18 Agosto 2018 – Sabato, XIX del Tempo Ordinario – (Ez 18,1-10.13b.30-32; Sal 50[51]; Mt 19,13-15) – I Lettura: “Non solo l’uomo non è oppresso dai crimini dei suoi antenati, ma può sottrarsi al peso del suo passato. La nozione di conversione (e anche di perversione) non collettiva ma strettamente personale, si trova valorizzata. Solo il comportamento attuale determina il giudizio di Dio” (Bibbia di Gerusalemme). Vangelo: “La scena dei bambini che circondano Gesù è la rappresentazione della donazione fiduciosa e serena di sé al regno dei cieli. «Lasciateli, non impedite» traduce la ridondanza della frase greca; la precedente versione semplificava: «Lasciate»” (Bibbia Via, Verità e Vita, nota).
Non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono. Gesù però disse: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli». E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là.
Riflessione: «Non impedite che i bambini vengano a me». È brutto vedere come siano proprio i discepoli più vicini a Gesù ad impedire che le creature più innocenti e degne di stargli accanto ne vengano invece allontanate. Forse per invidia, temendo che ogni attimo che Gesù avesse loro dedicato fosse tolto dalla loro porzione di godimento del Maestro; o più verosimilmente per un inopportuno zelo nei confronti del Cristo, perché non si stancasse e non venisse turbato dall’allegra baldoria che certamente i bambini di ogni tempo e società portano con sé. Sta di fatto che in tale contrapposizione, tra i discepoli e coloro che volevano avvicinargli i bambini, Gesù prende nettamente le difese di questi ultimi. I discepoli rimproverano i bambini, ma Gesù rimprovera i discepoli! I discepoli pensavano di interpretare le intenzioni del Maestro, ma sono costretti ad ammettere che ancora il loro cuore è lontano dal Cuore di Dio: non sono capaci di amare come lui, di donarsi come lui. Del resto essi si fermavano all’esterno, a ciò che appariva: i bambini fanno confusione e baldoria, non riescono a stare alle regole e creano disordine! Gesù, come sempre guarda il cuore: «a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli». Non è l’unico caso narrato nei Vangeli: pensiamo al cieco che grida e che cercano di far tacere, che viene invece invitato da Gesù e guarito (cfr. Mc 10,47-52). La stessa sorte toccherà agli Apostoli dopo la Pentecoste quando, finalmente capaci di guardare gli uomini con gli occhi di Dio, per mezzo dello Spirito Santo che operava in loro, saranno rimproverati perché non operavano secondo le tradizioni della Legge antica (cfr. At 11,2-3). Possiamo dunque affermare che ogni volta che valutiamo con gli occhi della carne rischiamo, seppur in buona coscienza, di allontanarci dalla volontà divina. Come affermò Dio a Samuele: «Non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1Sam 16,7). Prima di prendere posizione, prima di indignarci, di giudicare, di separare i buoni dai cattivi, prima di sdegnarci contro i nostri fratelli, chiediamoci se abbiamo indossato gli “occhiali” di Dio o se ci ostiniamo a guardare con le nostre povere lenti, piene di orgoglio e fanatismo.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Il bambino non è proprietà dei genitori – Benedetto XVI (Omelia, 11 Gennaio 2009): Cari amici, sono veramente contento che anche quest’anno, in questo giorno di festa, mi sia data l’opportunità di battezzare dei bambini. Su di essi si posa oggi il “compiacimento” di Dio. Da quando il Figlio unigenito del Padre si è fatto battezzare, il cielo è realmente aperto e continua ad aprirsi, e possiamo affidare ogni nuova vita che sboccia alle mani di Colui che è più potente dei poteri oscuri del male. Questo in effetti comporta il Battesimo: restituiamo a Dio quello che da Lui è venuto. Il bambino non è proprietà dei genitori, ma è affidato dal Creatore alla loro responsabilità, liberamente e in modo sempre nuovo, affinché essi lo aiutino ad essere un libero figlio di Dio. Solo se i genitori maturano tale consapevolezza riescono a trovare il giusto equilibrio tra la pretesa di poter disporre dei propri figli come se fossero un privato possesso plasmandoli in base alle proprie idee e desideri, e l’atteggiamento libertario che si esprime nel lasciarli crescere in piena autonomia soddisfacendo ogni loro desiderio e aspirazione, ritenendo ciò un modo giusto di coltivare la loro personalità. Se, con questo sacramento, il neo-bat-tezzato diventa figlio adottivo di Dio, oggetto del suo amore infinito che lo tutela e difende dalle forze oscure del maligno, occorre insegnargli a riconoscere Dio come suo Padre ed a sapersi rapportare a Lui con atteggiamento di figlio. E pertanto, quando, secondo la tradizione cristiana come oggi facciamo, si battezzano i bambini introducendoli nella luce di Dio e dei suoi insegnamenti, non si fa loro violenza, ma si dona loro la ricchezza della vita divina in cui si radica la vera libertà che è propria dei figli di Dio; una libertà che dovrà essere educata e formata con il maturare degli anni, perché diventi capace di responsabili scelte personali.
Una nuova spiritualità – Paolo VI (Udienza Generale, 29 Dicembre 1971): L’infanzia spirituale è una delle correnti vivaci nella religiosità del nostro tempo; essa non ha nulla di puerile e di affettato. Si esprime in linguaggio semplice ed innocente; derivato senz’altro dalla paradossale, ma sempre divina parola di Gesù: «Se non vi farete piccoli come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). E Gesù ha altre parole che fanno l’apologia dell’infanzia (cfr. Mt 11,25; 18,4; Mt 19,14; 25,40). La base evangelica di questa spiritualità non potrebbe essere più autorevole. Essa si svolge secondo una umiltà non solo morale, ma teologica e metafisica, se così si può dire; l’umiltà della Madonna (cfr. Lc 1,38.48); l’umiltà sapiente, che ha il senso della trascendenza di Dio e della dipendenza assoluta della creatura rispetto al Creatore; umiltà tanto più doverosa quanto più la creatura è qualche cosa, perché tutto dipende da Dio, e perché il confronto fra ogni nostra misura e l’Infinito, obbliga a curvare la fronte. E all’umiltà questa scuola spirituale unisce la confidenza; perché troppi segni Iddio ci ha dati della sua bontà e del suo amore. Se Egli vuol essere chiamato Padre il nostro spirito deve riempirsi del senso della figliolanza (cfr. 1Gv 3,1), e d’una figliolanza, d’un’infanzia piena di fiducia e di abbandono. Questa è l’Infanzia spirituale, che, alla scuola della tradizione della Chiesa, S. Teresa del Bambino Gesù riassume così: «È il cammino della confidenza e del totale abbandono».
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Per qual motivo i discepoli allontanano da Gesù i fanciulli? A causa della sua dignità. Che fa allora il Maestro? Per insegnar loro a essere umili e a calpestare il fasto e la gloria mondana, non solo accoglie i fanciulli, ma li abbraccia e promette il regno dei cieli a quelli che sono come loro: affermazione questa che già ha fatto precedentemente. Anche noi, dunque, se vogliamo ereditare il regno dei cieli, cerchiamo con grande impegno di acquistare questa virtù: il termine, infatti, la meta della filosofia è appunto la semplicità unita alla prudenza. Questa è vita angelica. L’anima del bambino, infatti, è pura da ogni passione: non serba rancore per quelli che l’offendono, ma si accosta a loro come ad amici, come se nulla fosse accaduto. E per quanto la madre lo picchi, il bambino sempre la ricerca e la preferisce a tutti. E quand’anche tu gli presentassi una regina con il suo diadema, egli non la preferirebbe a sua madre, anche se la madre fosse vestita di stracci: guarderebbe infatti con maggior piacere a lei, ricoperta di quei poveri abiti, che non alla regina con tutti i suoi ornamenti: ché il bambino sa distinguere i suoi dagli estranei, non per la loro ricchezza o per la loro povertà, ma per l’amore che essi hanno per lui e che lui sente per loro. Non ricerca niente più del necessario, ma quando il seno della madre l’ha saziato allora si stacca da esso. Il fanciullo non si dà pena, come facciamo noi, per futili motivi, come ad esempio per la perdita di denaro e per cose simili; né si rallegra come noi per cose passeggere: non si estasia, infatti, davanti alla bellezza dei corpi. Perciò Gesù ha detto: «Di quelli che sono come loro è il regno dei cieli», affinché noi facciamo per libera volontà ciò che i fanciulli fanno per natura»” (San Giovanni Crisostomo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: «Quando il padre scompare, i figli battono i denti per il freddo. Se Dio se ne va, eccoci in pieno inverno. Tutta la nostra civiltà è come gelata; anche l’amore. Il contatto tra razze e lingue si è irrigidito. C’è così poca solidarietà, poco calore nella società; non c’è che il rumore sordo e metallico del conflitto o il silenzio della diffidenza. Siamo come gli uccelli in inverno. Nell’attesa, ci assembriamo intorno alle poche fonti di calore, le ultime trincee della nostra civiltà, dove resta un po’ di brace sotto la cenere; sono l’amore e le feste, spesso spinte al parossismo della febbre erotica o dell’orgia. Ma tutto ciò non ci dà calore. Le feste sono spente, sia in senso proprio che figurato. Dov’è dunque il sole? Dov’è dunque Dio? Poiché senza di lui ogni fuoco non è che un fuoco di paglia; non dura che un istante, non a sufficienza per riscaldare veramente i bambini… Occorre ritrovare l’infanzia e la relazione filiale col Padre. E questo è possibile. Da questa rinascita prometeica, all’aurora dell’età adulta della nostra civiltà, può emergere una seconda semplicità, una spontaneità riconquistata. Questa seconda infanzia non sarà identica alla prima, poiché sarà passata attraverso l’età della critica. Sarà altro. Ma ritroverà la gioia e la semplicità dell’infanzia, arricchite, questa volta, dai frutti della sofferenza. Gesù dice: “Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt 18,3). La vera infanzia è dunque davanti a noi; bisogna chiederla, accoglierla come una grazia. Ecco ciò che ci può guarire: il senso della nostra filiazione divina ritrovato, l’entrata in una seconda infanzia, il passaggio dalla scienza alla sapienza, dalla testa al cuore» (Card. Godfried Daneels).
Santo del giorno: 18 Agosto – Sant’Agapito, Martire: Agapito, probabilmente membro della nobile famiglia Anicia della città di Palestrina, ricevette il dono della fin dagli inizi della sua vita, grazie alla predicazione di S. Pietro che sicuramente si recò ad evangelizzare l’antica Praeneste patria del famosissimo tempio della Fortuna Primigenia. All’e-tà di 15 anni affrontò coraggiosamente il crudele martirio sotto l’imperatore Aureliano e il prefetto Antioco. Morì decapitato fuori della città il 18 agosto 274. Parlano di sant’Agapito i più antichi sacramentari, tra cui quello Gelasiano e Gregoriano, e anche i più antichi martirologi, come il Gerominiano, il Fuldense e il Romano. È quest’ultimo, che così riporta la notizia del martirio del santo il 18 agosto: “In Praeneste, dies natalis (nascita al cielo) si sant’Agapito m., che essendo di 15 anni e ardendo di amore per Cristo, per ordine di Aureliano, fu steso sull’éculeo e battuto a lungo con crudi flagelli; poi sotto Antioco prefetto, soffrì supplizi ancora più crudeli, e in ultimo, essendo esposto ai leoni e non riportando alcun danno, con il taglio della testa ricevette la corona”. Nel luogo del martirio, intorno al IV sec., fu edificata una Basilica in suo onore della quale oggi si conservano solo alcuni resti e, successivamente, venne costruito un piccolo cimitero dove i fedeli, che desideravano riposare accanto al sepolcro del martire, venivano tumulati. Il corpo di sant’Agapito, in data incerta, venne poi traslato nel Duomo di Palestrina.
Preghiamo: Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, fa’ crescere in noi lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso. Per il nostro Signore Gesù Cristo…