30 Agosto 2018 – Giovedì, XXI del Tempo Ordinario – (1Cor 1,1-9; Sal 144[145]; Mt 24,42-51) – I Lettura: Il tema della Parusìa è spesso trattato da Paolo. Anche nella Prima lettera ai Corìnzi, dove risponde a problemi circa quella comunità, ne fa riferimento come il fine dell’attesa dei credenti. Quel giorno sarà atteso con fiducia, perché Dio stesso darà la grazia della perseveranza malgrado le presenti devianze. Vangelo: Nessuno conosce il tempo in cui il Signore verrà. Il periodo dell’attesa deve essere vissuto come un padrone di casa che vigila continuamente perché l’abitazione non venga scassinata e con l’attenzione del servo che sa di gestire beni non suoi.
Tenetevi pronti – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni. Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».
Riflessione: «… lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di den–ti». Bisogna ammettere che le pagine evangeliche degli ultimi giorni apparentemente non ci stanno fornendo spun-ti particolarmente “gioiosi”: le invettive contro i farisei, le ipocrisie degli scribi, la pusillanimità di Erode… e anche oggi, nella figura del servo malvagio, non mancano le immagini di punizioni meritate. Tutto ciò deve inquietarci, atterrirci, mostrarci un volto crudele di Dio? Certamente no! Dio è amore, è misericordia, è comunione, è Padre… ci ha dato tutto e di tutto ciò che ha vuole farci partecipi, ma ci lascia liberi: liberi di aderire o meno alla sua proposta; liberi di piantare nel terreno del nostro cuore frutti buoni o cattivi, fiori o spine; liberi di seguirlo o rinnegarlo. Nella parabola oggi riportata dalla Liturgia della Parola, il servo ha la piena fiducia e stima del padrone, il quale lo mette come signore delle sue cose e gli affida i suoi beni. Poi lo lascia libero, ma tale libertà è data perché il bene che vogliamo fare non sia imposto ma scelto. San Paolo sottolinea la libertà di azione di ciascuno: «Tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,6-7). Quando leggiamo di severità, allora, non dobbiamo intenderle come azioni di un Dio irascibile e vendicativo. Dio fa di tutto per attirarci a sé e pur di non vederci schiavi del peccato non ha esitato di salire sulla Croce. Ma nulla può contro la nostra ostinazione: se lo buttiamo fuori dalla nostra vita, egli rimane alla porta e bussa, ma non la sfonda! E come non può costringerci ad amarlo su questa terra, come non può costringerci a seguire le sue indicazioni e a percorrere le sue vie, così anche nel momento del giudizio, con la morte, non può che constatare il nostro rifiuto di lui e della sua Legge. Dio ci dona il buon seme e il terreno, poi ci lascia liberi di scegliere cosa piantare: ma se piantiamo spine non possiamo poi incolparlo perché la nostra vita è piena di rovi inestricabili. Ci ha fatti signori, sappiamone approfittare.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Tenetevi pronti – CCC 1040-1041: Il giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l’ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte. Il messaggio del giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini «il momento favorevole, il giorno della salvezza» (2Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del regno di Dio. Annunzia la «beata speranza» (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale «verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto».
Il giudizio particolare – CCC 1021-1022: La morte pone fine alla vita dell’uomo come tempo aperto all’accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell’incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l’immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone così come altri testi del Nuovo Testamento parlano di una sorte ultima dell’anima che può essere diversa per le une e per le altre. Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre.
Là sarà pianto e stridore di denti – Congregazione della fede (Lettera su alcune questioni concernenti l’escato-logia): In ciò che concerne le condizioni dell’uomo dopo la morte, c’è da temere particolarmente il pericolo di rappresentazioni fantasiose ed arbitrarie, perché i loro eccessi entrano, in gran parte, nelle difficoltà che spesso incontra la fede cristiana. Tuttavia, le immagini usate nella S. Scrittura meritano rispetto. È necessario coglierne il senso profondo, evitando il rischio di attenuarle eccessivamente, il che equivale spesso a svuotare del loro contenuto le realtà che esse designano. Né le Scritture né la teologia ci offrono lumi sufficienti per una rappresentazione dell’aldilà. Il cristiano deve tener fermi saldamente due punti essenziali: egli deve credere, da una parte, alla continuità fondamentale che esiste, per virtù dello Spirito Santo, tra la vita presente nel Cristo e la vita futura – in effetti, la carità è la legge del Regno di Dio, ed è precisamente la nostra carità quaggiù che sarà la misura della nostra partecipazione alla gloria del Cielo -; ma, d’altra parte, il cristiano deve discernere la rottura radicale tra il presente ed il futuro in base al fatto che, al regime della fede, si sostituisce quello della piena luce: noi saremo col Cristo e «vedremo Dio» (cfr. 1Gv 3,2), promessa e mistero inauditi in cui consiste essenzialmente la nostra speranza.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Riflettete bene: Se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte il ladro debba venire, veglierebbe certamente e non lascerebbe spogliare la sua casa. Quindi voi state preparati, perché il Figlio dell’uomo verrà in quell’ora che meno pensate [Mt 24,43-44]. Non rivela quel giorno perché siano vigilanti e sempre pronti, e dichiara che in quell’ora che meno pensano allora egli verrà, perché siano sempre preparati alla battaglia e costantemente dediti alla virtù. Le sue parole in definitiva vogliono dire questo: se gli uomini conoscessero il momento della loro morte, si preparerebbero con grande impegno e con ogni cura per quell’ora. Ma allo scopo di non limitare il loro fervore a quel giorno, non rivela né il giorno del giudizio universale, né il giorno del giudizio particolare volendo che essi siano costantemente in attesa e sempre fervorosi” (San Giovanni Crisostomo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: … il loro verme non muore e il fuoco non si estingue (Mc 9,48) – «Per questo verme che non muore, spiega S. Tommaso che s’intende il rimorso di coscienza, dal quale eternamente sarà il dannato tormentato nell’inferno. Molti saranno i rimorsi con cui la coscienza roderà il cuore dei reprobi, ma tre saranno i rimorsi più tormentosi: il pensare al poco per cui si sono dannati: al poco che dovevano fare per salvarsi: e finalmente al gran bene che hanno perduto. Il primo rimorso dunque che avrà il dannato sarà il pensare per quanto poco s’è perduto. Dopo che Esaù si cibò di quella minestra di lenticchie, per cui aveva venduta la sua primogenitura, dice la Scrittura che per il dolore e rimorso della perdita fatta si pose ad urlare: «Irrugiit clamore magno» (Gen 27,34). Oh quali altri urli e ruggiti darà il dannato pensando che per poche soddisfazioni momentanee e avvelenate ha perduto un regno eterno di contenti, e di vedersi eternamente condannato ad una continua morte! Onde piangerà assai più amaramente, che non piangeva Gionata, allorché si vide condannato a morte da Saul suo padre, per essersi cibato d’un poco di miele. «Gustans gustavi paulum mellis, et ecce morior» (1Sam 14,43). Oh Dio, e qual pena apporterà al dannato il vedere allora la causa della sua dannazione? Al presente che cosa a noi sembra la nostra vita passata, se non un sogno, un momento? Or che sembreranno a chi sta nell’inferno quei cinquanta, o sessanta anni di vita, che avrà vissuti in questa terra, quando si troverà nel fondo dell’eternità, in cui saranno già passati cento e mille milioni d’anni, e vedrà che la sua eternità allora comincia! Ma che dico cinquanta anni di vita? cinquanta anni tutti forse di gusti? e che forse il peccatore vivendo senza Dio, sempre gode nei suoi peccati? quando durano i gusti del peccato? durano momenti; e tutto l’altro tempo per chi vive in disgrazia di Dio, è tempo di pene e di rancori. Or che sembreranno quei momenti di piaceri al povero dannato? e specialmente che sembrerà quell’uno ed ultimo peccato fatto, per il quale s’è perduto? Dunque (dirà) per un misero gusto brutale ch’è durato un momento, e appena avuto è sparito come vento, io starò ad ardere in questo fuoco, disperato ed abbandonato da tutti, mentre Dio sarà Dio per tutta l’eternità!” (Sant’Alfonso Maria de’ Liquori, Apparecchio alla morte).
Santo del giorno: 30 Agosto – Santa Margherita Ward, Martire in Inghilterra: “Fa parte di un gruppo di 40 martiri inglesi, beatificati da Pio XI il 15 dicembre 1929 e poi canonizzati da Paolo VI il 25 ottobre 1970. Essi morirono negli anni dal 1535 al 1679, al tempo delle persecuzioni contro i cattolici. Margherita Ward nacque a Congleton intorno al 1550, da distinta famiglia. Cattolica, aveva saputo dell’arresto del sacerdote Guglielmo Watson, che era stato sottoposto a tortura. Margherita lo visitò varie volte. Watson era stato già imprigionato una volta ma, in un momento di debolezza per le torture subite, aveva acconsentito a partecipare ad un culto protestante ed era stato liberato: pentitosi, aveva dichiarato di essere cattolico e quindi era finito nuovamente in prigione. Margherita ne favorì la fuga, ma una corda penzolante fece capire che era stato aiutato dalla donna e la Ward venne arrestata. Lei confermò quanto fatto e si rifiutò di rivelare il nascondiglio del fuggitivo, non volle chiedere il perdono alla regina Elisabetta, né aderire al culto protestante. Per questa ragione venne impiccata il 30 agosto 1588” (Avvenire).
Preghiamo: O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Per il…