17 Luglio 2018 – Martedì, XV del Tempo Ordinario – (Is 7,1-9; Sal 47[48]; Mt 11,20-24) – I Lettura: «L’attacco da parte della Siria (Aram) e Israele (Èfraim) contro Giuda, la cosiddetta guerra siro-efraimitica, fu un tentativo per obbligarlo ad entrare nella coalizione anti-assira. Acaz risolse la sua difficoltà, contro il parere di Isaìa, sottomettendosi come vassallo all’Assiria, il cui re, Tiglat-Pileser III, mosse contro Siria e Israele (2Re 16,7-9)» (Nuovo Grande Dizionario Biblico). Salmo: “Il Cristo ha abitato la terra che, prima della sua venuta, era soggetta al peccato e ha riversato in essa la sua gioia” (Girolamo). Vangelo: Corazìn e Betsàida erano delle città situate nella parte settentrionale del lago di Genèsaret. Durante il suo ministero pubblico il Signore andò spesso a predicare lì e a compiere molti miracoli. Gesù rimprovera duramente gli abitanti di queste città perché, pur avendo ricevuto molto, corrispondono con sentimenti d’ingratitudine, non accogliendo il messaggio della salvezza.
Nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne e la terra di Sòdoma saranno trattate meno duramente di voi – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: «Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!».
Riflessione: «Se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora!». Di quanti prodigi furono spettatori i contemporanei di Gesù, come il Cristo stesso ebbe a sottolineare: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono» (Lc 10,23-24). Il rischio, cui il Vangelo ci mette davanti, è proprio questa chiusura della mente e del cuore, il rischio di una cecità che non ci permette di vedere «le opere ammirevoli di Dio, che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (1Pt 2,9). È un rischio concreto, antico quanto il peccato: è il pericolo che ha portato i nostri progenitori al peccato originale. Adamo ed Eva, infatti, dimentichi delle parole di Dio, del loro essere stati posti signori del creato, di essere nell’amicizia piena con Dio, di passeggiare in perfetta comunione con Dio, non hanno tenuto conto di tutti i doni che il Signore gratuitamente e senza alcun merito aveva loro donato, mettendo a loro disposizione il Paradiso terrestre. Invece di vivere nella contemplazione e nella gratitudine di quanto Dio aveva fatto per loro, si sono lasciati convincere dal serpente, si sono allontanati dal cuore di Dio giungendo alla disobbedienza e alla ribellione a lui: avevano tutto e hanno preferito il nulla! (cfr. Gen 2-3). E noi oggi, come viviamo il nostro dimorare in Dio? Anche oggi noi possiamo affermare con san Paolo: «In Dio viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Di quanti prodigi siamo costantemente testimoni, a quanti miracoli assistiamo nella nostra fede! Come viviamo il miracolo della sua misericordia ogni qual volta ci accostiamo al sacramento della Riconciliazione? Con quale stupore contemplativo viviamo la santa Messa, dove si riattualizza il Sacrificio di Cristo nel mistero Eucaristico? Con quali sentimenti riceviamo il Corpo e il Sangue di Gesù, vivo e vero nell’Eucaristia che ogni giorno ci viene donata; cosa significa per noi essere un solo Corpo in Gesù, con Gesù? Sentiamo ardere il nostro cuore alla proclamazione della sua Parola? La accogliamo, ci convertiamo? O siamo anche noi peggiori degli abitanti di Sòdoma e di Gomorra?
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Guai a te, Corazìn!… – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 8 Giugno 1988): Così le esigenze del Vangelo di Cristo penetrano nel campo della legge e della morale. Colui che è il “testimone fedele” (Ap 1,5) della verità divina, della verità del Padre, dice fin dall’inizio del discorso della montagna: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel Regno dei cieli” (Mt 5,19). E nell’esortare alla conversione, non esita a rimproverare le stesse città dove la gente rifiuta di credere: “Guai a te, Corazin, guai a te, Betsaida!” (Lc 10,13), mentre ammonisce tutti e ciascuno: “… se non vi convertirete, perirete” (Lc 13,3). Così il Vangelo della mitezza e dell’umiltà va di pari passo con il Vangelo delle esigenze morali, e persino delle severe minacce a coloro che non vogliono convertirsi. Non vi è contraddizione tra l’uno e l’altro. Gesù vive della verità che annunzia e dell’amore che rivela, e questo è un amore esigente come la verità da cui promana. Del resto l’amore ha posto le più grandi esigenze a Gesù stesso nell’ora del Getsemani, nell’ora del Calvario, nell’ora della croce. Gesù ha accettato e assecondato queste esigenze fino in fondo, perché, come ci avverte l’evangelista, egli “amò sino alla fine” (Gv 13,1). Si trattava di un amore fedele, per il quale il giorno prima di morire egli poteva dire al Padre: “Le parole che hai dato a me io le ho date a loro” (Gv 17,8).
Il peccato è stato perdonato, ma resta pur sempre una pena da scontare – Giovanni Paolo II (Discoro, 11 Febbraio 1984): Oggi molti sentono il bisogno di sperimentare un Dio dolce e paterno, e non severo e punitore. Ma la sorgente autentica di tale esperienza non sta certamente nell’atteggiamento farisaico di chi “si sente giusto” per conto suo, ma, ben al contrario, in quello del pubblicano della parabola di Luca (Lc 18,10-11): vale a dire nel riconoscersi peccatori, nel pentimento e nel proposito di compiere degne opere di penitenza e di riparazione. In ciò sta innanzitutto la vera “giustizia” e questo è l’atteggiamento che allontana l’ira divina, facendoci sperimentare l’infinita dolcezza del Padre celeste. La misericordia di Dio, mediante il perdono, cancella il peccato, ma non toglie la necessità di compensare l’amore divino offeso mediante un’opera espiatrice fondata sulla carità e sul valore infinito dei meriti di Cristo. Il valore dell’indulgenza trae proprio da questo principio – come sapete – la sua ragion d’essere. Il peccato è stato perdonato, ma resta pur sempre una pena da scontare: e l’indulgenza ci aiuta appunto in questo. Essa però non è il solo aiuto, ma esiste anche un altro mezzo necessario ed efficacissimo per riparare i nostri peccati: il compimento delle opere di misericordia, secondo il chiarissimo insegnamento del Vangelo: noi potremo ottenere misericordia nella misura in cui avremo donato misericordia.
L’Inferno – CCC 1035: La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, «il fuoco eterno». La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Anche dopo i miracoli loro non si pentirono – “Il Salvatore compiange Corazin e Betsaida, città della Galilea, perché dopo tanti miracoli non si sono pentite, tanto che a esse sono da anteporre Tiro e Sidone, città dedite all’idolatria e al vizio. Sono da anteporre, perché Tiro e Sidone hanno calpestato soltanto la legge della natura, mentre queste città, dopo aver violato la legge naturale e quella scritta, hanno disprezzato i miracoli che in esse sono stati compiuti. Ci chiediamo dove stia scritto che il Signore abbia compiuto miracoli a Corazin e a Betsaida. Ma sopra abbiamo letto: Andava in giro per tutte le città e tutti i villaggi, curando ogni infermità. È pertanto verosimile che tra queste città e questi villaggi il Signore abbia compiuto miracoli anche a Corazin e a Betsaida” (Girolamo).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! … E tu, Cafàrnao – Don Dolindo Ruotolo (I Quattro Vangeli): Gesù Cristo annunziò a queste città un giudizio severissimo di Dio e, parlando alle città, parlò ai suoi abitanti. Il suo Cuore era pieno di pene per l’ingratitudine umana e si volgeva non solo alle città sconoscenti, ma a tutti i secoli, a tutte le generazioni future, che le avrebbero imitate. Il mondo infatti è un ammasso di nerissima ingratitudine, dopo la redenzione merita il rimprovero che Gesù fece alle città sconoscenti. La predicazione del Vangelo avrebbe potuto mutarlo in un’oasi di prosperità e di pace, ed esso invece ha preferito rimanere nel lezzo del suo paganesimo, o ha preteso asservire a sé la Chiesa. Ha ricevuto la verità e corre appresso all’errore, ha ricevuto la grazia e la rifiuta, ha ricevuto l’autorità suprema e le si ribella. Il Redentore ha fatto prodigi immensi di amore in mezzo all’umanità coi suoi Sacramenti, e deve quasi cercare in elemosina che gli uomini li ricevano; ha schiacciato la testa di satana e gli uomini fanno ogni sforzo per richiamarlo in mezzo a loro… È uno spettacolo di obbrobriosa ingratitudine che oggi specialmente emerge e che ha potuto trascendere negli errori dei senza Dio, e nella degradante barbarie del comunismo. Quando si pensa che in tempi non lontani si sono mutate in latrine le Chiese, come quelle di san Tichone e di san Wladimiro in Russia, e si sono arrostiti allo spiedo i sacerdoti, o si sono trucidati barbaramente, come si è fatto in Russia e nella Spagna invasa dalle orde bolsceviche, quando si vedono le degradazioni del comunismo bestiale, si rimane impietriti di fronte all’umana scelleratezza, che, invece di accettare la verità e formare nella Chiesa la società dei redenti, ha formato le falangi dell’anticristo. Il lamento di Gesù Cristo deve risvegliarci, e deve spingerci ad essere cristiani, cattolici, apostolici, romani senza dedizioni all’errore, al male, a satana, al mondo; è l’epoca nella quale non si può transigere in nessun modo con lo spirito del male, senza tradire la causa del Redentore. È un dovere strettissimo, anche se dovessimo raccogliere le stupidi derisioni del mondo, anche se dovessimo urtare contro il suo orgoglio maledetto e i suoi usi balordi.
Santo del giorno: 17 Luglio – Sant’Alessio, Mendicante: “Fattosi povero, da patrizio qual era, Alessio trascorreva le notti sotto una scala sul colle romano dell’Aventino. In quel luogo Papa Onorio III gli dedicò nel 1217 una chiesa, scelta ancora oggi per molti matrimoni che si celebrano nell’Urbe. Ma quella della scala è soltanto una delle due tradizioni esistenti sul santo. Secondo quella siriaca, infatti, il giovane fuggì la sera delle nozze per recarsi a Edessa, dove visse da mendicante e morì. La variante greco-romana introduce il ritorno a Roma (raffigurato nelle pitture della chiesa inferiore della basilica San Clemente). Qui Alessio visse sempre da mendico e non venne riconosciuto dal padre. Fu Papa Innocenzo a scoprirne l’identità e a comunicarla ai genitori, che, straziati, si recarono al capezzale del figlio ormai morente. Una scena spesso raffigurata nell’arte” (Avvenire).
Preghiamo: O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore Gesù Cristo…