13 Luglio 2018 – Venerdì, XIV del Tempo Ordinario – (Os 14,2-10; Sal 50[51]; Mt 10,16-23) – I Lettura: «La profezia di Osèa chiude su una nota di speranza – speranza basata sulla certezza che YHWH ama il suo popolo. La proclamazione di questo amore è divisa in due parti: l’appello del profeta al popolo perché torni a Dio (vv. 2-4) e la promessa di amore da parte di Dio, comunicata al profeta a proposito del popolo (vv. 5-9)» (Nuovo Grande Commentario Biblico). Salmo: “Parzialmente mi conosco, non come mi conosci tu, non come sono da te conosciuto: il mio cuore resta incomprensibile anche a me stesso, ma tu scruti gli abissi” (Anselmo). Vangelo: Il Maestro manda gli apostoli spiegando cosa devono fare e cosa non devono portare con loro. Suggerisce anche l’atteggiamento da attuare in caso il loro annunzio non venisse accolto. Continuando, Gesù, non evita di mettere in guardia gli apostoli da quello che dovranno patire, a causa proprio del contenuto dell’annuncio e lo fa con lo scopo di infondere nel loro cuore pazienza e coraggio, promettendogli che al momento opportuno avranno forza e sapranno come parlare in propria difesa.
Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo».
Riflessione: «Vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia…». Il Vangelo della Liturgia della Parola continua la lettura del brano iniziato ieri e di cui abbiamo cercato di mettere in evidenza un aspetto centrale: la gratuità del dono di Dio che diventa immagine della gratuità del nostro apostolato, della nostra testimonianza, del nostro donarci al prossimo, indipendentemente dai meriti di questi o dalla loro corrispondenza ai nostri doni. E Gesù continua mettendo in evidenza che proprio a motivo della gratuità e dell’universalità del dono, gli altri non saranno necessariamente accoglienti, carini e riconoscenti, anzi per la maggior parte si rivolteranno contro, ne approfitteranno e perfino ne avranno motivo di persecuzione contro di noi. Non abbiamo certo da stupircene: quando Gesù diceva queste cose, certamente sembravano situazioni assurde e impossibili: come può rivoltarsi contro colui che ha ricevuto da noi solo del bene? come può condannarci colui che amiamo ed è oggetto delle nostre attenzioni? Ma noi, ascoltando queste parole, abbiamo dinanzi agli occhi la Passione del Cristo, l’ingannevole consegna ai sommi sacerdoti, la rivolta di quanti fino a poco prima lo osannavano andandogli incontro con palme e rami di ulivo e che adesso ne gridano la condanna per crocifissione, la fuga degli Apostoli… non solo, ma abbiamo dinanzi agli occhi due millenni di storia di martiri, spesso traditi dai propri familiari, a volte perfino uccisi dai familiari stessi, in odio alla fede, a motivo di Cristo, avendo ricevuto solo bene e mai un torto. Anche questa è gratuità: non dobbiamo servire e amare solo coloro che ci ringraziano, che ci osannano, che ci applaudono, ma una gratuità verso tutti, senza distinzioni. Un dono, fosse anche un sorriso, un grazie, un aiuto, dato senza distinzioni e misure. Dio ama tutti, e verso chi sbaglia non reagisce se non con un amore possibilmente maggiore, fino a morire per i peccatori, fino a rimanere dietro la porta e continuare a bussare (cfr. Ap 3,20). Essere cristiani significa anche questo: amare senza misura, donare a chiunque, sacrificarsi e morire per tutti, come Cristo.
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi – Giovanni Paolo II (Messaggio, 18 Ottobre 2000): Siate missionari! La fede è un dono che, condiviso con gli altri credenti, cresce e matura. Portate il Vangelo a tutti, specialmente ai vostri coetanei, e anzitutto a chi è meno considerato e più in difficoltà. Alle parole unite sempre i fatti; la vostra forza sia quella della verità. Resistete alle logiche negative, che purtroppo riscontrate talvolta intorno a voi. Ricordate che Gesù disse ai suoi Apostoli: “Vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16). Non accontentatevi di essere pane fresco e fragrante: dovete essere lievito evangelico nella scuola e nell’università, nel mondo del lavoro ed in quello dello sport, in famiglia e tra gli amici. Impegnatevi per questo a partecipare alla vita pubblica e nelle istituzioni, mantenendovi distaccati da ogni interesse personale e operando sempre e soltanto per il bene comune.
Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali… – Giovanni Paolo II (Omelia, 7 Giugno 1999): A coloro che lo seguono, Cristo non promette una vita facile. Annunzia piuttosto che, vivendo il Vangelo, dovranno diventare segno di contraddizione. Se egli stesso soffrì persecuzione, essa si compirà anche per i suoi discepoli: “Guar-datevi dagli uomini – egli annunzia – perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe” (Mt 10,17). Cari Fratelli e Sorelle! Ogni cristiano, unito con Cristo mediante la grazia del santo Battesimo, è divenuto membro della Chiesa e “ormai non appartiene a se stesso” (cfr. 1Cor 6,19), ma a colui che per noi è morto e risorto. Da quel momento entra in un particolare legame comunitario con Cristo e con la sua Chiesa. Ha dunque l’obbligo di professare davanti agli uomini la fede ricevuta da Dio tramite la Chiesa. Come cristiani siamo dunque chiamati a testimoniare Cristo. A volte ciò esige un grande sacrificio da parte dell’uomo, da offrire ogni giorno e, a volte, anche per tutta la vita. Questa ferma perseveranza accanto a Cristo e al suo Vangelo, questa disponibilità ad affrontare “sofferenze per causa della giustizia” sono sovente atti di eroismo e possono assumere forma di autentico martirio, che si compie ogni giorno e in ogni istante nella vita dell’uomo… sino al conclusivo “tutto è compiuto”.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “A che cosa danno testimonianza tali miracoli [avvenuti nei luoghi destinati al culto dei martiri], se non a questa fede che predica la risurrezione di Cristo nella carne e la sua ascensione al cielo con la carne? Gli stessi martiri infatti furono «martiri» di questa fede, cioè suoi testimoni: a questa fede dettero testimonianza davanti al mondo inimicissimo e crudelissimo, che vinsero non combattendo, ma morendo. Per questa fede sono morti, e ora possono impetrarla al Signore, per il cui nome furono uccisi. È per questa fede che essi hanno anzitutto sofferto con una ammirevole pazienza affinché in seguito potessero manifestare questa grande potenza. Poiché, se la risurrezione della carne per l’eternità non ha avuto già luogo nel Cristo, o non deve aver luogo in futuro come l’ha predetto il Cristo e come l’hanno predetto i profeti che hanno annunziato il Cristo, perché tanto potere è stato concesso a dei morti che hanno gettato via la loro vita per una fede che proclama questa risurrezione? Infatti, sia che Dio stesso operi da sé in quel modo mirabile con cui egli, eterno, agisce nelle cose temporali, sia che operi per mezzo dei suoi ministri; e in questo caso, sia che agisca per mezzo dello spirito dei martiri, come fa per mezzo degli uomini ancora viventi in questa carne, sia per mezzo degli angeli, in cui opera in modo invisibile, immutabile e incorporeo – e di conseguenza i miracoli che si dicono compiuti dai martiri avverrebbero solo per le loro preghiere e impetrazioni, non per la loro opera – sia che egli li compia alcuni in un modo, altri in un altro modo che a noi mortali non è possibile comprendere: tuttavia è certo che questi prodigi sono una testimonianza in favore di quella fede che annuncia la risurrezione della carne per l’eternità” (Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe: La consegna ai tribunali e alle sinagoghe è forse un espediente per sottolineare la matrice religiosa e statale-temporale della persecuzione contro i discepoli del Risorto. Il termine testimonianza è desunto dal greco martyrion da cui viene la parola martirio e va inteso come atto del testimoniare la propria fede fino al sacrifico della vita. All’annuncio della persecuzione a motivo della fede (cfr. Gv 15,20), si accompagna la promessa dell’assistenza divina: il discepolo deve guardare al martirio con estrema serenità in quanto ha la certezza che nemmeno un capello del suo capo perirà. L’essere cristiani pone nella condizione di essere perseguitati, calunniati, odiati per il nome di Cristo, anche dal padre o dal fratello. Il martirio, affrontare la morte per la fede, per il cristiano non è un incidente di percorso o qualcosa di molto improbabile, infatti, il «Battesimo impegna i cristiani a partecipare con coraggio alla diffusione del Regno di Dio, cooperandovi se necessario col sacrificio della stessa vita» (Benedetto XVI). Essere cristiani non significa non subire alcun danno o offesa, ma che ogni sofferenza verrà ricompensata e niente andrà perduto, neppure un capello. Essere discepoli di Cristo è una scelta che riserva un calice amaro: è il prezzo della verità. Il mondo del male, coalizzato contro i cristiani, potrà fare a pezzi i loro corpi, ma essi non devono temere perché sono già nella gioia del possesso del regno dei cieli (Mt 5,11-12). Gesù «chiama alla gioia, paradossalmente, i discepoli vittime di ogni angheria. Essi pagano un prezzo alto l’adesione a Cristo. Ma grande sarà anche la ricompensa celeste ed escatologica. Nessuna meraviglia per questo destino di persecuzione, perché già i profeti sono stati perseguitati; così sarà dei discepoli di Gesù» (G. B.). Che i profeti e i discepoli di Gesù siano accomunati al suo destino di persecuzione è attestato da Luca 11,49-50: «Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo». Una comunanza di morte che con la sua lunga scia di sangue ha lambito ben duemila anni di storia cristiana!
Santo del giorno: 13 Luglio – Sant’Eugenio di Cartagine, Vescovo: Eugenio, vescovo di Cartagine, lega il suo nome all’isola di Bergeggi e al vicino comune ligure di Noli. Secondo la tradizione, il santo si rifugiò nell’isola, insieme con Vendemiale, per sfuggire alle persecuzioni dei Vandali ariani e qui morì nel 505. Poi l’isola stessa sarebbe arrivata di fronte alla costa ligure «traghettando» su di sé Eugenio e Vendemiale. Le spoglie del santo vennero allora traslate a Noli dove divenne il patrono della città. La tradizione vuole che alcuni anni dopo il corpo del santo sia ritornato da solo sull’isola. Nel 992 Bernardo, vescovo di Savona, fece costruire sull’isola un monastero, i cui resti sono ancora visibili, che fu donato ai monaci benedettini di Lérins perché ne custodissero le spoglie. Sull’isola di Bergeggi il culto di Eugenio sarebbe fiorito fin dal quinto secolo, cioè immediatamente dopo la sua morte, e la chiesa coeva ne sarebbe la testimonianza.
Preghiamo: O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna. Per il nostro Signore…