19 Luglio 2018 – Giovedì, XV del Tempo Ordinario – (Is 26,7-9.12.16-19; Sal 101[102]; Mt 11,28-30) – I Lettura: “Il giudizio di Jahve si compie secondo giustizia [vv. 7-10] e assicura la liberazione e la gloria del suo popolo [vv. 11-15]; le prove attuali preparano la rinascita [vv. 16-19]. I dolori del parto sono divenuti l’immagine delle tribolazioni che dovevano precedere la venuta del Messia [cfr. Mt 24,8; Mc 13,8; Gv 16,20-22]” (Bibbia di Gerusalemme). Salmo: “Orsù, pietre vive, accorrete alla costruzione! Il Cristo non si è mostrato nella sua gloria nel momento in cui veniva come fondamento di Sion: l’abbiamo visto senza bellezza né splendore (cfr. Is 53,2), ma quando verrà coi suoi angeli per giudicare, si mostrerà nella sua gloria” (Agostino). Vangelo: Il Signore si rivolge a tutti coloro che sono stanchi e oppressi dalla tribolazione e dalla fatica. Spesso non si è in grado di individuare la vera radice di questa oppressione. La nostra natura è divina, abbiamo bisogno di nutrirci e camminare soprattutto con Cristo.
Io sono mite e umile di cuore – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù disse: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Riflessione: ‘«Venite a me!». Gesù invita tutti quelli che si riconoscono «affaticati e oppressi», cioè sottoposti al peso della fatica del vivere, al peso delle delusioni, degli insuccessi, dell’ambiente meschino, del peso dell’ingiustizia e della falsità; ma anche del peso dell’essere padre e madre di famiglia, al peso del lavoro, della malattia, della semina dura e talvolta arida del seminatore evangelico, ecc… A tutte queste persone il Signore vuole dare «ristoro», cioè sollievo, pausa. Il modo, però, sembra strano: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me». È come se dicesse: voi che portate un peso tanto faticoso, provate a prenderne uno in più, cioè il mio peso evangelico, e vedrete che esso vi solleverà! È il paradosso della croce. Il ristoro promesso agli affaticati è collegato con l’assunzione di questo giogo dolce e leggero. Chi, infatti, perde la sua vita per il Vangelo la troverà. Ce lo propone proprio lui, «mite e umile di cuore», che realizza le beatitudini evangeliche dei miti e dei poveri. Questi versetti del Vangelo richiamano alla mente l’episodio del profeta Elìa in fuga (1Re 19,4-8). Egli si inoltra nel deserto e, desideroso di morire, dice: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Elìa sottolinea che il suo desiderio di morire è dovuto allo sconforto per l’umiliazione subita. Interviene però un angelo che gli porta del cibo e gli dice: «Àlzati e mangia!». Elìa mangia, beve e poi torna a coricarsi, ma di nuovo si presenta l’angelo, lo tocca e lo esorta a mangiare perché deve affrontare un lungo viaggio. È interessante il modo con cui Dio lo consola. Non solo lo fa ritemprare nel fisico dal sonno, dal pane e dall’acqua, ma anche gli fa intuire che c’e un cammino da compiere. La fuga, ormai, è terminata. E, anche se il traguardo è lontano, Elìa non ha più paura. Quel cammino lo porterà all’incontro con Jahvè. Portare il «suo giogo» è il cammino che Gesù propone ad ognuno di noi. I nostri pesi, quando vengono assunti con amore e vissuti come croce, diventano più leggeri e sopportabili, perché diventano un luogo di “incontro con Gesù”. Mentre Elìa, incontra Dio sul monte Oreb, noi lo incontriamo sui tanti “Golgota” attraversati dal percorso della nostra vita’ (C. D.).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Io vi darò ristoro – Papa Francesco (Angelus, 6 Luglio 2014): Gesù promette di dare ristoro a tutti, ma ci fa anche un invito, che è come un comandamento: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Il “giogo” del Signore consiste nel caricarsi del peso degli altri con amore fraterno. Una volta ricevuto il ristoro e il conforto di Cristo, siamo chiamati a nostra volta a diventare ristoro e conforto per i fratelli, con atteggiamento mite e umile, ad imitazione del Maestro. La mitezza e l’umiltà del cuore ci aiutano non solo a farci carico del peso degli altri, ma anche a non pesare su di loro con le nostre vedute personali, i nostri giudizi, le nostre critiche o la nostra indifferenza.
L’umiltà, per sé, è sapienza – Paolo VI (Udienza Generale, 5 Febbraio 1975): L’umiltà, per sé, è sapienza (cfr. S. THOMAE Ibid. 1). Socrate, ad esempio, ce ne è stato maestro. Ma la sua consistenza morale non è sempre univoca e sicura, perché facilmente si deprime in avvilimento, o si gonfia di presunzione e di vanità. E con grande facilità essa, l’umiltà personale, cioè il giudizio retto ed equanime che uno può avere su se stesso, non resiste in tale sua rettitudine al confronto col giudizio che dobbiamo avere su gli altri. Il confronto personale con quello dei nostri simili non resiste, di solito, alla giusta misura in cui dovrebbe essere contenuto. Possiamo quasi dire che l’umiltà, cioè la conoscenza dei nostri limiti, non è virtù sociale. Il confronto con gli altri ci fa spesso pietosi verso noi stessi, e orgogliosi verso il prossimo; ricordate la parabola del fariseo e del pubblicano al tempio, quando il primo dice di sé: «io non sono come gli altri…» (Lc 18,11). Sono messi così allo scoperto due malanni capitali della psicologia umana, colpevoli delle rovine più estese e più gravi dell’umanità: l’egoismo e l’orgoglio. L’uomo allora fa centro su se stesso nella estimazione dei valori della vita; egli si fa primo; egli si fa unico. La sua arte di vivere consiste nel pensare a se stesso e nel sottomettere gli altri. Tutti i grandi disordini sociali e politici hanno nell’egoismo e nell’orgoglio il loro bacino di cultura, dove tanti istinti umani e tante capacità d’azione trovano il loro profondo alimento, ma dove l’amore non c’è più. Ed anche dove questo sovrano sentimento ancora sopravvive, ma intriso com’è d’egoismo e d’orgoglio, si deforma e si deprava; diventa egoismo collettivo, diventa orgoglio di prestigio comunitario. L’amore vi ha perduto la sua migliore e cristiana caratteristica, l’universalità, e perciò la sua vera autenticità, il suo sincero disinteresse, la sua meravigliosa capacità di scoprire, conoscere, servire le sofferenze degli altri, con cuore magnanimo, come Cristo con la parola e con l’esempio c’insegnò.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “‘Venite a me, voi tutti che siete affaticati e aggravati, e io vi darò sollievo’ [Mt 11,28]. Non chiama questo o quello in particolare, ma si rivolge a tutti quanti sono tormentati dalle preoccupazioni, dalla tristezza, o si trovano in peccato. «Venite», non perché io voglia chiedervi conto delle vostre colpe, ma per perdonarle. «Venite», non perché io abbia bisogno delle vostre lodi, ma perché ho una ardente sete della vostra salvezza. «Io» – infatti, egli dice – «vi darò sollievo». Non dice semplicemente: io vi salverò, ma ciò che è molto di più: vi porrò in assoluta sicurezza, perché questo è il senso delle parole «vi darò sollievo». ‘Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e così troverete conforto alle anime vostre; poiché il mio giogo è soave, e il mio peso è leggero’ [Mt 11,29-30]. Non vi spaventate dunque, quando sentite parlare di «giogo», perché esso è «soave»; non abbiate timore quando udite parlare di «peso», perché esso è leggero. Ma perché, allora, – voi direte, – ha parlato precedentemente della porta stretta e della via angusta? Pare così quando noi siamo pigri e spiritualmente abbattuti. Ma se tu metti in pratica e adempi le parole di Cristo, il peso sarà leggero. È in questo senso che così lo definisce. Ma come si può adempire ciò che Gesù dice? Puoi far questo se tu diventi umile, mite e modesto. Questa virtù è infatti la madre di tutta la filosofia cristiana. Per questo motivo quando egli incomincia a insegnare quelle sue divine leggi, inizia dall’umiltà [Mt 7,14]. Egli conferma qui quanto disse allora, e promette che questa virtù sarà grandemente ricompensata. Essa non sarà – dice in sostanza – utile solo agli altri, in quanto voi prima di tutti ne riceverete i frutti, poiché «troverete conforto alle anime vostre». Ancor prima della vita eterna il Signore ti dà già la ricompensa e ti offre la corona del combattimento: in questo modo e col fatto che propone se stesso come esempio, rende accettabili le sue parole” (Giovanni Crisostomo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Il giogo, nella sacra Scrittura, è simbolo della sottomissione a Dio (Ger 2,20) e dell’obbedienza alla legge (At 15,10; Gal 5,1). Gesù nell’offrire ai suoi discepoli il suo “giogo dolce” fa emergere la «nuova giustizia» evangelica in netta contrapposizione con la giustizia farisaica fatta di precetti e di leggi; una giustizia ipocrita, strisciante da sempre in tutte le religioni, anche nel cuore di tanti cristiani. Il ristoro che Gesù dona a coloro che sono «stanchi e oppressi», in ogni caso, non esime chi si mette seriamente al suo seguito di accogliere, senza tentennamenti, la «clausola» che la sequela esige: rinnegare se stessi e portare la croce dietro di lui, ogni giorno (cfr. Lc 9,23), senza infingimenti o accomodamenti. È la croce che diventa, per il Cristo come per il suo discepolo, motivo discriminante della vera sapienza, quella sapienza che agli occhi del mondo è considerata sempre «stoltezza» o «scandalo» (1Cor 1,17-31). Un carico, la croce di Cristo, che non soverchia le forze umane, non annienta l’uomo nelle sue aspettative, non lo umilia nella sua dignità di creatura, anzi lo esalta, lo promuove, lo avvia, «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito Santo» (2Cor 3,18) ad un traguardo di felicità e di beatitudine eterna. La croce va quindi piantata al centro del cuore e della vita del credente. Invece, molti cristiani tendono a porre al centro di tutto la loro vita, spesso disordinata; le loro scelte, non sempre in sintonia con la morale; o gusti o programmi e tentano di far ruotare attorno a questo centro anche l’intero messaggio evangelico, accettandolo in parte o corrompendolo o assoggettandolo ai propri capricci; da qui la necessità di imporre alla Bibbia, distinguo, precetti o nuove leggi, frutto della tradizione umana; paletti issati come muri di protezione per contenere la devastante e benefica azione esplosiva della Parola di Dio (cfr. Mc 7,8-9).
Santo del giorno: 19 Luglio – Santa Macrina la Giovane, Monaca: Prima di 10 fratelli, tra i quali ben 4 sono santi (lei, Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa e Pietro sacerdote e monaco), nacque in Ponto nel 327. Giovane e bella, era un partito agognato, ma scelse presto di dedicarsi esclusivamente a Dio. Per diversi anni rimase al fianco della madre per aiutarla nel governo della casa e nell’educazione dei fratelli. Esercitò un’influenza decisiva sulle scelte dei due fratelli più famosi, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nissa. Quando gli uomini ebbero trovata la loro strada, madre e figlia decisero di ritirarsi ad Annesi sulle rive del fiume Iris. Qui Macrina divenne la superiora del monastero doppio dove uomini e donne si sforzavano di vivere in pienezza il Vangelo. Al ritorno dal concilio di Antiochia, Gregorio di Nissa si fermò ad Annesi per salutare la sorella. Fu l’ultimo incontro tra i due dato che Macrina morì nel 380 a soli 53 anni. Gregorio, tuttavia, fece a tempo a sentire dalle sue labbra la grandiosa preghiera pronunciata prima di morire. La sua spiritualità e la sua vita sono narrate dallo stesso Gregorio.
Preghiamo: O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore Gesù Cristo…