27 Luglio 2018 – Venerdì, XVI del Tempo Ordinario – (I Lettura: Ger 3,14-17; Salmo Responsoriale: Ger 31,10-13; Vangelo: Mt 13,18-23) – I Lettura: Il tema predominante nel capitolo 3 è il richiamo di Dio alla conversione, che, però, nella condizione presente, è impossibile da realizzare, come risulta dall’esempio della donna ripudiata (Ger 3,1-5). Neanche la sorte di Samarìa distoglie Giuda dall’infedeltà (Ger 3,14) è necessario, dunque, l’intervento di Dio. I versetti che seguono presentano i tempi messianici come la realizzazione dell’unità di tutto il regno di Israele grazie al ministero di pastori secondo il cuore di Dio. Vangelo: Il Divino Seminatore non fa differenza ma semina anche dove le difficoltà potrebbero mettere a rischio la crescita del seme. Uscendo fuor di metafora, Gesù spiega che l’annuncio è per tutti, ma è l’ascolto che fa la differenza di terreno. Colui che ascolta, accoglie e persevera, è il terreno buono che produce frutto.
Colui che ascolta la Parola e la comprende, questi dà frutto – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Riflessione: «Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende». La Liturgia della Parola ci invita oggi a riflettere sul nostro personale rapporto con la Parola di Dio. Cristo Gesù è la Parola prima e ultima del Padre, è la seconda Persona della SS. Trinità, il Verbo fatto carne, la Rivelazione perfetta e definitiva del cuore e del volto di Dio. In lui abbiamo ogni grazie e ogni pienezza, in Cristo ogni nostra aspirazione e realizzazione, in lui ogni nostro itinerario spirituale e santificazione personale: tutto ci giunge dal Padre per mezzo di Gesù e tutto trova compimento in noi per mezzo di Cristo. Non c’è terreno, per quanto buono, che possa portare frutto se non riceve il seme, non c’è uomo, per quanto buono e onesto, che possa compiere opere buone se non per mezzo di Cristo e nella forza dello Spirito: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5) afferma Gesù. E la Chiesa risponde acclamando: «Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla è senza colpa» (sequenza allo Spirito Santo). La potenza della Parola, non dipende dall’uomo, ma è un germe divino che ottiene vita e vigore da Dio. Tuttavia, perché possa portare frutto, necessita di un terreno capace di accoglierlo, difenderlo, custodirlo, farlo crescere… Da qui l’invito ad aprire le orecchie del corpo e del cuore: «ascoltate!». Quasi un ordine, un dolce richiamo, una ferma esortazione a non sciupare la grazia di Dio, a non permettere al Maligno di rubarla, a non lasciarla soffocare dalle mille inquietudini che la vita ci offre come erba infestante e perenne. “Accogliere il Verbo vuol dire lasciarsi plasmare da Lui, così da essere, per la potenza dello Spirito Santo, resi conformi a Cristo, al «Figlio unigenito che viene dal Padre» (Gv 1,14) … Nella Parola di Dio proclamata ed ascoltata e nei Sacramenti, Gesù dice oggi, qui e adesso, a ciascuno: «Io sono tuo, mi dono a te»; perché l’uomo possa accogliere e rispondere: «Io sono tuo»” (Verbum Domini 50.51). Anche questi giorni, che per molti sono di riposo o di maggiore disponibilità di tempo, utilizziamoli per preparare il terreno del nostro cuore: raccogliamo con gratitudine quanto Dio ha seminato e disponiamoci a sempre più generosi frutti.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Ecco, uscì il seminatore a seminare – Congregazione per il clero (Direttorio Generale per la Catechesi, 15): Questa parabola è fonte ispiratrice per l’evangelizzazione. «Il seme è la parola di Dio» (Lc 8,11). Il seminatore è Gesù Cristo. Egli annunciò il Vangelo in Palestina duemila anni fa e inviò i suoi discepoli a seminarlo nel mondo. Gesù Cristo, oggi, presente nella Chiesa per mezzo del Suo Spirito, continua a spargere la parola del Padre nel campo del mondo. La qualità del terreno è sempre molto varia. Il Vangelo cade «lungo la strada» (Mc 4,4), quando non è realmente ascoltato; cade «fra i sassi» (Mc 4,5), senza penetrare a fondo nella terra; o «tra le spine» (Mc 4,7), ed è subito soffocato nel cuore degli uomini, distratti da molte preoccupazioni. Ma una parte cade «sulla terra buona» (Mc 4,8), cioè in uomini e donne aperti alla relazione personale con Dio e solidali con il prossimo e dà un frutto abbondante. Gesù, nella parabola, comunica la buona notizia che il Regno di Dio viene nonostante le difficoltà del terreno, le tensioni, i conflitti e i problemi del mondo. Il seme del Vangelo feconda la storia degli uomini e preannuncia un raccolto abbondante. Gesù dà anche un avvertimento: solo nel cuore ben disposto germina la parola di Dio.
La parabola del seminatore – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 25 Settembre 1991): Nella parabola del seminatore e della semina la crescita del Regno di Dio appare certamente come frutto dell’operato del seminatore, ma è in rapporto al terreno e alle condizioni climatiche che la semina produce raccolto: “dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta” (Mt 13,8). Il terreno significa la disponibilità interiore degli uomini. Dunque, secondo Gesù, la crescita del Regno di Dio è condizionata anche dall’uomo. La libera volontà umana è responsabile di questa crescita. Per questo Gesù raccomanda a tutti di pregare: “Venga il tuo regno” (cfr. Mt 6,10; Lc 11,2) … nel Pater noster.
… viene il Maligno – Card. Angelo Sodano (Omelia, 15 Maggio 2000): Uno sguardo sereno sui duemila anni di Cristianesimo ci permette di non meravigliarci delle difficoltà e di tener presente la legge della gradualità della crescita del Regno di Dio, secondo i piani misteriosi della sua Provvidenza. Meditando sulla storia della Chiesa, vedremo più chiaro come essa sia un intreccio fra la Grazia di Dio e la libertà dell’uomo e come questi, con la sua opera, possa affrettare o ritardare l’avvento del Regno di Dio. È una visione che ci richiama alla nostra responsabilità, se vogliamo contribuire generosamente all’edificazione del Regno di Dio. È una visione che ci eviterà le sorprese del seminatore evangelico: certo, questi aveva seminato del grano buono nel suo campo, ma si chiedeva poi meravigliato come mai fosse anche cresciuta la zizzania. Non aveva fatto i conti su quell’«inimicus homo» (cfr. Mt 13,25) che di notte era venuto sul suo terreno. Non aveva tenuto presente la realtà dell’uomo, il dramma misterioso della sua libertà, come l’opera del Maligno in questo mondo.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “La terra buona e ubertosa (cfr. Lc 8,8) è immagine delle anime che agiscono secondo verità, alla maniera di coloro che sono stati chiamati ed hanno abbandonato tutto per seguire Cristo… Nonostante una volontà unanimemente buona che ha ricevuto con gioia il seme dei beni, la terra buona e ubertosa produce in modi diversi, dove «il trenta», dove «il sessanta», dove «il cento»; tutte le parti della terra fanno crescere secondo il proprio potere e nella gioia, alla stregua di coloro che avevano ricevuto ‘cinque talenti’ e ne hanno guadagnati ‘dieci, ciascuno secondo la sua capacità’ (cfr. Mt 25,14-30). Colui che rende «il cento» sembra possedere la perfezione dell’elezione; egli ha ricevuto il sigillo di una morte offerta in testimonianza per Dio. Quelli che rendono «il sessanta», sono coloro che sono stati chiamati e che hanno abbandonato il proprio corpo a dolorosi tormenti per il loro Dio, ma non sono arrivati al punto di morire per il loro Signore; tuttavia restano buoni fino alla fine. «Il trenta», è la misura quotidiana della buona terra; sono coloro che sono stati eletti alla vocazione di discepoli e sui quali non si sono levati i tempi della persecuzione; sono tuttavia coronati dalle loro opere buone, proprio come una terra è coronata dal suo frutto, ma non sono stati chiamati al martirio e alla testimonianza della loro fede” (Efrem).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: D. M. Turoldo – G. Ravasi (Opere e Giorni del Signore): Con le parabole Gesù si rivela un predicatore affascinante proprio per l’elementarietà dei simboli e la spontaneità dei riferimenti. Egli ama spesso ricorrere alla natura a alla semplicità del lavoro palestinese: gli uccelli del cielo, i gigli del campo, i passeri, il sole e la pioggia, le nubi, il tramonto, il balenio dei lampi, il fico rigoglioso a secco, il seme e la spiga a l’albero, la vite, i cardi, i cani randagi, il tarlo e la ruggine, gli avvoltoi, i pesci, le pecore, le volpi e persino lo scorpione bianco palestinese (Lc 11,11). Anche qui abbiamo una similitudine a prima vista incomprensibile per la mentalità europea che riterrebbe insensato un agricoltore che semina lungo la strada, sui sassi e fra le spine. In realtà nell’antica Palestina questo procedimento era abituale: si seminava non dopo, ma prima dell’aratura che aveva lo scopo di cancellare ostacoli e di sotterrare il seme. Abbiamo allora davanti a noi il senso primario della parabola, precedente a quello dato dalla spiegazione della parabola che, come è noto, è opera posteriore della chiesa primitiva in meditazione sulla parola di Gesù. Nonostante le avversità, il terreno cattivo, le erbacce che minacciano il seme, il raccolto è alla fine abbondante là dove il seme è attecchito. Nonostante le avversità e gli ostacoli che si frappongono alla predicazione e all’attività di Gesù, nonostante la speranza sembri esile, alla fine il regno di Dio si presenterà in pienezza e gloria inaspettata.
Santo del giorno: 27 Luglio – San Simeone Stilita il Vecchio: Viene chiamato il vecchio per distinguerlo da un omonimo stilita che visse più di un secolo dopo di lui. Nacque nel 389 al confine tra Cilicia e Siria. Trascorse l’infanzia pascolando il gregge di famiglia, quindi entrò nel monastero di Teleda, dove si fermò una decina d’anni sostenendo dure mortificazioni e digiuni. Invano i superiori invitarono il giovane alla moderazione e quando l’abate scoprì che portava sulla pelle un cilicio di palme così ruvido da procurare ferite e sanguinamenti, lo allontanò dal cenobio. Simeone si rifugiò allora per breve tempo in una cisterna prosciugata, poi si spostò in una minuscola cella a Telanissos a nordest di Antiochia, dove digiunò per l’intera Quaresima sopportando la fame e la sete. Salì poi su una montagna vicina, e per essere sicuro di non allontanarsi si fece legare il piede con una catena a una roccia. Solo l’intervento del vescovo di Antiochia riuscì a convincerlo a liberarsi da quel vincolo doloroso. L’ascesi straordinaria di Simeone piaceva alla gente dei dintorni, che accorreva numerosa. Il monaco si fece allora costruire una colonna che terminava in un podio con una balaustra di circa un metro di diametro. Lì egli passava il suo tempo assorto in preghiera. Due volte al giorno si rivolgeva poi ai visitatori dirimendo liti, operando guarigioni e altri miracoli. Una predicazione semplice che faceva grande impressione sulla gente, che accorreva sempre più numerosa. Lo straordinario carisma dello Stilita procurò numerose conversioni anche tra gli arabi. Morì nel 459 all’età di circa 70 anni. Era tanta la fama di questo campione dell’ascesi che diversi gruppi cercarono di trafugare la salma per venerarla.
Preghiamo: Sii propizio a noi tuoi fedeli, Signore, e donaci i tesori della tua grazia, perché, ardenti di speranza, fede e carità, restiamo sempre fedeli ai tuoi comandamenti. Per il nostro Signore Gesù Cristo…