Venerdì, XVII del Tempo Ordinario – (Ger 26,1-9; Sal 68[69]; Mt 13,54-58) – I Lettura: Geremìa questa volta va a profetizzare nel tempio, in occasione di una delle tre feste annuali in cui tutti gli Israeliti salivano a Gerusalemme. L’appello s’indirizza a tutto Giuda e non più soltanto ai suoi capi, ma la durezza del cuore del popolo impedisce di accogliere la Parola di Dio e porta all’arresto del profeta. Vangelo: La storia del popolo del Signore è stata sempre illuminata dai profeti, straordinari portatori della divina Parola. Questi uomini però non hanno avuto vita facile. Derisione, disprezzo, persecuzione e violenza. Dio manda ripetutamente i profeti e ripetutamente essi vengono disprezzati. Gesù oggi viene nella sua patria, entra nella sinagoga, fa loro la più grande rivelazione. Nella sua persona si compiono tutte le profezie fatte da Dio ai Padri. Nessuna rimane incompiuta. Ma le sue parole non sono credute perché Lui era il figlio di un semplice falegname conosciuto da tutti.
Non è costui il figlio del falegname? Da dove gli vengono allora tutte queste cose? – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.
Riflessione: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname?». C’è un rischio che quotidianamente corriamo noi cristiani ed è quello di pensare di sapere già tutto di Dio, di ritenere di conoscere Cristo, i suoi misteri, le sue opere. Di conseguenza ci riteniamo esenti da un qualsiasi approfondimento che possa condurci ad una sempre più profonda conoscenza. È il rischio del ristagnamento della fede o peggio la morte della fede stessa. Quando parliamo di fede, infatti, non intendiamo dare a tale parola il senso di credere o non credere all’esi-stenza di Dio, e comunque affermare e credere che Dio esiste non fa di noi dei cristiani: anche il demonio crede in Dio, più di noi!, ma non è certo un cristiano, anzi è l’opposto. Avere fede significa incontrarsi con una Persona viva, vera, una Persona che ama e che desidera essere amata, che si comunica e desidera risposte. Avere fede significa credere che Dio è infinitamente oltre le nostre piccole conoscenze e che in Gesù ha da dirci ancora tutto il suo Cuore, ha da insegnarci le sue opere, ha da comunicarci il suo pensiero. Credere in Dio, quindi, significa anzitutto incontrarlo, fermarsi con lui, stare con lui (cfr. Gv 1,39); significa lasciare tutto e metterci in ascolto della sua Sapienza (cfr. Lc 10,42); significa dargli la parola lungo il triste cammino quotidiano e rimanere in ascolto della sua Parola, come i discepoli in cammino verso Èmmaus (cfr. Lc 24,25-27). Un rischio, dicevamo, che è diventata triste realtà nei compaesani di Gesù: pensavano di sapere tutto di lui e invece di prestargli ascolto, di accoglierlo con fede, di conformarsi ai suoi insegnamenti, si scandalizzarono di lui e attendevano che fosse Gesù a conformarsi alle loro aspettative. E così anche noi rischiamo di sciupare la grazia di Dio, la luce della sua Parola, la sapienza dei suoi insegnamenti, semplicemente pensando di non aver bisogno di sapere altro, di conoscere già tutto: quanta grazia sprechiamo quotidianamente! Impegniamoci, anche in questo tempo che per molti è di riposo, a conoscere la Bibbia, a conoscere i documenti della Chiesa, il Magistero, gli scritti dei Padri, le esperienze dei santi… Che possiamo sentire la sete di Dio, abbeverandoci a piene mani dalla Sorgente.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? – Pontificia Commissione Biblica – Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia cristiana: I rapporti tra il primo vangelo e il mondo ebraico sono particolarmente stretti. Molti dettagli manifestano in esso una grande familiarità con le Scritture, le tradizioni e la mentalità dell’ambiente ebraico. Più di Marco e Luca, Matteo insiste sull’origine ebraica di Gesù; la sua genealogia presenta Gesù come «figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1) e non va oltre. Il significato del nome di Gesù viene sottolineato: il bimbo di Maria porterà questo nome, «perché salverà il suo popolo dai suoi peccati» (1,21). La missione di Gesù, durante la sua vita pubblica, si limita «alle pecore perdute della casa d’Israe-le» (15,24) ed egli fissa lo stesso limite alla prima missione dei Dodici (10,5-6). Più degli altri evangelisti, Matteo si preoccupa di notare spesso che gli eventi dell’esistenza di Gesù avvengono «perché si compia quanto era stato detto dai profeti» (2,23). Gesù stesso si preoccupa di precisare di non essere venuto per abolire la Legge, ma per darle compimento (5,17). È tuttavia chiaro che le comunità cristiane hanno preso le loro distanze in rapporto alle comunità degli ebrei che non credono in Cristo Gesù. Dettaglio significativo: Matteo non dice che Gesù insegnava nelle sinagoghe», ma dice: «nelle loro sinagoghe» (4,23; 9,35; 13,54), marcando così una separazione.
Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? – Redemptoris Mater 17: Dopo la morte di Erode, quando la sacra famiglia fa ritorno a Nazaret, inizia il lungo periodo della vita nascosta. Colei che “ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45) vive ogni giorno il contenuto di queste parole. Quotidianamente accanto a lei è il Figlio, a cui ha dato nome Gesù; dunque, certamente nel contatto con lui ella usa questo nome, che del resto non poteva destare meraviglia in nessuno, essendo in uso da molto tempo in Israele. Tuttavia, Maria sa che colui che porta il nome Gesù è stato chiamato dall’angelo “Figlio dell’Altissimo” (cfr. Lc 1,32). Maria sa di averlo concepito e dato alla luce “non conoscendo uomo”, per opera dello Spirito santo, con la potenza dell’Altissimo che ha steso la sua ombra su di lei (cfr. Lc 1,35), così come ai tempi di Mosè e dei padri la nube velava la presenza di Dio (cfr. Es 24,16; 40,34-35; 1Re 8,10-12). Dunque, Maria sa che il Figlio, da lei dato alla luce verginalmente, è proprio quel “santo”, “il Figlio di Dio”, di cui le ha parlato l’angelo.
… Ed era per loro motivo di scandalo. Il Giudizio temerario – CCC 2477-2478: Il rispetto della reputazione delle persone rende illecito ogni atteggiamento ed ogni parola che possano causare un ingiusto danno. Si rende colpevole: – di giudizio temerario colui che, anche solo tacitamente, ammette come vera, senza sufficiente fondamento, una colpa morale nel prossimo; – di maldicenza colui che, senza un motivo oggettivamente valido, rivela i difetti e le mancanze altrui a persone che li ignorano; – di calunnia colui che, con affermazioni contrarie alla verità, nuoce alla reputazione degli altri e dà occasione a erronei giudizi sul loro conto. Per evitare il giudizio temerario, ciascuno cercherà di interpretare, per quanto è possibile, in un senso favorevole i pensieri, le parole e le azioni del suo prossimo: Ogni buon cristiano deve essere più disposto a salvare l’affermazione del prossimo che a condannarla; e se non la possa salvare, cerchi di sapere quale significato egli le dia; e, se le desse un significato erroneo, lo corregga con amore; e, se non basta, cerchi tutti i mezzi adatti perché, dandole il significato giusto, si salvi.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Di quanti mali siamo carichi e non ce ne accorgiamo! Ci mordiamo a vicenda, ci divoriamo a vicenda, offendendoci, accusandoci, calunniandoci, afflitti dalla gloria del prossimo. E osserva un fatto grave: quando qualcuno vuole offuscare la fama di qualche prossimo, dice: «Un tale ha detto questo sul suo conto», oppure: «Dio, perdonami, non indagare: non posso far a meno di dire ciò che ho udito». Ma perché lo dici se non ci credi? Perché ne parli? Perché cerchi di farlo credere, facendo tanto rumore? Perché diffondi un discorso che non è vero? Tu non ci credi, e supplichi Dio di non giudicarti? Non parlare, ma taci, e sarai libero da ogni timore! Non so proprio da dove sia piombata tra gli uomini questa malattia: siamo chiacchieroni, nulla resta fermo nella nostra anima. Ascolta un saggio che ci esorta dicendoci: Hai udito una parola? Muoia in te; sta tranquillo: non ti farà scoppiare, e ancora: Lo stolto udì una parola ed ebbe le doglie: come una partoriente davanti alla faccia di un infante [Sir 19,10-11]. Siamo pronti ad accusare, siamo preparati a condannare. Se non avessimo fatto altro male, questo è sufficiente per rovinarci e per spedirci nella geenna: questo ci avvolge tra mille mali. E perché lo comprenda bene, ascolta il profeta che dice: Ti sei seduto e hai parlato contro il tuo fratello [Sal 49,20]. «Ma non io» si dice, «è stato quello!». Invece proprio tu: se tu non avessi parlato, un altro non avrebbe sentito; e se pur avesse altrimenti sentito, tu non saresti la causa del male. Bisogna coprire, bisogna nascondere le mancanze del prossimo; tu invece le snoccioli col pretesto di amare la virtù! Non ne risulti un pubblico accusatore, ma un chiacchierone, uno sventato, un pazzo. Copri te stesso di vergogna, insieme con l’altro, e non te ne accorgi!” (San Giovanni Crisostomo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: “Gesù insegna, in ogni paese, in ogni sinagoga, insegna anche nella sua patria, in Galilea, nei luoghi in cui è cresciuto e vissuto fino all’inizio della missione. Tutti lo conoscono in quei paesi, conoscono sua madre, conoscevano suo padre, sanno che la famiglia da cui proviene è un’umile e semplice famiglia come molte altre del popolo. Eppure le parole che dice fanno stupire, meravigliano chi lo ascolta, come può, un uomo di questa estrazione sociale essere così capace di parlare? Come riesce a dire queste cose? Il Signore sente l’ostilità della gente, sente di non essere compreso, proprio nella sua terra, il cuore di queste persone è ancora indurito e difficile da conquistare, la fede non è ancora maturata in loro. Non ci scandalizziamo dell’incredulità dei compaesani di Gesù, perché anche noi non siamo da meno. Anzi, è più facile comprendere la difficoltà che dovevano affrontare loro per credere: Gesù era una novità senza confronti, una “rivoluzione” nei modi di pensare dell’epoca, troppo radicale il suo annuncio e per questo faticoso da accettare. Ma noi, oggi, noi che abbiamo duemila anni di storia alle spalle, noi che siamo stati già preparati fin dal battesimo al messaggio evangelico, perché spesso, non siamo capaci neppure noi di lasciarci guidare dalle parole del Signore? Senza la fede non avvengono prodigi, senza l’amore non si può operare nel nome di Dio, e l’amore scaturisce, essenzialmente, dall’ascolto della sua parola, dall’accoglienza della sua volontà e dalla certezza che tutto questo è per la nostra salvezza” (Maila Dell’Unto).
Santo del giorno: 3 Agosto – San Pietro di Anagni, Vescovo: San Pietro de’ Principi di Salerno, monaco benedettino, fu eletto dal clero e dal popolo alla cattedra episcopale di Anagni dopo la morte del vescovo Bernardo. Fu consacrato a Roma dal Papa Alessandro II, del quale era stato cappellano. Curò la costruzione della cattedrale dal 1073 al 1104 e si impegnò nella riforma della vita del clero e di tutti i cristiani. Morto nel 1105, la sua canonizzazione avvenne a Segni nel 1110 ad opera di Papa Pasquale II.
Preghiamo: O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo; effondi su di noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni. Per il nostro Signore Gesù Cristo…