22 Agosto 2018 – Mercoledì, XX del Tempo Ordinario – B. V. Maria Regina (Memoria) – (Ez 34,1-11; Sal 22[23]; Mt 20,1-16) – I Lettura: Il periodo dell’esilio babilonese segna un periodo di profondo cambiamento nel popolo di Israele: colpì, infatti, al cuore la vita biblica del popolo e demolì ciò che sembrava essenziale nella vita religiosa dell’Israelita, il tempio. Il periodo pre-esilico vide nascere i cosiddetti profeti scrittori. Il primo fu Amos che predicò sotto il regno di Geroboàmo II (783-743 a.C.). Annunciarono l’avvento del giorno del Signore, e accusarono i peccati dei sovrani e dei sacerdoti, ma anche di tutto il popolo, per cui il giorno del Signore sarebbe stato tremendo. Questa nota di predicazione sarà raccolta dai profeti detti apocalittici. Ezechièle è il primo di questi. Il suo libro caratterizzato dalle numerose visioni, mette in risalto l’agire misericordioso di Jahvè verso un popolo infedele, perché mal guidato. Ma se Dio si mostra benevolo e prepara una nuova ed eterna Alleanza, non è in ricompensa di un “ritorno” del popolo a Lui, ma per difendere l’onore del suo nome davanti alle nazioni: è una benevolenza preveniente in vista di un “ritorno” che avverrà dopo. Vangelo: I datori di lavoro si recavano in piazza per trovare dei disoccupati cui dare lavoro, questi pur di lavorare accettavano qualsiasi compenso. Il datore di lavoro si dimostra giusto offrendo loro un denaro, il salario di un giorno di lavoro. L’insoddisfazione dei lavoratori al momento della paga potrebbe sembrare ragionevole, ma i lavoratori non si lamentano della paga, ma del fatto che altri abbiano ricevuto quanto gli ultimi operai.
Sei invidioso perché io sono buono? – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Riflessione: «Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò». Da qualche giorno la Liturgia insiste sulla generosità del “Padrone della vigna”, sulla munificenza di questo nostro Dio che dona cento volte tanto a chi si mette a suo servizio, a chi compie le sue opere, la sua volontà. Anche la parabola raccontata oggi nel Vangelo ci suggerisce questo punto debole di Dio: egli ha un cuore generoso oltre misura, oltre ogni logica, oltre ogni umano senso della misura. Sembrerebbe quasi ingiusto, se lo volessimo guardare con gli occhi del profitto, del guadagno: noi siamo abituati ad una giustizia distributiva, meritoria, proporzionale, equilibrata, ecc… il Signore invece dà agli ultimi quanto ai primi, a chi non ha quasi avuto tempo di sudare quanto a chi ha speso la propria vita consumandosi nel realizzare i suoi progetti. E tutto questo ci fa capire una cosa meravigliosa: Dio non è un imprenditore, un datore di lavoro, un commerciante con la calcolatrice in mano, ma è semplicemente un Padre. È un Padre che ama con amore perfetto (come padre e come madre), un Dio che dona senza misura, che si offre oltre ogni sperato guadagno, che elargisce oltre ogni merito. È una logica tutta divina ma che in fondo è (o almeno dovrebbe essere!) la logica di ogni genitore che ama il proprio figlio oltre ogni ragionevole aspettativa di contraccambio: forse un genitore conta le ore spese ad accudire il proprio figlio, quante notti passate in bianco, quanti soldi spesi per crescerlo, nutrirlo, vestirlo, dargli tutto il possibile perché sia felice e in salute? Un genitore sa cosa passa nel suo cuore quando vede un figlio allontanarsi, ribellarsi, disprezzare quanto ricevuto! Ma un genitore ama, continua ad amare, continua a sperare e ad aiutare e ad accogliere e a perdonare… E se fa tutto questo è perché è ingiusto verso il figlio buono e obbediente? L’invidia è propria di chi non ha capito nulla di Dio, non ha capito nulla dell’amore di un genitore, non ha capito nulla di cosa sia l’amore! Eppure quante famiglie distrutte dall’invidia! Fratelli contro fratelli, figli contro genitori, persone sempre col calcolatore in mano pronti a misurare ogni gesto di amore e a condannarlo! Cuori tristi quelli degli invidiosi, alieni dall’amore
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Ma adesso ci domandiamo che cosa vuol dire Maria Regina? – Benedetto XVI (Udienza Generale, 22 Agosto 2012): È solo un titolo unito ad altri, la corona, un ornamento con altri? Che cosa vuol dire? Che cosa è questa regalità? Come già indicato, è una conseguenza del suo essere unita al Figlio, del suo essere in Cielo, cioè in comunione con Dio; Ella partecipa alla responsabilità di Dio per il mondo e all’amore di Dio per il mondo. C’è un’idea volgare, comune, di re o regina: sarebbe una persona con potere, ricchezza. Ma questo non è il tipo di regalità di Gesù e di Maria. Pensiamo al Signore: la regalità e l’essere re di Cristo è intessuto di umiltà, di servizio, di amore: è soprattutto servire, aiutare, amare. Ricordiamoci che Gesù è stato proclamato re sulla croce con questa iscrizione scritta da Pilato: «re dei Giudei» (cfr. Mc 15,26). In quel momento sulla croce si mostra che Egli è re; e come è re? soffrendo con noi, per noi, amando fino in fondo, e così governa e crea verità, amore, giustizia. O pensiamo anche all’altro momento: nell’Ultima Cena si china a lavare i piedi dei suoi. Quindi la regalità di Gesù non ha nulla a che vedere con quella dei potenti della terra. È un re che serve i suoi servitori; così ha dimostrato in tutta la sua vita. E lo stesso vale per Maria: è regina nel servizio a Dio all’umanità, è regina dell’amore che vive il dono di sé a Dio per entrare nel disegno della salvezza dell’uomo. All’angelo risponde: Eccomi sono la serva del Signore (cfr. Lc 1,38), e nel Magnificat canta: Dio ha guardato all’umiltà della sua serva (cfr. Lc 1,48). Ci aiuta. È regina proprio amandoci, aiutandoci in ogni nostro bisogno; è la nostra sorella, serva umile.
Come esercita Maria questa regalità di servizio e amore? – Benedetto XVI (Udienza Generale, 22 Agosto 2012): Ella [la Vergine Maria], da secoli, è invocata quale celeste Regina dei cieli; otto volte, dopo la preghiera del santo Rosario, è implorata nelle litanie lauretane come Regina degli Angeli, dei Patriarchi, dei Profeti, degli Apostoli, dei Martiri, dei Confessori, delle Vergini, di tutti i Santi e delle Famiglie. Il ritmo di queste antiche invocazioni, e preghiere quotidiane come la Salve Regina, ci aiutano a comprendere che la Vergine Santa, quale Madre nostra accanto al Figlio Gesù nella gloria del Cielo, è con noi sempre, nello svolgersi quotidiano della nostra vita. Il titolo di regina è quindi titolo di fiducia, di gioia, di amore.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: La ricompensa è la vita eterna – «I primi giusti, come Abele e Noè, chiamati, per così dire, alla prima ora, riceveranno insieme a noi la felicità della risurrezione. Altri giusti dopo di loro, Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i viventi nella loro epoca, chiamati, per così dire, verso le nove, riceveranno anch’essi la felicità della risurrezione insieme a noi. Altri giusti, Mosè e Aronne, e tutti gli altri chiamati con essi, per così dire, verso mezzogiorno, riceveranno anch’essi la felicità della risurrezione insieme a noi. Dopo di essi i santi Profeti, chiamati, per così dire, verso le tre pomeridiane, riceveranno la medesima felicità della risurrezione insieme con noi. Alla fine del mondo tutti i cristiani, che sono come chiamati all’ultima ora del giorno, riceveranno la felicità della risurrezione con tutti quelli di prima. La riceveranno tutti nello stesso tempo: vedete però dopo quanto tempo la riceveranno i primi. Se dunque i primi la riceveranno dopo molto tempo, noi la riceveremo dopo breve tempo; anche se la riceveremo insieme con loro, sembrerà che l’avremo ricevuta per primi, perché la nostra ricompensa non tarderà. Rispetto a quella ricompensa saremo dunque tutti uguali, i primi come gli ultimi e gli ultimi come i primi; … poiché quella moneta rappresenta la vita eterna” (Sant’Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: «La chiave di lettura della dura parabola di oggi sta tutta in un particolare: nel pensiero degli operai della prima ora che, vedendo il padrone dare comunque un denaro a quanti hanno lavorato per un’ora soltanto prima del tramonto, pensano: “Se a costoro che hanno lavorato meno di noi”, – questo è il ragionamento – “il padrone ha dato un denaro… a noi darà molto di più!”. E invece no: ricevono anch’essi un denaro e borbottano. Chiamati a spiegare le ragioni del loro malumore mentono: non chiedono di ricevere di più per se stessi, ma chiedono al padrone di dare agli operai dell’ultima ora di meno! Un denaro era la somma minima per far vivere una famiglia: gli operai della prima ora chiedono al padrone di cambiare la sua logica. Ed egli, giustamente, si arrabbia; i soldi sono i suoi, il contratto è rispettato. La loro visione è limitata, piccina, asfittica. Pavidi, si fanno forti con i deboli e sono deboli con il forte. Il padrone ha voluto avere con sé quegli operai alla fine della giornata per dar loro dignità, per aiutarli a portare il pane a casa. E gli operai della prima ora, invece, ne fanno una questione di (falsa) ingiustizia. Noi, operai della prima ora, rallegriamoci e stupiamoci per la straordinaria generosità di Dio!» (Paolo Curtaz).
Santo del giorno: 22 Agosto – Sant’Andrea da Fiesole (Andrea Scoto), Confessore: “Vissuto nel IX secolo, nacque probabilmente in Irlanda. Poiché ai pellegrini si dava il nome di “Scotus”, da questo deriva la leggenda di un Andrea Scoto. Questi, fu educato da Donato, maestro di filosofia che seguì in pellegrinaggio verso Roma. Giunti a Fiesole, chiamato da una voce soprannaturale, Donato fu eletto dal popolo vescovo e rimase in carica quarantasette anni. Andrea fu ordinato diacono e come arcidiacono assistette Donato, acquistando fama e stima per la vita austera e la grande carità. Restaurata la chiesa di San Martino, distrutta dagli Ungari, Andrea costruì vicino ad essa un monastero e vi si ritirò con alcuni compagni. Sepolto nella chiesa di San Martino a Mensola, nel 1285 fu scoperta la sua tomba, perché con numerose apparizioni egli impedì che vicino a lui fosse seppellita una peccatrice. Il vescovo Leonardo Bonafede (m. 1545) curò la traslazione delle reliquie di Andrea in un nuovo altare della chiesa di S. Martino. La sua festa è celebrata a Fiesole il 2 agosto e il culto è antichissimo” (Avvenire).
Preghiamo: O Padre, che ci hai dato come nostra madre e regina la Vergine Maria, dalla quale nacque il Cristo, tuo Figlio, per sua intercessione donaci la gloria promessa ai tuoi figli nel regno dei cieli. Per il nostro Signore Gesù Cristo….