Dal libro dei Proverbi (9,1-6) – Mangiate il mio pane, bevete il vino che vi ho preparato: Il capitolo 9 del libro della Sapienza chiude la prima raccolta di proverbi (cc. 1-9) che aveva celebrato la Sapienza come fonte e maestra di vita e di intelligenza. La Sapienza è personificata e abita in una casa ricca dove tutto è perfezione (per es. le sette colonne). L’invito ad assidersi al banchetto preparato dalla Sapienza è rivolto soprattutto agli inesperti, cioè alle persone disponibili perché ben lontane dall’arroganza di chi si illude di sapere tutto. Abbandonare la stoltezza è intelligenza perché introduce l’iniziato nel mistero della vita.
Dal Salmo 33 (34) – Gustate e vedete com’è buono il Signore: «Senza ripugnanza e fastidio tu ci hai dato modo di bere alle dolci onde della pace, disponendoci a bere avidamente, a lunghi sorsi. Ma come fare, però! In noi, nelle nostre possibilità, c’è purtroppo solo un desiderio di pace, non il suo possesso! È vero che anche solo il desiderio di realizzarla ha la sua ricompensa da parte di Dio; ma è anche vero che malgrado la si desideri, fa male non vederne l’effetto compiuto… La pace la voglio anch’io; e non solo la desidero, ma la imploro! Ma intendo la pace di Cristo, la pace autentica, una pace senza residui di ostilità, una pace che non covi in sé la guerra; non la pace che soggioga gli avversari, ma quella che ci unisce in amicizia!» (San Girolamo).
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (5,15-20) – Sappiate com–prendere qual è la volontà del Signore: Anche se non sembra sostenibile, pare che l’Apostolo Paolo si riferisca a fatti incresciosi verificatisi nella comunità: «Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti» (Ef 5,3-4; cfr. v. 18). Da qui si comprende l’invito alla vigilanza e ad approfittare del tempo presente per rimettersi in carreggiata (cfr. 1Cor 7,31). I tempi cattivi sono i tempi di sempre, perché non bisogna dimenticare la presenza di satana e dei suoi satelliti in mezzo agli uomini: «Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare» (1Pt 5,8; cfr. Ef 6,11-13). Invece di passare il tempo tra passatempi triviali e inconcludenti, è più opportuno intrattenersi «a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il cuore». Non è il vino, ma lo Spirito ad imprimere un’accelerazione inebriante alla vita cristiana.
Dal Vangelo secondo Giovanni (6,51-58) – La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda: Il Vangelo presenta degli insegnamenti di tono inconfondibilmente eucaristico. A provarlo è il termine carne (sarx): anche se è diverso da quello adoperato dai sinottici nel racconto dell’ulti-ma cena (corpo, soma) gli equivale nella formula eucaristica aramaica della comunità giovannea. Se ne ha una conferma «dall’uso di “carne” in senso sacramentale in Ignazio di Antiochia [Rom 7,3; Filad 4,1; Smirn 7,1]. Risuona in questa formula, assieme al tema sacramentale, anche quello della Incarnazione [Gv 1,14] e addirittura quello della Passione nella proposizione “per”, che ha carattere sacrificale ed è molto arcaica. Va notato ancora una volta l’universalismo della salvezza annunciata» (Giuseppe Segalla). Qui, per la prima volta Giovanni parla di un dimorare reciproco fra il discepolo e Gesù, verbo caratteristico per indicare l’intimità divina (cfr. Gv 15,5.10). Questa unione reale e misteriosa è il frutto più bello dell’Eucarestia.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Approfondimento
L’Eucaristia – Catechismo della Chiesa Cattolica (1362 -1368): È il memoriale della pasqua di Cristo, l’attualizzazione e l’offerta sacramentale del suo unico sacrificio, nella liturgia della Chiesa, che è il suo Corpo. In tutte le preghiere eucaristiche, dopo le parole dell’istituzione, troviamo una preghiera chiamata anamnesi o memoriale.
Secondo la Sacra Scrittura, il memoriale non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini (cfr. Es 13,3). Nella celebrazione liturgica di questi eventi, essi diventano in certo modo presenti e attuali. Proprio così Israele intende la sua liberazione dall’Egitto: ogni volta che viene celebrata la Pasqua, gli avvenimenti dell’Esodo sono resi presenti alla memoria dei credenti affinché conformino ad essi la propria vita.
Nel NT il memoriale riceve un significato nuovo. Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia, fa memoria della Pasqua di Cristo, e questa diviene presente: il sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte sulla croce rimane sempre attuale (Eb 7,25-27): «Ogni volta che il sacrificio della croce, “col quale Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato”, (1Cor 5,7), viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione» (LG 3).
In quanto memoriale della Pasqua di Cristo, l’Eucaristia è anche un sacrificio. Il carattere sacrificale dell’Eucaristia si manifesta nelle parole stesse dell’istituzione: «Questo è il mio Corpo che è dato per voi» e «Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi» (Lc 22,19-20). Nell’Eucaristia Cristo dona lo stesso corpo che ha consegnato per noi sulla croce, lo stesso sangue che egli ha «versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,28).
L’Eucaristia è dunque un sacrificio perché ripresenta (rende presente) il sacrificio della croce, perché ne è il memoriale e perché ne applica il frutto: Cristo «[…] si è immolato a Dio Padre una sola volta morendo sull’al-tare della croce per compiere una redenzione eterna, poiché, tuttavia, il suo sacerdozio non doveva estinguersi con la morte (Eb 7,24-27), nell’ul-tima Cena, la notte in cui fu tradito (1Cor 11,23), [volle] lasciare alla Chiesa, sua amata Sposa, un sacrificio visibile (come esige l’umana natura), con cui venisse significato quello cruento che avrebbe offerto una volta per tutte sulla croce, prolungandone la memoria fino alla fine del mondo (1Cor 11,23), e applicando la sua efficacia salvifica alla remissione dei nostri peccati quotidiani» (Concilio di Trento, DS 1740).
Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio: «Si tratta infatti di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi». «E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che “si offrì una sola volta in modo cruento” sull’al-tare della croce, […] questo sacrificio [è] veramente propiziatorio» [Con-cilio di Trento, DS 1743].
L’Eucaristia è anche il sacrificio della Chiesa. La Chiesa, che è il Corpo di Cristo, partecipa all’offerta del suo Capo. Con lui, essa stessa viene offerta tutta intera. Essa si unisce alla sua intercessione presso il Padre a favore di tutti gli uomini.
Nell’Eucaristia il sacrificio di Cristo diviene pure il sacrificio delle membra del suo corpo. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo. Il sacrificio di Cristo riattualizzato sull’altare offre a tutte le generazioni di cristiani la possibilità di essere uniti alla sua offerta.
Nelle catacombe la Chiesa è spesso raffigurata come una donna in preghiera, con le braccia spalancate, in atteggiamento di orante. Come Cristo ha steso le braccia sulla croce, così per mezzo di lui, con lui e in lui essa si offre e intercede per tutti gli uomini.
Commento al Vangelo
Io sono il pane vivo – Gesù rivelandosi alla folla pane vivo, disceso dal cielo manifesta la sua origine divina: Egli è il vero pane, come Parola di Dio (Gv 1,14) e come vittima offerta in sacrificio, mediante il suo corpo e il suo sangue, per la vita del mondo (cfr. Gv 6,22). La dichiarazione se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue è rafforzata dalla formula di introduzione tipicamente giovannea In verità, in verità io vi dico che conferisce alle parole il carattere di rivelazione solenne e decisiva. E poiché le parole di Gesù sono di un realismo molto forte non possono non suscitare le reazioni dei Giudei. Il testo greco dice letteralmente: Lottavano allora gli uni gli altri i Giudei. Una sottolineatura che fa comprendere i toni aspri e molto accesi della discussione: l’insegnamento di Gesù non suscita più critiche, ma accende fra i Giudei una vera e propria lite.
La carne e il sangue è l’essere umano nella sua totalità. Per la Bibbia, il sangue è la vita (cfr. Gen 9,4-5). La sacra Scrittura proibisce non soltanto di uccidere, cioè di versare il sangue, ma anche di nutrirsene perché la vita appartiene solo a Dio. Inoltre era considerata fonte di impurità rituale ogni contatto con il sangue o con un corpo ferito o con un cadavere. Da qui lo scandalo dei Giudei. Ma così è e Gesù non pensa affatto di sfumare le sue affermazioni: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il mio sangue… la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. L’evangelista Giovanni usa la parola sarx (carne) anziché corpo (soma) usato dai sinottici nel racconto dell’Eucarestia (cfr. Mt 26,26-29; Mc 14 22-25; Lc 22,19-20). Ed è veramente impressionante che la parola carne sia ripetuta ben sei volte in poche righe come a voler sottolineare il realismo del mangiare (letteralmente masticare) che viene accompagnato al bere il mio sangue.
La novità del testo giovanneo sta appunto nella parola carne che suggerisce il rapporto tra l’Eucaristia e l’Incarnazione. Se il quarto evangelista veramente si vuole agganciare alla rivelazione chiave del prologo – In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. E il Verbo si fece carne – (Gv 1,1.14), allora si può capire perché privilegi l’uso di carne anziché di corpo.
Giovanni quindi vuole sottolineare che è nel mistero eucaristico che l’In-carnazione continua oggi tra noi e l’uomo che si nutre della Parola fatta carne (Gv 1,14) comunica alla vita del Cristo celeste glorificato.
Mangiando «nell’Eucarestia la carne del Rivelatore, il credente confessa non solo che la sua salvezza dipende unicamente dal fatto che la Parola è venuta nella carne, ma anche che egli l’ha fatta finita con la carne [cioè col mondo], e che egli assimila in certo qual senso la forza della Parola incarnata, per poter essere nel mondo come uno che non è nel mondo» (H. Seebass).
Altre alte rivelazioni concludono il discorso di Cafàrnao. Colui che mangia me vivrà per me: è il cristiano eucaristizzato, divinizzato; è il discepolo trasformato in Cristo «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,17).
Questa intima reale trasformazione – veniamo trasformati in quella medesima immagine (2Cor 3,17) – fa inabissare il battezzato nella Vita eterna in quanto lo innesta in Cristo che è la Vita (Gv 14,6).
Un’assimilazione e una vera identificazione che ha il suo inizio a partire da questa vita terrena: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). La constatazione, poi, che gli Ebrei che mangiarono la manna nel deserto e in seguito morirono, prova l’origine non divina di quel cibo. Gesù è il pane disceso dal cielo e quindi divino per cui può veramente comunicare la vita eterna.
Il testo è molto intenso in quanto riporta alla memoria del credente le grandi verità del Cristo: la sua divinità, il suo annichilimento nel mistero dell’Incarnazione (Fil 2,5-11), la sua morte, la sua risurrezione e la sua continua presenza di amore nella Chiesa nel mistero dell’Eucaristia.
Riflessione
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui – Possiamo trarre dal Concilio Ecumenico Vaticano II alcune verità sull’Eu-caristia. Innanzi tutto essa è il mezzo di incorporazione e assimilazione a Cristo e fonte di comunione fraterna: «Partecipando realmente del corpo del Signore nella frazione del pane eucaristico, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi: “Perché c’è un solo pane, noi tutti non formiamo che un solo corpo, partecipando noi tutti di uno stesso pane” [1Cor 10,17]. Così noi tutti diventiamo membri di quel corpo [cfr. 1Cor 12,27], “e siamo membri gli uni degli altri” [Rm 12,5]» (LG 7).
Da questa comunione con il Cristo nasce il dovere missionario di tutto il popolo: «Tutti i fedeli, come membra di Cristo vivente, a cui sono stati incorporati ed assimilati mediante il battesimo, la confermazione e l’Eu-caristia, hanno l’obbligo di cooperare all’espansione e alla dilatazione del suo corpo, per portarlo il più presto possibile alla pienezza [cfr. Ef 4,13]» (AG 36). Da qui si può ben affermare che «l’Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione», perché «una comunità cristiana non può formarsi se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra Eucaristia, alla quale perciò deve ispirarsi qualsiasi educazione allo spirito di comunità. La celebrazione eucaristica, a sua volta, per essere sincera e piena, deve condurre sia alle diverse opere di carità e al reciproco aiuto, sia all’azione missionaria e alle varie forme di testimonianza cristiana» (PO 5-6).
E se tutti «i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente connessi alla sacra Eucaristia e ad essa ordinati» (PO 5), è proprio «dai sacramenti poi, e specialmente dalla sacra eucaristia, viene comunicata e alimentata quella carità verso Dio e gli uomini che è l’anima di tutto l’apostolato» (LG 33).
Infine è pegno della gloria futura: «Elevato in alto da terra, Cristo attirò tutti a sé. Risorgendo dai morti [cfr. Rm 6,9] infuse negli apostoli il suo Spirito vivificante, mediante il quale costituì la Chiesa che è il suo corpo, quale sacramento universale di salvezza. Assiso alla destra del Padre, continua ad operare nel mondo per condurre alla Chiesa gli uomini, e unirli così più strettamente a sé, facendoli partecipi della sua vita gloriosa e nutrendoli del suo corpo e del suo sangue» (LG 48; cfr. SC 47).
Scorrendo il testo si ricava una considerazione da sottolineare: «Il rinnovamento promesso che stiamo aspettando è quindi già incominciato con Cristo; viene portato avanti con la missione dello Spirito Santo e per mezzo di lui continua nella Chiesa. Nella Chiesa noi veniamo istruiti dalla fede anche sul senso della nostra vita temporale, quando portiamo a termine il lavoro che il Padre ci ha assegnato da svolgere nel mondo con la speranza dei beni futuri, lavorando così per la nostra salvezza. La fine dei tempi è già dunque arrivata per noi [cfr. 1Cor 10,11]: il rinnovamento del mondo è stato irrevocabilmente deciso e in qualche modo realmente anticipato nel tempo presente: infatti la Chiesa è insignita di vera santità già qui sulla terra, anche se in modo imperfetto» (LG 48).
Un’asserzione che certamente obbliga il battezzato a fare memoria dei suoi impegni battesimali, purtroppo spesso dimenticati.
Concludendo possiamo affermare che «nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata e vivificante nello Spirito Santo, dà vita agli uomini: e questi sono invitati e indotti a offrire insieme a lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create» (PO 5). È racchiuso tutto il bene spirituale, perché la Chiesa «nella sacra Eucaristia, per la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore, essa gioisce» della presenza del Risorto «con un’intensità unica» (Gio-vanni Paolo II). Tutto il bene spirituale e tutta la sua speranza: «Da quando, con la Pentecoste, la Chiesa, Popolo della Nuova Alleanza, ha cominciato il suo cammino pellegrinante verso la patria celeste, il Divin Sacramento ha continuato a scandire le sue giornate, riempiendole di fiduciosa speranza» (Giovanni Paolo II).
La pagina dei Padri
Il pane della concordia – Sant’Agostino: Altercavano pertanto i giudei tra loro, dicendo: “Come mai può costui darci da mangiare la sua carne?” (Gv 6,52). Altercavano fra di loro perché non capivano il significato del pane della concordia, e non volevano mangiarne; non litigano infatti coloro che mangiano tale pane, in quanto «un solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti». E per mezzo di questo pane, “Dio fa abitare insieme coloro che hanno un solo spirito” (Sal 67,7).
Poiché litigando fra loro si domandano come possa il Signore dare in cibo la sua carne, non odono quanto ad essi egli dice di nuovo: “In verità, in verità, vi dico, se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Gv 6,53). Voi non sapete in che modo si mangia questo pane, non sapete in qual modo si deve mangiare: tuttavia, «se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo, e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita».
Egli diceva queste cose non ai morti, ma ai vivi. E affinché essi credendo che egli parlava di questa vita terrena, di nuovo non litigassero, subito aggiunge: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna” (Gv 6,54). Non l’ha invece chi non mangia questo pane e non beve questo sangue: senza di ciò gli uomini possono avere la vita terrena e mortale, ma assolutamente non possono avere la vita eterna. Chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue, non ha in sé la vita.