luglio, meditazioni

11 Luglio 2018

11 Luglio 2018 – Mercoledì – San Benedetto (Festa) – (Pr 2,1-9; Sal 33[34]; Mt 19,27-29) – I Lettura: «Dopo la “signora sapienza”, riprende la parola il maestro. I verbi «accogliere, custodire, invocare, rivolgere, ricercare, scavare» costituiscono un invito alla ricerca assidua della saggezza. Questa avrà il suo frutto: la conoscenza di Dio e, insieme ad essa, ogni sua benedizione» (Bibbia Via, Verità e Vita, nota). Salmo: “Sarete illuminati con una luce che non può venire meno. Anche nel momento in cui era deriso dai soldati il Cristo era pur sempre la vera luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo (cfr. Gv 1,9)” (Agostino). Vangelo: Gesù si trova, con i suoi discepoli, nella regione della Giudea. Il Maestro ha appena sottolineato, quanto sia difficile per un ricco entrare nel regno dei cieli. Questa affermazione di Gesù, è difficile da capire, perché per gli ebrei, il benessere, è un premio concesso da Dio ai giusti. Pietro chiede cosa avverrà invece per coloro che  hanno lasciato tutto per seguirlo.

Voi che mi avete seguito, riceverete cento volte tanto – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Pietro, disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».

Riflessione: Alla domanda di Pietro, umanamente interessata, Gesù risponde con una promessa che si farà realtà nella rigenerazione del mondo: voi, miei amici (Gv 15,15), siederete su dodici troni a giudicare le tribù d’Israele. Se giudicare può essere inteso anche nel senso di governare (cfr. Gdc 12,8.9.11; 15,20; 16,31; Sal 2,10), nel brano di Mt va riferito al giudizio universale, al tempo in cui il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria come giudice dei vivi e dei morti. Quindi, i Dodici saranno associati a Gesù nel giudicare le tribù d’Israele. La lista delle cose lasciate per il regno di Dio certamente non è esaustiva. Mc riporta lo stesso elenco (10,28-31), Luca vi aggiunge la moglie (18,29). Ai piccoli sacrifici Dio risponde con doni incommensurabilmente incomparabili: Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: San Benedetto Abate – Paolo VI (Pacis nuntius, Lettera Apostolica, 24 Ottobre 1964): Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente: questi i giusti titoli dell’esaltazione di san Benedetto Abate. Al crollare dell’Impero Romano, ormai esausto, mentre alcune regioni d’Europa sembravano cadere nelle tenebre e altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui con costante e assiduo impegno a far nascere in questo nostro continente l’aurora di una nuova èra. Principalmente lui e i suoi figli portarono con la croce, con il libro e con l’aratro il progresso cristiano alle popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia (cfr. AAS 39 [1947], p. 453). Con la croce, cioè con la legge di Cristo, diede consistenza e sviluppo agli ordinamenti della vita pubblica e privata. A tal fine va ricordato che egli insegnò all’umanità il primato del culto divino per mezzo dell’«opus Dei», ossia della preghiera liturgica e rituale. Fu così che egli cementò quell’unità spirituale in Europa in forza della quale popoli divisi sul piano linguistico, etnico e culturale avvertirono di costituire l’unico popolo di Dio; unità che, grazie allo sforzo costante di quei monaci che si misero al seguito di sì insigne maestro, divenne la caratteristica distintiva del Medio Evo. Questa unità che, come afferma sant’Agostino, è «esemplare e tipo di bellezza assoluta» (cfr. Ep. 18,2: PL 33,85), purtroppo spezzata in un groviglio di eventi storici, tutti gli uomini di buona volontà dei tempi nostri tentano di ricomporre.

San Benedetto, Abate – Benedetto XVI (Udienza Generale, 9 Aprile 2008): Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con un’autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo. In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.

Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo? – Giovanni Paolo II (Omelia, 8 Ottobre 2000): “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mc 10,28). Questa affermazione di Pietro esprime la radicalità della scelta che è richiesta all’apostolo. Una radicalità che si chiarisce alla luce del dialogo esigente, fatto da Gesù con il giovane ricco. Quale condizione per la vita eterna, il Maestro gli aveva additato l’osservanza dei comandamenti. Di fronte al suo desiderio di maggiore perfezione, aveva risposto con uno sguardo di amore e una proposta totalitaria: “Va, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (Mc 10,21). Su questa parola di Cristo calò, come un oscurarsi improvviso del cielo, la tristezza del rifiuto. Fu allora che Gesù pronunciò una delle sue sentenze più severe: “Com’è difficile entrare nel regno di Dio!” (Mc 10,24). Sentenza che egli stesso, di fronte allo sbigottimento degli apostoli, mitigò, facendo leva sulla potenza di Dio: “Tutto è possibile presso Dio” (Mc 10,27). L’intervento di Pietro diventa espressione della grazia con cui Dio trasforma l’uomo e lo rende capace di un dono totale. “Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mc 10,28). È così che si diventa apostoli. Ed è così che si sperimenta anche l’avverarsi della promessa di Cristo circa il «centuplo»: l’apostolo che ha lasciato tutto per seguire Cristo vive già su questa terra, nonostante le immancabili prove, un’esistenza realizzata e gioiosa.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: L’umiltà – «Fratelli miei, se vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell’umiltà e arrivare rapidamente a quella glorificazione celeste, a cui si ascende attraverso l’umiliazione della vita presente, bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo la scala che apparve in sogno a Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e salire gli angeli. Non c’è dubbio che per noi quella discesa e quella salita possono essere interpretate solo nel senso che con la superbia si scende e con l’umiltà si sale. La scala così eretta, poi, è la nostra vita terrena che, se il cuore è umile, Dio solleva fino al cielo» (San Benedetto).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: «Non a caso questo brano è proposto oggi, festa di san Benedetto, padre del monachesimo occidentale, che nella sua regola ricorda: niente deve essere anteposto all’amore di Cristo. La sua sequela di Gesù è una testimonianza significativa per tutta l’Europa di cui egli è patrono. Per seguire Gesù sembra necessario lasciare qualcosa. Il Signore stesso lo ripete quando esprime le esigenze del discepolato. Il discepolo, infatti, è chiamato ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze. La domanda di Pietro può essere anche la nostra. Quante volte ci chiediamo: “Signore perché mi succede questo? Io ti ho seguito, ho cercato di seguire la tua Parola… e ora?”. Pietro ci assomiglia, forse per questo lo sentiamo vicino a noi. Gesù gli risponde, prende sul serio la sua domanda, ma il suo dire è su un altro piano poiché per i discepoli e le discepole di Gesù non si tratta di avere qualche ricompensa umana, di ricchezze o di potere nella sequela del Signore Gesù. Si tratta di entrare nella prospettiva del vangelo, del Regno» (Padre Ermes Ronchi).

Santo del giorno: 11 Luglio – San Benedetto da Norcia Abate, patrono d’Europa: Anche se la riforma del Calendario liturgico ha spostato la festa di san Benedetto all’11 luglio, molti ricordano la precedente data del 21 marzo, cui fa riferimento l’ancor utilizzato proverbio «San Benedetto, la rondine torna al tetto», per intendere che in questo giorno comincia la primavera. Tra i fedeli del santo è molto popolare la medaglia-crocifisso, che viene considerata particolarmente efficace per ottenere una buona e santa morte e, più in generale, come aiuto contro le tentazioni. L’ispira-zione per questo oggetto devozionale viene da un episodio tramandato dal biografo Gregorio Magno, che narrò come il santo si era salvato dal veleno che alcuni cattivi monaci gli avevano messo in una bevanda: «Benedetto alzò la mano e tracciò il segno della croce: il santo segno ridusse in frantumi quel vaso di morte, come se al posto di una benedizione vi fosse stata scagliata una pietra». La rappresentazione più popolare della medaglia è quella cosiddetta «giubilare», fatta coniare a Montecassino nel 1880 per celebrare il XIV centenario della nascita di san Benedetto. Su un lato della medaglia è incisa la figura del monaco, che regge nella mano destra la croce e nella sinistra la Regola benedettina, e tutt’intorno c’è la frase: «Nell’ora della nostra morte saremo protetti dalla sua presenza». Sull’altro lato c’è la caratteristica croce quadrata, attorniata dalle iniziali di sei versetti in rima con invocazioni al Crocifisso e la rinunzia a Satana. Secondo i racconti dei contemporanei, san Benedetto morì in piedi e con le mani levate verso il cielo, subito dopo aver ricevuto in chiesa la comunione. Santa Geltrude ha raccontato nelle sue Rivelazioni che, durante un’apparizione, il santo le rivelò: «Chiunque mi ricorderà la dignità per cui il Signore ha voluto onorarmi e beatificarmi concedendomi di fare una morte così gloriosa, io l’assisterò fedelmente in punto di morte e mi opporrò a tutti gli attacchi del nemico in quest’ora decisiva. L’anima sarà protetta dalla mia presenza, essa resterà tranquilla, malgrado tutte le insidie del nemico, e felice si slancerà verso le gioie eterne».

Preghiamo: O Dio, che hai scelto san Benedetto abate e lo hai costituito maestro di coloro che dedicano la vita al tuo servizio, concedi anche a noi di non anteporre nulla all’amore del Cristo e di correre con cuore libero e ardente nella via dei tuoi precetti. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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