24 Luglio 2018 – Martedì, XVI del Tempo Ordinario – (Mi 7,14-15.18-20; Sal 84[85]; Mt 12,46-50) – I Lettura: Nei primi versetti del capitolo 7, il profeta immagina se stesso dentro un campo alla ricerca di frutti che però non trova. Personifica i sentimenti di Jahvè alla vista delle infedeltà del suo popolo. Il pessimismo del profeta è alimentato dalla cattiva condotta dei suoi connazionali che hanno ridotto il culto a Dio ad un vuoto formalismo, ne disprezzano i comandamenti opprimendo e frodando il povero e pretendendo dai profeti solo promesse di beni materiali. Jahvè prepara giorni duri, li metterà in mano di stranieri. Ma la punizione non è definitiva: i versetti di oggi sono un’invocazione al Dio fedele all’Alleanza che ha stipulato per amore di Israele, e che, alla fine, rinsalderà la gloria del suo popolo agli occhi di tutte le nazioni. Salmo: “Dio gli parlava nell’intimo e il mondo faceva rumore di fuori: il profeta, si direbbe, si tura le orecchie al tumulto incessante di questa vita. È la voce del Cristo, la voce di Dio, che è pace e che chiama alla pace. In questa città di cui sempre vorrei parlare, vi sarà la pace purissima per i figli di Dio: tutti si ameranno vedendosi pieni di Dio quando Dio sarà tutto in tutti (cfr. 1Cor 15,28). Noi saremo tutti spettatori di un’unica visione: Dio; godremo di una sola pace: Dio. Tale sarà la pace perfetta e piena” (Agostino). Vangelo: Chi segue Gesù deve rompere con il passato; ciò non significa che deve odiare i legami familiari ma comporre tutto nel giusto ordine secondo cui al primo posto vi è l’adempimento della volontà di Dio. Ed è l’adempimento della volontà di Dio che rende i discepoli fratelli e madri di Cristo: fratelli aderendo all’unica fede, madri generando la fede nel cuore degli uomini.
Tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli!» – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, mentre Gesù parlava ancora alla folla, ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti». Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre».
Riflessione: «Ecco mia madre e i miei fratelli!». Una mamma rimane una mamma! E anche se Maria da sempre aveva vissuto il suo rapporto col Figlio in maniera sublime, la divinità di Gesù nulla poteva togliere al giusto affetto umano e all’apprensione che Maria, come ogni mamma, portava verso il suo Gesù. Lo stesso amore e le stesse attenzioni che gli riservava quando, neonato, lo adagiò nella mangiatoia, lo allattò, lo crebbe e lo custodì, così con immutato se non accresciuto zelo, Maria continuò a custodire il Verbo di Dio fattosi Figlio nel suo verginale grembo. I capi dei farisei, come abbiamo letto nel Vangelo di qualche giorno fa, avevano già sentenziato la condanna a morte per Gesù, il quale si vide costretto ad allontanarsi e continuare la sua attività apostolica in luoghi distanti, spesso deserti. Questa notizia non poteva passare inosservata a Nàzaret e non poteva lasciare sereno quel purissimo cuore della Mamma, così sensibile e unito al Figlio! Ed ecco che, alzatosi in fretta, con alcuni parenti, intraprende il cammino verso il suo Figlio. Cosa avrebbe potuto fare? Convincerlo a desistere certamente no, sapeva bene che egli è nato come «segno di contraddizione»; sentiva ancora riecheggiare le parole del Figlio dodicenne: «perché mi cercavate?»; sapeva bene, Maria, che unico cibo del Figlio era fare la volontà del Padre. E non sarebbe certamente stata lei ad impedirgli di adempiere le promesse fatte «ad Abramo e ai suoi discendenti». Fuori c’è una mamma che cerca il Figlio, ma dentro ci sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la accolgono e la custodiscono: Maria non è la sola, e Gesù non è solo! Che consolazione per Maria sapere che Gesù è circondato da fratelli, sorelle e madri! Maria si sente totalmente immersa in queste miriadi di anime che, accogliendo la Parola, si sono fatte serve del Signore. Maria si sente Chiesa: avverte la bellezza di questa nuova Famiglia di cui lei rimane membro eminente (Lumen Gentium). Maria è al contempo Serva e Madre della Chiesa, di coloro che fanno «la volontà di Dio». E noi siamo al contempo figli nel Figlio e madri come Maria: atti a generare nel nostro cuore, con l’azione del medesimo Spirito, la vita divina del Verbo, a trasmetterla e testimoniarla ad ogni uomo.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: … ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli – Giovanni Paolo II (Omelia, 21 Febbraio 1992): Infine, cari giovani, sviluppate anche quel dialogo coltivato da tanti cristiani, dialogo fra Dio e l’essere umano, che si chiama preghiera. Praticate la preghiera. Date a Dio la gioia di ascoltarlo attentamente. La preghiera vi fortificherà, vi aiuterà a fare la volontà di Dio ed entrerete, così, ancora più intimamente nell’autentica famiglia del Signore, che vi amerà con quell’amore preferenziale di cui parla il Vangelo: “Qualcuno gli disse: “Là fuori ci sono tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti”. Ed egli, rispondendo a costui, disse: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre»” (Mt 12,47-50). Ci sono oggi delle ragioni per credere nel matrimonio? Ma certo! Come ho detto stamattina, a Poponguine, uno dei primi gesti di Gesù all’inizio del suo ministero è stato quello di assistere a delle nozze, con sua Madre e con i suoi discepoli, per sottolineare con la sua presenza la grande considerazione che ha del matrimonio e della famiglia, uno dei beni più preziosi dell’umanità. È nel matrimonio che sboccia veramente l’amore, questa dinamica interna che spinge l’uomo e la donna a donarsi l’un l’altro in una comunione del proprio essere. Vi incoraggio, cari giovani, a prendere coscienza dell’impegno responsabile che l’amore di un uomo e di una donna presuppone. Ci vuole tempo per costruire la relazione interpersonale degli sposi, che è per tutta la vita. Il matrimonio cristiano, avendo come base la monogamia, rispetta pienamente la dignità dell’uomo e della donna. Si presenta come una scuola di perfezionamento spirituale e di santificazione reciproca: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48).
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Il divenire fratello e figlio di Cristo comporta l’adempimento di qualcosa di straordinario, rispetto a quanto viene comunemente compiuto dagli altri uomini (cfr. Mt 5,47): occorre, cioè, sacrificare persino il cuore e la mente, insieme con i pensieri, per dirigerli verso Dio. Il Signore, così, accorda misteriosamente la vita e il soccorso al cuore, affidandogli se stesso. Se uno, infatti, consacra a Dio la propria intimità, cioè la mente e i pensieri, senza più occuparsi né esser distratto da altri interessi e preoccupazioni, ma anzi facendo violenza a se stesso, il Signore allora lo rende partecipe dei misteri, somministrandogli se stesso, in assoluta purezza e santità, come cibo celeste e bevanda spirituale. Colui che possiede molti beni, insieme a servitori e figli, fornisce un vitto diverso ai primi, rispetto a quello destinato ai secondi, generati dal suo stesso seme; i figli, infatti, sono gli eredi del padre e, essendo suoi pari, mangiano assieme a lui. Ora, allo stesso modo, Cristo, il vero Signore (Ap 4,11; Ef 3,9), dopo aver creato ogni cosa si preoccupa di nutrire anche i malvagi e gli ingrati; nondimeno, i figli generati dal suo stesso seme e resi partecipi della sua grazia, fra i quali il Signore stesso è apparso in mezzo a noi, Iddio li alimenta e li ristora con un cibo e una bevanda particolari, a paragone degli altri uomini, donando se stesso, come afferma il Signore, a quanti si intrattengono col Padre loro: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui, e non vedrà la morte (Gv 6,56; 8,51). Coloro i quali siano entrati in possesso della vera eredità, infatti, sono come i figli generati dal Padre celeste e abitano nella casa del Padre loro, come avverte il Signore: Il servo non rimane nella casa; il figlio, invece, vi resta in eterno (Gv 8,35)” (Pseudo Macario).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre – Mons. Giampaolo Crepaldi, Vescovo (Omelia, 21 Novembre 2012): Fare la volontà di Dio implica un’adesione totale al Signore, un sì incondizionato al suo progetto di amore e alla sua santa volontà. Come fece Maria con il suo fiat, detto all’Angelo che le manifestava il progetto e la volontà di Dio. Con il suo fiat, la Madonna ha permesso alla Parola di Dio di rivelarsi all’uomo. Dio non è un oggetto che può essere raggiunto dall’uomo, di propria iniziativa e con le proprie forze. Possiamo conoscere il mistero di Dio solo se Lui stesso si rende accessibile. Maria di Nazareth è stata Colei che ha reso possibile il mistero dell’Incarnazione nel quale la Parola di Dio si è resa visibile. Nel prologo del suo Vangelo san Giovanni scrive, infatti, che il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi e noi abbiamo visto la sua gloria. Nessuno ha mai visto Dio, ma Cristo, che è in seno al Padre, ce lo ha rivelato (cfr. 1,13-18). Maria è stata colei che ha permesso questa manifestazione totale di Dio, in quel Figlio, che l’uomo ha potuto sentire, vedere con i propri occhi, contemplare e ha potuto toccare con le sue mani (cfr. 1Gv 1,1). Perché ciò avvenisse era indispensabile che qualcuno dicesse un “sì” incondizionato, permettendo alla Parola, al Verbo, di prendere posto in una creatura umana, per incarnarsi in lei. La Madonna sta perciò all’inizio della storia della salvezza. La nostra salvezza personale dipende totalmente dal “sì” che lei ha pronunciato. Con quel suo “si”, Maria ha portato a noi la sorgente della salute: Gesù Cristo.
Santo del giorno: 24 Luglio – San Charbel (Giuseppe) Makhluf Sacerdote, eremita: Giuseppe Makhluf, nacque nel villaggio di Biqa ’Kafra il più alto del Libano nell’anno 1828. Rimasto orfano del padre a tre anni, passò sotto la tutela dello zio paterno. A 14 anni già si ritirava in una grotta appena fuori del paese a pregare per ore (oggi è chiamata “la grotta del santo”). Egli pur sentendo di essere chiamato alla vita monastica, non poté farlo prima dei 23 anni, visto l’opposizione dello zio, quindi nel 1851 entrò come novizio nel monastero di ‘Annaya dell’Ordine Maronita Libanese. Cambiò il nome di battesimo Giuseppe in quello di Sarbel che è il nome di un martire antiocheno dell’epoca di Traiano. Trascorso il primo anno di noviziato fu trasferito da ‘Annaya al monastero di Maifuq per il secondo anno di studi. Emessi i voti solenni il 1° novembre 1853 fu mandato al Collegio di Kfifan dove insegnava anche Ni’matallah Kassab la cui Causa di beatificazione è in corso. Nel 1859 fu ordinato sacerdote e rimandato nel monastero da ‘Annaya dove stette per quindici anni; dietro sua richiesta ottenne di farsi eremita nel vicino eremo di ‘Annaya, situato a 1400 m. sul livello del mare, dove si sottopose alle più dure mortificazioni. Mentre celebrava la s. Messa in rito Siro-maronita, il 16 dicembre 1898, al momento della sollevazione dell’ostia consacrata e del calice con il vino e recitando la bellissima preghiera eucaristica, lo colse un colpo apoplettico; trasportato nella sua stanza vi passò otto giorni di sofferenze ed agonia finché il 24 dicembre lasciò questo mondo” (Antonio Borrelli).
Preghiamo: Sii propizio a noi tuoi fedeli, Signore, e donaci i tesori della tua grazia, perché, ardenti di speranza, fede e carità, restiamo sempre fedeli ai tuoi comandamenti. Per il nostro Signore Gesù Cristo…