di coloro che mormorano perché i chiamati dell’ultima ora ricevono la paga dell’intera giornata. Il padrone della vigna afferma che non c’è ragione di dolersi dei doni che la sua bontà vuole elargire, oltre il giusto salario, indipendentemente dai meriti dei lavoratori (Mt 20,13-14). Ugualmente, il figlio fedele della nota parabola lucana non avrebbe motivo di infuriarsi per il trattamento di bontà e di generosità che viene fatto al fratello prodigo, pentito e tornato alla casa del padre (Lc 15,29-32). Nelle lettere di s. Paolo, l’invidia compare in vari elenchi di vizi; essa è tra i peccati che caratterizzano la vita dei pagani che colpevolmente non ri-conoscono Dio (Rm 1,29); è una delle «opere della carne» che possono escludere dal regno di Dio e che non si accordano con la vita «secondo lo Spirito» (Gal 5,21.26); è una delle «opere delle tenebre» che il cristiano deve respingere (cfr. Rm 13,13). I credenti, prima di ricevere il battesimo, vivevano immersi nella malizia e nell’invidia, odiosi, nemici a vicenda» (Tt 3,3-4). Ma poi, dopo l’immersione battesimale, hanno rinunciato a ogni forma di malizia, compresa l’invidia, per vivere una vita nuova (1Pt 2,1-2). Anche dopo il battesimo, uno può lasciarsi prendere dall’invidia (1Cor 3,3; 2Cor 12,20); ma se vuole, può superarla mediante la carità, la quale sa rallegrarsi del bene altrui (1Cor 13,4-5). In qualche testo, l’invidia viene indicata come un pericolo anche per i pastori del gregge di Cristo. Essa è una delle caratteristiche dei falsi dottori, la cui azione pastorale è guidata dall’orgoglio e dall’avarizia (1Tm 6,3-5). Alcuni predicatori annunciano il vangelo esclusivamente per spirito di rivalità e di invidia verso Paolo o altri apostoli, allo scopo di rovinarne l’autorità presso i fedeli e di soppiantarla. S. Paolo ritiene che questa motivazione faziosa non faccia perdere al vangelo il suo valore; tuttavia non può che disapprovare i predicatori che si lasciano guidare da tali sentimenti: «Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. Questi lo fanno con carità…; quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non pure, pensando di aggiungere dolore alle mie catene. Che importa? Purché in ogni maniera, sia nella ipocrisia che nella verità, Cristo venga annunciato, me ne rallegro e rallegrerò» (Fil 1,15-18). San Giacomo spiega che l’invidia ha un ruolo non piccolo nella genesi delle contese e delle lotte tra gli uomini (Gc 4,1-2). Egli definisce «amaro» questo peccato, che è il frutto di una falsa sapienza, chiamata «carnale» e «diabolica» perché ha la sua origine nel padre della menzogna. A questa sapienza si contrappone quella «dall’alto», di origine divina, che porta frutti di pace, di mitezza, di misericordia: «Ma se avete nel vostro cuore dell’invidia amara e spirito di contesa, non gloriatevi e non mentite contro la verità. Questa non è sapienza che viene dall’alto: è terrena, carnale, diabolica; poiché dove c’è invidia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di male. Ma la sapienza che viene dall’alto, anzitutto è pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia» (Gc 3,14-17).

Commento al Vangelo

Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti… – Ai tempi di Gesù, i Farisei e gli scribi erano considerati i fedeli custodi della tradizione scritta ed orale per cui la loro autorità era indiscussa. Ma la tradizione orale, il cui scopo era quello di esplicitare quella scritta e così alleggerirla, in verità la rendeva insopportabile, a volte, anche per le stesse guide spirituali tanto che spesso, con mille sotterfugi, arrivavano intenzionalmente a trasgredirla: «Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,3). Il tema della discussione è quello del «lavarsi le mani» che non era un norma igienica, ma una prescrizione rituale della purificazione secondo la «tradizione degli antichi». I tutori della legge consideravano Gesù e i suoi discepoli, a motivo del loro atteggiamento insubordinato, sovvertitori della legge e questo per la nazione intera poteva avere conseguenze inimmaginabili (Gv 11,48). La loro disubbidienza, poi, era sotto gli occhi di tutti; quindi, era urgente fermarli prima che fosse troppo tardi. Così si capisce perché la «casa madre», Gerusalemme, si premura di inviare a Genèsaret alcuni esperti della legge. Sotto il rimprovero capzioso rivolto a Gesù, si può cogliere quella mentalità dura a morire la quale nasceva dalla considerazione che la legge, e sopra tutto la sua osservanza, bastava a giustificare il Giudeo: chi non osservava la legge era gente dannata (Gv 7,49), tagliata fuori dal progetto salvifico. Gesù, agli occhi dei Farisei, non soltanto sovvertiva la tradizione degli antichi, ma fuorviava il popolo introducendolo in sentieri che lo avrebbe portato molto lontano dalla salvezza. Accuse quindi molto pesanti che andavano al di là della banalità di lavarsi le mani. Gesù innanzi tutto si rifà agli insegnamenti dei Profeti in eterno conflitto con il potere deviante dei governanti e con il posticcio culto che la nazione rendeva a Dio. I re, sovente idolatri, sguazzavano nella melma della sensualità (cfr. Sir 47,19) e non si facevano scrupolo di ammazzare pur di possedere la donna oggetto delle loro brame (cfr. 2Sam 11,1-27). Il popolo, da par suo, era abilissimo nell’emulare le sue guide: da una parte l’in-censo e dall’altra una vita scellerata (cfr. Is 1,11-13); da una parte le preghiere nel tempio e dall’altra parte le mani lorde di sangue fraterno (cfr. Is 1,15); da una parte l’osservanza del Sabato e dall’altra la bramosia che tutto passasse in fretta perché si potesse riprendere a vendere rubando e truffando sul peso (cfr. Am 8,5-6). La risposta di Gesù è molto aspra, la sua è infatti una controaccusa: i toni sono forti perché sta rimproverando uomini imparentati con i camaleonti, abili nell’apparire «giusti all’esterno davanti agli uomini» (Mt 23,28) e soprattutto molto abili nell’eludere i comandamenti di Dio contrapponendovi la tradizione umana (cfr. Mc 7,9). Per cui Gesù senza mezzi termini li taccia di ipocrisia: il termine hipokrites descrive gli attori con il volto nascosto da una maschera. In questa prima discussione Gesù non coinvolge il popolo, si rivolge solo ai Farisei e agli scribi perché tecnicamente capaci di comprendere il suo linguaggio. Poi chiama la folla e qui il discorso ha la forma di didascalia, cioè di insegnamento; un insegnamento rivolto a tutti, discepoli e no, e che da tutti doveva essere ritenuto tale. Gesù non è un rivoluzionario: la legge va osservata anche nei più piccoli particolari perché lui non è venuto per abolirla, ma per renderla perfetta (cfr. Mt 5,17-19). È un invito a guardarsi dentro: la creazione di per sé è buona e c’è un solo tipo di impurità che allontana l’uomo da Dio ed è quella che scaturisce dal suo cuore. È l’uomo, se non ha un cuore puro, a rendere impure anche le cose buone: ciò che scaturisce da un cuore impuro è una lurida bava che sporca tutto, anche le più belle e oneste intenzioni. E poi, ora, nella pienezza del tempo, non è la legge e la sua osservanza a giustificare l’uomo, ma la fede in Cristo (cfr. Rm 5,1s).

Riflessione

La legge e i cristiani – Le polemiche asfissianti sull’osservanza della legge tra Farisei e cristiani andranno avanti ancora per molti anni. La Chiesa apostolica dovrà fare i conti sopra tutto con i credenti provenienti dal giudaismo, i quali, fanatici e per nulla rinnovati nel cuore, cercheranno di imporre il giogo della legge mosaica ai cristiani in modo particolare a quelli che provenivano dal paganesimo. Una lotta estenuante che imporrà all’apostolo Paolo di prendere spesso carta e penna per difendere con forza l’affrancamento dalla legge mosaica: «Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali “Non prendere, non gustare, non toccare”? Tutte cose destinate a scomparire con l’uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne» (Col 2,20-23). E non pago scriverà agli stolti Galati: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla» (Gal 5,1-2). La libertà è un anelito che trova radici profonde nel cuore dell’uomo. È il frutto di lotte, di conquiste pagate a caro prezzo… ma cosa significa libertà per l’uomo di oggi? Che valore ha? Cosa significa vivere da uomini liberi? Il Magistero della Chiesa risponde a queste domande e lo fa dicendo innanzi tutto che la libertà dell’uomo è «finita e fallibile». «Di fatto, l’uomo ha sbagliato. Liberamente ha peccato. Rifiutando il disegno d’amore di Dio, si è ingannato da sé; è divenuto schiavo del peccato. Questa prima alienazione ne ha generate molte altre. La storia dell’u-manità, a partire dalle origini, sta a testimoniare le sventure e le oppressioni nate dal cuore dell’uomo, in conseguenza di un cattivo uso della libertà» (CCC 1739). Quindi, l’uomo, nel gustare il dono della libertà, deve partire dalla sincera consapevolezza che nel cuore porta una profonda ferita inferta dal peccato dei Progenitori e dal suo peccato attuale: un vulnus che lo spinge al male (Rm 7,14-25). Per cui se la libertà non è incanalata nell’alveo di veri valori può diventare libertinaggio e paradossalmente mera schiavitù. Per cui, l’esercizio della libertà «non può implicare il diritto di dire e di fare qualsiasi cosa». «È falso pretendere che l’uomo, soggetto della libertà, sia un “individuo sufficiente a se stesso ed avente come fine il soddisfacimento del proprio interesse nel godimento dei beni terrestri”. Peraltro, le condizioni d’ordine economico e sociale, politico e culturale richieste per un retto esercizio della libertà troppo spesso sono misconosciute e violate. Queste situazioni di accecamento e di ingiustizia gravano sulla vita morale ed inducono tanto i forti quanto i deboli nella tentazione di peccare contro la carità. Allontanandosi dalla legge morale, l’uomo attenta alla propria libertà, si fa schiavo di se stesso, spezza la fraternità coi suoi simili e si ribella contro la volontà divina» (CCC 1740). Solo Cristo ha veramente reso liberi gli uomini perché con la sua croce gloriosa li ha «riscattati dal peccato che li teneva in schiavitù». Noi siamo liberi perché Cristo ci ha liberato dal peccato. La vera libertà consiste nel non essere più schiavi del peccato: in Cristo «abbiamo comunione con “la verità” che ci fa liberi [Gv 8,32]. Ci è stato donato lo Spirito e, come insegna l’Apostolo, “dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” [2Cor 3,17]» (CCC 1741). E non è vero che la «grazia di Cristo si pone in concorrenza con la nostra libertà», soprattutto «quando questa è in sintonia con il senso della verità del bene che Dio ha messo nel cuore dell’uo-mo» (CCC 1742). Si può quindi affermare che la libertà inizia ad essere realtà, vera e concreta, solo quando l’uomo accoglie con amore il Dono-Gesù che viene «dall’alto e discende dal Padre della luce».

La pagina dei Padri

Le cose che macchiano l’uomo – Cromazio di Aquileia: Dio, infatti, non richiede dall’uomo se mentre sta per mangiare si lava le mani, ma se ha il cuore puro e la coscienza monda dalle impurità dei peccati. In effetti, cosa giova lavare le mani ed avere la coscienza macchiata ? Quindi i discepoli del Signore poiché erano puri di cuore e preferivano una coscienza monda ed immacolata, non davano importanza a lavarsi le mani, che con tutto il corpo, insieme, nel battesimo avevano lavato, mentre il Signore diceva a Pietro: “Chi una volta è lavato, non ha bisogno di lavarsi di nuovo, ma è tutto puro, come siete voi” (Gv 13,10). Invece, che quel lavacro dei Giudei fosse necessario al popolo, il Signore da tempo lo aveva mostrato per mezzo del profeta, dicendo: “Lavatevi, siate puri, togliete l’iniquità dai vostri cuori” (Is 1,16). Con questo lavacro, quindi, fu prescritto non che si lavassero le mani, ma che togliessero le iniquità dai loro cuori. Per questo, se gli scribi e i farisei, avessero voluto capire o accettare questa celeste purificazione non si lamenterebbero mai delle mani impure. Per mostrare ancora più ampiamente inutile il rimprovero degli scribi e dei farisei sulle mani non lavate, il Signore, chiamata a sé la folla disse: “Non ciò che entra nella bocca macchia l’uomo, ma ciò che esce lo rende impuro” (Mt 15,11) dimostrando che non dal cibo che entra per la bocca, ma piuttosto dai cattivi pensieri dell’anima, che provengono dal cuore, l’uomo si rende immondo. I cibi, infatti, che prendiamo da ingerire, sono stati creati da Dio per l’uso della vita umana e benedetti, e perciò non possono macchiare l’uomo. Ma i cattivi e contrari pensieri che provengono dal cuore, come lo stesso Signore ha interpretato, cioè, “gli omicidi, gli adulteri, le impurità, i furti, le false testimonianze, le bestemmie” (Mt 15,19) e tutte le altre azioni malvagie, che provengono dal demonio, che ne è l’autore, queste sono le cose che veramente macchiano l’uomo.

 

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