liturgia

2 Agosto 2018

Giovedì, XVII del Tempo Ordinario – (Ger 18,1-6; Sal 145[146]; Mt 13,47-53) – I Lettura: In queste parole del libro di Geremìa, Dio stesso rivolge al profeta l’invito a scendere nella bottega del vasaio: lì potrà “ascoltare” la parola del Signore. Non attraverso la voce, ma “vedendola”, in un’azione concreta e simbolica. Il lavoro del vasaio diventa parabola visibile dell’agire di Dio. Come l’artigiano interviene sull’opera non riuscita, lavorando di nuovo la materia, fino ad ottenere l’opera desiderata, allo stesso modo Dio plasma e riplasma il suo popolo usando misericordia verso il suo peccato. Vangelo: Ancora una volta Gesù parla del regno e questa volta lo raffigura mediante la pesca, affidata alla responsabilità dei discepoli. Il regno di Dio accoglie tutti ma alla fine dei tempi gli angeli avranno l’incarico di fare una cernita: cioè la separazione dei malvagi dai buoni. Gesù illustra il senso dell’impegno che la comprensione delle parabole richiede, attraverso un’ultima parabola: quella di ‘ogni scriba’ fattosi ‘discepolo del regno dei cieli’. Diventare discepolo implica quindi la missione di insegnare agli altri.

 Raccolgono i buoni nei canestri e buttano via i cattivi – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Terminate queste parabole, Gesù partì di là.

 Riflessione: «Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni…». La dottrina della Chiesa Cattolica ci ricorda che ciascuno di noi deve affrontare un doppio “giudizio”: uno al momento della morte e uno alla fine dei tempi. Quello riguardante il momento della nostra morte viene definito “giudizio particolare” che si differisce dal secondo che viene definito “giudizio universale”. Bisogna subito affermare e fermamente sottolineare che tali giudizi non dobbiamo pensarli come degli esami da superare, sperando che vada tutto bene. La parabola oggi proclamata sottolinea bene di come i pesci, buoni o cattivi, sono già tali mentre ancora sono in mare, non lo diventano una volta pescati: essere buoni o cattivi lo scegliamo attraverso l’esercizio quotidiano del libero arbitrio, attraverso le virtù o i vizi che esercitiamo, in base ai sentimenti che accogliamo o respingiamo, se viviamo a servizio di Cristo (quindi da cristiani) o servendo altri idoli, mettendo al centro divinità umane come i soldi, il potere, o anche più semplicemente il nostro egoismo, la nostra superbia. Come siamo soliti fare quando si tratta di temi che toccano le verità della fede, vediamo come si esprime il Catechismo della Chiesa Cattolica: “La morte pone fine alla vita dell’uo-mo come tempo aperto all’accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo (cfr. 2Tm 1,9-10). Il NT parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell’incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l’immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro (cfr. Lc 16,22) e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone (cfr. Lc 23,43) così come altri testi del NT (cfr. 2Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; 12,23) parlano di una sorte ultima dell’anima che può essere diversa per le une e per le altre. Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre” (CCC 1021-1022).

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: La parabola della rete – Benedetto XVI (Discorso, 17 Febbraio 2007): Il Signore ci ha donato anche, per la nostra consolazione, queste parabole delle rete con pesci buoni e non buoni, del campo dove cresce il grano ma anche la zizzania. Egli ci fa sapere di essere venuto proprio per aiutarci nella nostra debolezza, di non essere venuto, come Egli dice, per chiamare i giusti, quelli che pretendono di essere già completamente giusti, di non aver bisogno della grazia, quelli che pregano lodando se stessi, ma di essere venuto a chiamare quelli che sanno di essere manchevoli, a provocare quelli che sanno di aver bisogno ogni giorno del perdono del Signore, della sua grazia per andare avanti. Questo mi sembra molto importante: riconoscere che abbiamo bisogno di una conversione permanente, non siamo mai semplicemente arrivati. Sant’Agostino, nel momento della conversione, pensava di essere arrivato sulle alture ormai della vita con Dio, della bellezza del sole che è la sua Parola. Poi ha dovuto capire che anche il cammino dopo la conversione rimane un cammino di conversione, che rimane un cammino dove non mancano le grandi prospettive, le gioie, le luci del Signore, ma dove anche non mancano valli oscure, dove dobbiamo andare avanti con fiducia appoggiandoci alla bontà del Signore.

 La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Loro avevano capito – «Egli si rivolge ai discepoli, non alla folla. E a loro, che capiscono le parabole, rende una degna testimonianza. Li paragona a sé mediante l’appellativo di padrone di casa, poiché essi hanno estratto dal loro tesoro l’insegnamento delle cose nuove e antiche. A motivo della loro scienza poi li chiama scribi, poiché hanno compreso che le cose che egli ha presentato come nuove e antiche, che si trovano cioè nei Vangeli e nella Legge, appartengono, le une e le altre, allo stesso padrone di casa e allo stesso tesoro» (Ilario di Poitiers).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Le cose nuove e le cose vecchie – Card. Angelo Sodano (Discorso, 29 Novembre 2005): Guardando… i diversi campi d’apostolato in cui noi oggi siamo chiamati ad operare, si potrebbero fare tante considerazioni. Vedendo qui oggi riuniti sacerdoti di età diverse, vorrei soffermarmi su un punto che ritengo importante, qual è quello di un sano rapporto fra tradizione e modernità nel nostro ministero. A tale proposito è sempre attuale la parabola di Gesù circa “le cose nuove e le cose vecchie”. È una delle sette parabole, con le quali il Maestro spiegava ai suoi discepoli le caratteristiche del suo Regno. Dopo l’ultima parabola, quella della rete gettata in mare e che raccoglie ogni genere di pesci, il Signore si rivolgeva alla folla che assiepava la riva del mare di Galilea, esclamando: “Avete capito tutte queste cose?”. Gli risposero: “Sì”. Ed egli disse loro: per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile ad un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie, “qui profert de thesauro suo nova et vetera” (Mt 13,52). Come lo scriba del Vangelo, anche noi siamo chiamati oggi a far tesoro delle tradizioni del passato e ad adattarci poi all’epoca storica in cui viviamo.

 Santo del giorno: 2 Agosto – Perdono di Assisi (Indulgenza della Porziuncola): In tale luogo, il Santo d’Assisi ebbe la divina ispirazione di chiedere al papa l’indulgenza che fu poi detta, appunto, della Porziuncola o Grande Perdono, la cui festa si celebra il 2 agosto. È il Diploma di fr. Teobaldo, vescovo di Assisi, uno dei documenti più diffusi, a riferirlo. S. Francesco, in una imprecisata notte del luglio 1216, mentre se ne stava in ginocchio innanzi al piccolo altare della Porziuncola, immerso in preghiera, vide all’improvviso uno sfolgorante chiarore rischiarare le pareti dell’umile chiesa. Seduti in trono, circondati da uno stuolo di angeli, apparvero, in una luce sfavillante, Gesù e Maria. Il Redentore chiese al suo Servo quale grazia desiderasse per il bene degli uomini. S. Francesco umilmente rispose: “Poiché è un misero peccatore che Ti parla, o Dio misericordioso, egli Ti domanda pietà per i suoi fratelli peccatori; e tutti coloro i quali, pentiti, varcheranno le soglie di questo luogo, abbiano da te o Signore, che vedi i loro tormenti, il perdono delle colpe commesse”. “Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande – gli disse il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza”. Era l’Indulgenza del Perdono. Alle prime luci dell’alba, quindi, il Santo d’Assisi, prendendo con sé solo frate Masseo di Marignano, si diresse verso Perugia, dove allora si trovava il Papa. Sedeva sul soglio di Pietro, dopo la morte del grande Innocenzo III, papa Onorio III, uomo anziano ma molto buono e pio, che aveva dato ciò che aveva ai poveri. Il Pontefice, ascoltato il racconto della visione dalla bocca del Poverello di Assisi, chiese per quanti anni domandasse quest’indulgenza. Francesco rispose che egli chiedeva “non anni, ma anime” e che voleva “che chiunque verrà a questa chiesa confessato e contrito, sia assolto da tutti i suoi peccati, da colpa e da pena, in cielo e in terra, dal dì del battesimo infino al dì e all’ora ch’entrerà nella detta chiesa”. Si trattava di una richiesta inusitata, visto che una tale indulgenza si era soliti concederla soltanto per coloro che prendevano la Croce per la liberazione del Santo Sepolcro, divenendo crociati. Il papa, infatti, fece notare al Poverello che “Non è usanza della corte romana accordare un’indulgenza simile”. Francesco ribatté: “Quello che io domando, non è da parte mia, ma da parte di Colui che mi ha mandato, cioè il Signore nostro Gesù Cristo”. Nonostante, quindi, l’opposizione della Curia, il pontefice gli accordò quanto richiedeva (“Piace a Noi che tu l’abbia”). Sul punto di accomiatarsi, il pontefice chiese a Francesco – felice per la concessione ottenuta – dove andasse “senza un documento” che attestasse quanto ottenuto. “Santo Padre, – rispose il Santo – a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l’opera sua; io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni”. L’indulgenza fu ottenuta, quindi, “vivae vocis oraculo”. Il 2 agosto 1216, dinanzi una grande folla, S. Francesco, alla presenza dei vescovi dell’Umbria (Assisi, Perugina, Todi, Spoleto, Nocera, Gubbio e Foligno), con l’animo colmo di gioia, promulgò il Grande Perdono, per ogni anno, in quella data, per chi, pellegrino e pentito, avesse varcato le soglie del tempietto francescano. Tale indulgenza è lucrabile, per sé o per le anime del Purgatorio, da tutti i fedeli quotidianamente, per una sola volta al giorno, per tutto l’anno in quel santo luogo e, per una volta sola, dal mezzogiorno del 1° agosto alla mezzanotte del giorno seguente, oppure, con il consenso dell’Ordinario del luogo, nella domenica precedente o successiva (a decorrere dal mezzogiorno del sabato sino alla mezzanotte della domenica), visitando una qualsiasi altra chiesa francescana o basilica minore o chiesa cattedrale o parrocchiale. Nel 1279, il frate Pietro di Giovanni Olivi scriveva che “essa indulgenza è di grande utilità al popolo che è spinto così alla confessione, contrizione ed emendazione dei peccati, proprio nel luogo dove, attraverso san Francesco e Santa Chiara, fu rivelato lo stato di vita evangelica adatto a questi tempi”.

Preghiamo: O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo; effondi su di noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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