agosto, meditazioni

25 Agosto 2018

25 Agosto 2018 – Sabato, XX del Tempo Ordinario – (Ez 43,1-7a; Sal 84[85]; Mt 23,9b.10b) – I Lettura: Il punto centrale dei capp. 40-48 è il ritorno della Gloria del Signore nel Tempio. Entra dalla porta orientale dalla quale era uscito per colpa dei sacrilegi commessi. Sarà inaugurato un nuovo culto libero da quelle profanazioni che lo caratterizzarono. Vangelo: Gli scribi iniziarono ad assumere importanza nel periodo esilico. Loro merito fu di aver trascritto e conservato i libri della Legge. Il loro compito li portò ad assumere il ruolo di interpreti della Legge. Gesù non contrasta il loro insegnamento, ma l’incoerenza tra ciò che insegnano e la pratica.

Dicono e non fanno – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Riflessione: «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono». Gesù parla senza parabole, senza immagine retoriche o peli sulla lingua: le sue parole, seppur rivolte alla folla, mirano dritte contro gli scribi e i farisei. In realtà le parole di Gesù non sono mai “contro” nessuno: Gesù è il Maestro e anche quando sembra severo fino quasi all’offesa, in realtà cerca solo di esortare, di riportare nella retta via. E così fa con gli scribi e i farisei: e la frase riportata all’inizio ci dimostra proprio il rispetto di Gesù verso costoro. Da una parte svela le loro magagne, denuncia le loro ipocrisie, prende le distanze da un comportamento che nulla ha di religioso e in nulla conduce a Dio. Ma dall’altro lato, Gesù rimane rispettoso e obbediente alla Legge e ai loro rappresentanti: sottomesso alla Legge in tutto, dalla circoncisione della carne fino al pagamento del tributo al Tempio. Egli pur essendo Signore del sabato, creatore di ogni cosa, riconosce in quegli uomini peccatori e limitati, i rappresentanti della Legge, gli interpreti delle Scritture, coloro che erano deputati a tramandare le tradizioni e i costumi dei padri. Da qui l’invito ad ascoltarli, ad obbedirgli, ad osservare tutto ciò che prescrivono, senza eccezioni, seppur la loro condotta deplorevole non dovesse essere in nulla imitata e per nulla approvata. Così ieri… e così oggi! Gli uomini, indipendentemente dal ruolo che svolgono o dalle cariche che ricoprono rimangono sempre peccatori, come lo stesso Gesù in più occasioni ci ricorda: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra» (Gv 8,7). Questo significa essenzialmente due cose molto semplici. Anzitutto che nessuno è giustificato nel suo allontanarsi dalla Chiesa, dai Sacramenti, dalla Santa Messa, ecc… prendendo come pretesto il peccato degli “uomini di Chiesa” (che nessuno vuole negare!). Siamo cristiani e quindi accogliamo tutto ciò che Cristo ci offre per mezzo della Chiesa in quanto ce lo dona Cristo e non gli uomini, i quali sono solo strumenti, difettosi forse ma voluti e istituiti dal Cristo stesso. Seconda osservazione: è facile vedere il peccato negli altri, specie in chi è messo alla vista di tutti, ma prima di scandalizzarci del prossimo dovremmo avere il coraggio di accusare e confessare il nostro peccato (cfr. Mt 7,1-5).

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Sulla cattedra di Mosè… – Giovanni Paolo II (Omelia, 31 Ottobre 1993): Voi vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento” (Ml 2, 8). Questa parola del profeta Malachìa sottolinea la grande responsabilità dei ministri dell’altare e della Parola. La loro incoerenza è doppiamente grave, perché ad essa s’accompagna lo scandalo. Guai a coloro che dovrebbero essere gli educatori del popolo di Dio, e invece gli sono d’inciampo! Non meno dure le parole di Gesù, per coloro che si sono seduti sulla cattedra di Mosè, non come umili servi della Parola di Dio, ma come avidi cercatori del plauso degli uomini. In essi, parola e vita appaiono in stridente contrasto: sono maestri di cose che non osservano, impongono fardelli che non osano portare, rivendicano un titolo – quello di “rabbi” – che loro non appartiene (cfr. Mt 23,10).

Le parole commuovono, ma gli esempi trascinano – Pio XI (Ad Catholici Sacerdotii, Lettera Enciclica): […] il sacerdote è distributore della grazia di Dio, di cui i Sacramenti sono i canali; ma troppo disdirebbe a un tale distributore, se di quella grazia preziosissima egli stesso fosse privo o anche solo ne fosse in sé scarso estimatore e pigro custode. Di più egli deve insegnare la verità della fede: la verità religiosa non si insegna mai tanto degnamente e tanto efficacemente, che quando è accompagnata dalla virtù; poiché, come dice il comune effato: “Le parole commuovono, ma gli esempi trascinano”. Deve annunziare la legge evangelica; ma, per ottenere che gli altri l’abbraccino, l’argomento più accessibile e più persuasivo, con la grazia di Dio, è il vedere quella legge attuata nella vita di chi ne inculca l’os-servanza. E San Gregorio Magno ne dà la ragione: “Più facilmente penetra nel cuore degli uditori quella voce che ha in suo favore la vita del predicatore, perché, mostrando con l’esempio come si debba operare, aiuta a fare quello che inculca”. Così appunto del divin Redentore dice la Sacra Scrittura che “cominciò a fare e ad insegnare”, e le turbe lo acclamavano, non tanto perché “nessun uomo ha mai parlato come quest’uomo”, quanto, piuttosto perché “ha fatto bene ogni cosa”. E al contrario “quelli che dicono e non fanno” si rendono simili agli Scribi e Farisei, a rimprovero dei quali lo stesso divin Redentore, pur salvando l’autorità della parola di Dio che annunziavano legittimamente, ebbe a dire al popolo che l’ascoltava: “Sulla cattedra di Mosè si sono assisi gli Scribi e i Farisei: osservate dunque e fate tutto quello che essi vi dicono; non vogliate però agire secondo le loro opere”. Un predicatore che non si sforzi di confermare con l’esempio della vita la verità che annunzia, distruggerebbe con una mano quello che edifica con l’altra.

Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo – Card. Tarcisio Bertone (Omelia, 2 Marzo 2010): La fedeltà alla propria missione è garantita dall’umiltà di saper riconoscere i propri errori e di aprirsi continuamente a prospettive più grandi, vivendo in maniera convinta il grande precetto dell’amore verso Dio e verso i fratelli, soprattutto i più deboli. Analogo invito a non chiudersi nelle proprie sicurezze, ma a vivere la grande legge dell’umiltà e a cercare la vera grandezza, ci viene rivolto da Gesù nel Vangelo di Matteo, appena letto: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato” (Mt 23,11-12). Anche queste parole di Gesù contengono un insegnamento per chi è chiamato a svolgere gli incarichi di fiducia che vi verranno conferiti e che vanno vissuti non come occasioni di fatua esaltazione e di false sicurezze, ma come grande opportunità per guardare all’unico Maestro, Cristo, e imparare da Lui a non fare nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma a considerare con tutta umiltà gli altri superiori a se stessi, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri (cfr. Fil 2,3). Come pure a trovare nella gratitudine e nell’umiltà la vera grandezza, che non attende riconoscimenti mondani, ma soltanto la gioia di aver ben servito Dio e i fratelli, sull’esempio di Colui che “assumendo una condizione di servo… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” e per questo “Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,7-9).

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Nessun’altra cosa devi ritenere che sia più pregevole e più amabile dell’umiltà, in quanto questa virtù è quella che ti preserva e che ti fa custode – per così dire – di tutte le altre virtù. Non c’è altro che ci rende così accetti agli uomini e a Dio del ritenerci all’ultimo posto per umiltà, anche se siamo in vista, grazie ai meriti della nostra vita. Tant’è vero che la Scrittura dice: Quanto più sei grande, tanto più ti devi umiliare, e allora troverai grazia davanti a Dio (Sir 3,18); e Dio fa dire al profeta: Su chi altro mi poserò, se non su chi è umile, in pace, e timoroso delle mie parole? (Is 66,2). L’umiltà a cui devi tendere, però, non è quella che si mette in vista e che viene simulata dal portamento esteriore o dalle parole sussurrate a metà, ma quella che lascia trasparire un genuino sentimento interiore. Una cosa, infatti, è avere una virtù, e altra cosa lo scimmiottarla; una cosa è andare dietro a un’ombra di realtà, e altra cosa è seguire la verità. Quella superbia che si nasconde sotto certi accorgimenti di umiltà è molto più mostruosa. Non so perché, ma i vizi che si mascherano con apparenze virtuose sono molto più ripugnanti” (Girolamo).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: La superbia, l’ipocrisia, l’ostentazione sono vermi putridi che divorano tutto, a volte, anche i cuori più generosi. La santità non consiste in un formalismo esteriore, fatto unicamente di osservanze materiali e di pratiche esteriori senza che l’anima vi sia coinvolta in una spinta d’amore, generosa e disinteressata, verso Dio e gli uomini. Gli scribi e i farisei pretendevano di essere i legittimi successori di Mosè, si erano seduti sulla sua cattedra, e si autodefinivano maestri in materia di morale, di religione, di liturgia, stabilendo che cosa doveva essere fatto o non essere fatto, ma questo lo stabilivano per gli altri. Loro, i maestri della Legge, avevano poi un altro vizio: quello della pura ostentazione, compiere le pratiche religiose per essere visti e applauditi dalla gente. Gesù condanna questa vanità, ed esalta l’umiltà. “Guai a noi, sventurati, se abbiamo ereditato i vizi dei farisei!”, avverte san Girolamo, un monito valido sempre, e valido per tutti.

Santo del giorno: 25 Agosto – San Giuseppe Calasanzio, Sacerdote: “Nato nel 1557 a Peralta de la Sal, in Spagna, Giuseppe diventa sacerdote a ventisei anni. Ricopre importanti mansioni in diverse diocesi spagnole. A Roma, colpito dalla miseria in cui vivevano i ragazzi abbandonati, fonda un nuovo ordine religioso con l’obiettivo di dare un’istru-zione ai più poveri e combattere così l’analfabetismo, l’ignoranza e la criminalità. Nascono le «Scuole Pie» e i suoi religiosi vengono chiamati «scolopi». Scrive il santo: «È missione nobilissima e fonte di grandi meriti quella di dedicarsi all’educazione dei fanciulli, specialmente poveri, per aiutarli a conseguire la vita eterna. Chi si fa loro maestro e, attraverso la formazione intellettuale, s’impegna a educarli, soprattutto nella fede e nella pietà, compie in qualche modo verso i fanciulli l’ufficio stesso del loro angelo custode». Giuseppe muore il 25 agosto del 1648; nel 1948 è dichiarato da papa Pio XII «patrono Universale di tutte le scuole popolari cristiane del mondo»” (Avvenire).

Preghiamo: O Dio, che hai preparato beni invisibili per coloro che ti amano, infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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