luglio, meditazioni

16 Luglio 2018

16 Luglio 2018 – Lunedì, XV del Tempo Ordinario – (Is 1,10-17; Sal 49[50]; Mt 10,34-11,1) – I Lettura: «La nuova sezione è collegata alla precedente tramite il riferimento a Sòdoma e Gomorra. “Ascoltate l’istruzione (torà) del nostro Dio”: un nuovo richiamo all’ascolto, all’attenzione, simile a quello di un maestro di sapienza, inizia così questa sezione. Torà va intesa qui nel significato che ha nei testi sapienziali, cioè come istruzione in senso generico, piuttosto che legge» (Nuovo Grande Commentario Biblico). Salmo: “Offriamo a Dio non più giovani tori con corna che cominciano a spuntare, ma offriamo a Dio, sull’altare del cielo, il sacrificio di lode. Penetriamo prima all’interno del velo, osserviamo il Santo dei Santi e offriamo noi stessi a Dio. Ogni giorno, offriamo a Dio il nostro essere e tutte le nostre azioni” (Gregorio Nazianzeno). Vangelo: Dall’espressione forte di Gesù; “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada”, si può ben intendere che non è l’era messianica di pace. Questa ‘non pace’ interessa i rapporti amicali ma potrebbe interessare anche i legami di sangue, nella misura in cui questi e quei legami dovessero allontanarci dal compiere la volontà di Dio. In una situazione simile dovremmo mettere in conto la necessità di troncare anche con coloro che ci sono umanamente più cari.

Sono venuto a portare non pace, ma spada – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.

Riflessione: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato». La Chiesa è formata da uomini santi e peccatori allo stesso tempo: santi in quanto chiamati da Dio e da lui redenti per il Sangue del Figlio e santificati per l’azione dello Spirito Santo. Ma al contempo siamo innegabilmente dei peccatori, come ci ricorda san Paolo: «tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù» (Rm 3,23-24). Gesù ci chiama ad essere suoi collaboratori (cfr. 1Cor 3,9; 2Cor 1,24; 6,1), così come ha fatto con i suoi discepoli e, tra essi, con gli stessi Apostoli. I Vangeli insistono nel ricordare che Gesù conosce il cuore di ogni uomo, ne conosce tanto i pregi quanto i vizi e i difetti (cfr. Mt 9,4; Lc 9,47; Gv 6,64). Ed è a questi uomini, ignoranti, rozzi, arrivisti (cfr. Mc 9,33-34) che il Signore affida il suo messaggio, la missione di annunciare il Vangelo, e il potere di accompagnare la forza della Parola con la potenza dei miracoli, sanando gli infermi, scacciando i demòni e risuscitando i morti (cfr. Lc 9,1). Gesù dona ai suoi discepoli ogni potere (cfr. Lc 10,19), non perché i migliori o più santi, non perché raccomandati, ma semplicemente perché liberamente scelti e amati dalla sua gratuita misericordia. Ieri come oggi, il Signore continua ad affidare alla sua Chiesa il deposito della fede (cfr. 1Tm 6,20), e coloro che compongono la Chiesa di oggi non sono né migliori né peggiori di quelli di due millenni fa. Santi e peccatori, desiderosi di Dio e arrivisti, uomini che vivono di Paradiso e uomini che si nutrono di mondo… tutti il Signore invia per annunciare il suo Vangelo. E lo fa mantenendo fede alla promessa fatta: «chi accoglie voi, accoglie me». Non c’è errore più grande di fermarsi alla persona che porta il lieto annuncio e non accogliere il Vangelo a motivo delle persone: Gesù conosce anche oggi il cuore di ciascun suo discepolo, sacerdote, consacrato, laico… Ma ancora oggi vuole che il suo Vangelo sia accolto attraverso la persona dei suoi inviati, non perché santi, ma perché inviati da Dio. Impariamo ad amare Cristo accogliendo e rispettando i suoi sacerdoti e testimoni della fede.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Il sacrificio – CCC 2099-2100: È giusto offrire sacrifici a Dio in segno di adorazione e di riconoscenza, di implorazione e di comunione: «Ogni azione compiuta per aderire a Dio rimanendo con lui in comunione, e poter così essere nella gioia, è un vero sacrificio». Per essere autentico, il sacrificio esteriore deve essere espressione del sacrificio spirituale: «Uno spirito contrito è sacrificio…» (Sal 51,19). I profeti dell’Antica Alleanza spesso hanno denunciato i sacrifici compiuti senza partecipazione interiore o disgiunti dall’amo-re del prossimo. Gesù richiama le parole del profeta Osea: «Misericordia io voglio, non sacrificio» (Mt 9,13). L’unico sacrificio perfetto è quello che Cristo ha offerto sulla croce in totale oblazione all’amore del Padre e per la nostra salvezza. Unendoci al suo sacrificio, possiamo fare della nostra vita un sacrificio a Dio.

Portare la croce – Giovanni Paolo II (Omelia, 4 Settembre 1983): Gesù è in cammino verso Gerusalemme, dove compirà nella Passione la volontà del Padre celeste; a coloro che vanno con lui – e sono in molti oltre ai discepoli – dice chiaramente che nessun affetto umano e neppure la propria vita possono essergli anteposti; egli si presenta come l’Assoluto, che merita di essere cercato, seguito e amato per se stesso al di sopra di tutto il resto, persone o cose. Non solo; seguirlo significa e comporta il “portare la propria croce”, cioè non soltanto l’accettazione della sofferenza, ma, ancor di più, del disprezzo, della solitudine, dell’emarginazione, che le masse riservavano in quei tempi ai condannati alla morte di croce. Tutto ciò significa che Gesù esige da noi, oggi come ieri, che aderiamo a lui e viviamo di fede con tutte le conseguenze sul piano personale, familiare, sociale. È uno spirito di “rinuncia” quello che deve animare le varie dimensioni della vita del cristiano, se egli vuole essere sempre unito a Cristo

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Si deve amare Dio sia nel tempo della persecuzione, sia nella pace e nella quiete – «“Chi ama suo figlio o sua figlia più di me non è degno di me” [Mt 10,37]. Questo detto, i fedeli più tiepidi e negligenti pensano che lo si debba attuare solo nel tempo della persecuzione: quasi esistesse un qualche tempo in cui si possa preferire a Dio qualcos’altro o quasi che chi nel tempo della persecuzione ritiene come suo bene più prezioso di tutti Cristo, in ogni altro tempo lo possa considerare un bene più vile. Se le cose stessero così, il nostro amore per Dio lo dovremmo alla persecuzione, non alla fede; e solo allora potremmo qualcosa, quando gli empi ci perseguitano, mentre dobbiamo a Dio un affetto maggiore, o certamente non minore, nella tranquillità che nelle avversità. Dobbiamo infatti amarlo di più per il fatto stesso che non permette che noi siamo afflitti dai mali, mostrando cioè verso di noi l’indulgenza di un padre dolcissimo e tenerissimo, preferendo che nella pace e nella quiete noi mostriamo con opere di bene la nostra fede, piuttosto di farcene dar prova nella persecuzione, con le pene del nostro corpo. Perciò, se nulla si deve a lui preferire quando ci tratta con asprezza, certo non si deve nulla a lui preferire quando, con la sua bontà, più a sé ci lega» (Salviano di Marsiglia).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Anch’io porto sul mio cuore, da tanto tempo, lo Scapolare del Carmine! – Giovanni Paolo II (Omelia, 25 marzo 2001): «Nel segno dello Scapolare si evidenzia una sintesi efficace di spiritualità mariana, che alimenta la devozione dei credenti, rendendoli sensibili alla presenza amorosa della Vergine Madre nella loro vita. Lo Scapolare è essenzialmente un ‘abito’. Chi lo riceve viene aggregato o associato in un grado più o meno intimo all’Ordine del Carmelo, dedicato al servizio della Madonna per il bene di tutta la Chiesa (cfr. Formula dell’im-posizione dello Scapolare, nel “Rito della Benedizione e imposizione dello Scapolare”, approvato dalla Congregazione per il Culto Divino e la  Disciplina dei Sacramenti, 5/1/1996). Chi riveste lo Scapolare viene quindi introdotto nella terra del Carmelo, perché “ne mangi i frutti e i prodotti” (cfr. Ger 2,7), e sperimenta la presenza dolce e materna di Maria, nell’impegno quotidiano di rivestirsi interiormente di Gesù Cristo e di manifestarlo vivente in sé per il bene della Chiesa e di tutta l’umanità (cfr. Formula dell’imposizione dello Scapolare, cit.). Due, quindi, sono le verità evocate nel segno dello Scapolare: da una parte, la protezione continua della Vergine Santissima, non solo lungo il cammino della vita, ma anche nel momento del transito verso la pienezza della gloria eterna; dall’altra, la consapevolezza che la devozione verso di Lei non può limitarsi a preghiere ed ossequi in suo onore in alcune circostanze, ma deve costituire un ‘abito’, cioè un indirizzo permanente della propria condotta cristiana, intessuta di preghiera e di vita interiore, mediante la frequente pratica dei Sacramenti ed il concreto esercizio delle opere di misericordia spirituale e corporale. In questo modo lo Scapolare diventa segno di ‘alleanza’ e di comunione reciproca tra Maria e i fedeli: esso infatti traduce in maniera concreta la consegna che Gesù, sulla croce, fece a Giovanni, e in lui a tutti noi, della Madre sua, e l’affidamento dell’apostolo prediletto e di noi a Lei, costituita nostra Madre spirituale […]. Anch’io porto sul mio cuore, da tanto tempo, lo Scapolare del Carmine! Per l’amore che nutro verso la comune Madre celeste, la cui protezione sperimento continuamente, auguro che quest’anno mariano aiuti tutti i religiosi e  le religiose del Carmelo e i pii fedeli che la venerano filialmente, a crescere nel suo amore e a irradiare nel mondo la presenza di questa Donna del silenzio e della preghiera, invocata come Madre della misericordia, Madre della speranza e della grazia.

Santo del giorno: 16 Luglio – Beata Vergine Maria del Monte Carmelo: “Il primo profeta d’Israele, Elia (IX sec. a.C.), dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando la pioggia e salvando Israele dalla siccità. In quella immagine tutti i mistici cristiani e gli esegeti hanno sempre visto la Vergine Maria, che portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo. Un gruppo di eremiti, «Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo», costruirono una cappella dedicata alla Vergine sul Monte Carmelo. I monaci carmelitani fondarono, inoltre, dei monasteri in Occidente. Il 16 luglio del 1251 la Vergine, circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al primo Padre generale dell’Ordine, beato Simone Stock, al quale diede lo «scapolare» col «privilegio sabatino», ossia la promessa della salvezza dall’in-ferno, per coloro che lo indossano e la liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato seguente alla loro morte” (Av-venire).

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